Quello che c’è da sapere sull’attentato che uccise 85 persone alla Stazione il 2 agosto 1980: chi erano i fascisti di Nar e Avanguardia Nazionale, quali pezzi di Stato agirono, il ruolo della loggia massonica P2, i processi e i depistaggi.
“Non so che darei, per fermare il tempo…” cantava Alan Sorrenti in una delle hit più ascoltate dell’estate 1980, una struggente canzone d’amore. L’amore però non c’entra nulla con il motivo per cui il tempo si fermò davvero, a Bologna, alle 10.25 del 2 agosto. L’ora della strage.
Sono passati 43 anni ma questo non è un articolo storiografico. Semmai di cronaca, giudiziaria. Ma anzi, non è nemmeno un articolo. È un glossario, per gli articoli che Zeroincondotta ha già scritto e per quelli che scriverà, per raccontare quel che ancora manca di una storia che non è Storia.
Stazione
Bomba
Vittime
Nuclei armati rivuluzionari (Nar)
Avanguardia nazionale
Ufficio affari riservati
Propaganda 2, o P2
Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (Sismi)
Procura generale
Central Intelligence Agency (Cia)
Strategia della tensione
Pista palestinese
86a vittima
Stazione. La stazione centrale di Bologna, dove le linee da Milano e da Venezia si incrociano con quelle per l’Adriatico, per Roma, per il Sud. Il primo sabato di agosto, al mattino, è piena di turiste e turisti, in partenza o di passaggio, accomunati dal desiderio di godersi le vacanze e lasciarsi alle spalle mesi di lavoro e magari anche le brutte notizie come quella dell’aereo precipitato poche settimane prima nel mare al largo di Ustica, partito proprio da Bologna. [Torna su]
Bomba. Cinque chilogrammi di tritolo, 18 di nitroglicerina. Esplode nella sala d’aspetto, gremita. Uccide 85 persone, ne ferisce altre duecento. L’orologio sulla facciata delle stazione si rompe e resta fermo alle 10,25. L’ora che segna ancora oggi, quattro decenni dopo. Per qualche ora si pensò a un incidente, a una caldaia saltata in aria. Lo stesso governo, guidato allora da Francesco Cossiga, avvalorò questa versione, ma resse molto poco. Nel pomeriggio era già stato trovato il cratere. Bomba. [Torna su]
Vittime. Morirono per caso. Per un ritardo, per una coincidenza, per un treno al primo o all’ultimo binario. La più piccola aveva tre anni, altre sei avevano meno di 14 anni, 19 erano studentesse e studenti, la più anziana ne aveva 86. Pochi minuti dopo l’esplosione arrivò un autobus, un Fiat 421A vecchio di sette anni in servizio sulla linea 37, l’autista aveva udito il boato ed era accorso. Fino a notte fonda, andrà avanti indietro trasportando prima i feriti agli ospedali, poi i morti all’obitorio. Passata quella terribile giornata tornerà in servizio, per diversi anni. Una volta ritirato, sarà conservato in rimessa e mai dismesso. È ancora immatricolato e in funzione e dal 2018 apre il corteo commemorativo che si svolge ogni 2 agosto mattina, da piazza del Nettuno a piazza Medaglie d’Oro. [Torna su]
Nuclei armati rivoluzionari, Nar. Un’organizzazione neofascista fondata a Roma nel 1977. Nell’estate del 1980 aveva già ucciso diverse persone, tra i quali un magistrato, un militante di sinistra, un geometra scambiato per un altro, un poliziotto. Aveva assaltato l’emittente romana di movimento Radio Città Futura ferendo cinque donne, aveva portato a termine diverse rapine. In polemica con il partito parlamentare dell’estrema destra, il Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante che ritenevano troppo moderato, nei loro volantini rivendicavano la volontà di destabilizzare lo stato e inveivano contro borghesi e antifascisti. Tra i fondatori dei Nar, poco più ventenni, c’erano Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Tra chi aderì subito dopo le prime azioni, Luigi Ciavardini, ancora più giovane, e Gilberto Cavallini, che aveva qualche anno in più. Mambro e Fioravanti sono stati condannati all’ergastolo nel 1995 con sentenza definitiva come esecutori della strage alla stazione di Bologna. Stessa sorte per Ciavardini, nel 2007. Cavallini è stato processato solo negli ultimi anni, lo scorso 27 settembre è stata pronunciata la sentenza di condanna in appello. Nelle file dei Nar militò per un certo periodo Massimo Carminati, figura centrale della malavita romana per i successivi quarant’anni, fino alla condanna dell’anno scorso nel processo “Mondo di mezzo”. Carminati portò in dote ai Nar il rapporto con la Banda della Magliana. [Torna su]
Avanguardia nazionale. Un’altra organizzazione neofascista, molto diversa dai Nar. Fu fondata nel 1960 da una scissione del Movimento sociale italiano (Msi), il partito dai reduci della Repubblica di Salò il cui simbolo, la Fiamma Tricolore, fa ancora parte di quello di Fratelli d’Italia. Gli avanguardisti nei primi anni si dedicano ad azioni squadristiche contro studenti e militanti del Pci ma già nel 1966 si ritrovano ad attacchinare falsi manifesti di organizzazioni comuniste, per fomentare divisioni negli ambienti di sinistra e screditarne le sigle, arruolati da un dirigente della sesta delle sei sezioni dall’Ufficio affari riservati (vedi) del ministero dell’Interno. Il suo nome era Federico Umberto D’Amato. Tempo dopo, alcuni dei partecipanti avrebbero affermato di essere stati coinvolti a loro insaputa in un’operazione della Cia (vedi). I militanti di An erano poi in prima fila nei ranghi fascisti a Valle Giulia, durante la battaglia contro il movimento studentesco, l’episodio più noto del ‘68 romano. Due anni dopo parteciparono al fallito colpo di stato orchestrato dal principe Junio Valerio Borghese, già capitano della marina della Repubblica di Salò. Seguirono altri anni di violenza politica, durante i quali, secondo alcune testimonianze, entrarono in contatto con la ‘ndrangheta calabrese. Nel 1976 il fondatore Stefano delle Chiaie sciolse formalmente l’organizzazione dopo una condanna in primo grado per ricostituzione del partito fascista. Tra gli ex avanguardisti ci fu chi finì in organizzazioni più spiccatamente terroriste e chi continuò a muoversi nelle zone grigie tra stato, eversione nera e criminalità organizzata. Tra questi, Paolo Bellini, condannato in primo grado nel 2022 come quinto esecutore della Strage di Bologna: a incastrarlo una foto che lo ritrae il 2 agosto 1980 in Stazione, poco dopo l’esplosione. In quegli anni viveva a Foligno, dopo un periodo di latitanza in Brasile sotto falso nome. Vi era arrivato nel 1977 con un brevetto da pilota emesso negli Stati Uniti per rimanervi quattro anni, alloggiando in albergo, godendo di notevoli disponibilità finanziarie, frequentando l’allora procuratore capo di Bologna, Ugo Sisti. Arrestato nel 1981 e poi nel 1988, continuerà a giocare partite su più tavoli tra ndrangheta, cosa nostra, carabinieri e altri pezzi di stato. Il suo nome ricorre anche nelle inchieste sulle stragi di mafia del ‘92-’93. [Torna su]
Ufficio affari riservati. Divisione del ministero degli Interni fondata nel 1946, ereditò i primi dirigenti e il personale dell’Ovra, Opera vigilanza repressione antifascista, ossia la polizia politica dell’Italia fascista e della Repubblica di Salò. Nei fatti, era un servizio segreto civile non ufficiale: il operava in totale autonomia dalle questure e il personale operativo non aveva obbligo di riferire all’autorità giudiziaria le notizie di reato. Negli anni sessanta fu suddiviso in sei sezioni: per esempio, la seconda investigava sugli ambienti di sinistra, la terza su quelli di destra, la quinta controllava le redazioni di quotidiani e periodici, la sesta gestiva informatori e infiltrati. A capo di quest’ultima dal 1964 fu messo Federico Umberto D’Amato, ed è in quel ruolo che inizierà a lavorare con i militanti di Avanguardia Nazionale (vedi). Diventerà vicedirettore dell’ufficio nel 1969 e direttore nel 1971. Fu l’Uar a orchestrare il depistaggio che indicò nel ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli il colpevole della strage di piazza Fontana (Milano, 12 dicembre 1969). Pinelli, innocente, morirà tre giorni dopo volando giù dalla finestra della Questura di Milano. Per piazza Fontana sarà invece processato e assolto tra gli altri proprio un operativo dell’Uar, Delfo Zorzi, militante dell’organizzazione neofascista “Ordine nuovo”. Oggi Zorzi è nuovamente indagato come esecutore materiale della strage di piazza Loggia (Brescia, 28 maggio 1974). Dopo questo attentato, il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani trasformò la divisione, che due anni prima aveva assunto il nome di Servizio informazioni generali e sicurezza interna (Sigsi), in Ispettorato generale per l’azione antiterrorismo. D’Amato, almeno formalmente, fu trasferito alla polizia di frontiera. Taviani non smise per questo di fare frequenti visite di cortesia a D’Amato. L’ispettorato, poi rinominato ulteriormente “Servizio di sicurezza”, si occupò principalmente di contrastare le formazioni armate di estrema sinistra. Nel 1977 personale e funzioni furono assorbite dal neonato Sisde, servizio per le informazioni e la sicurezza democratica. Un altro frequentatore assiduo del salotto di D’Amato fu Vincenzo Parisi, dal 1980 vicedirettore e dal 1984 direttore proprio del Sisde. [Torna su]
Propaganda 2, o P2. Fu una loggia massonica coperta, i cui membri ossia non sono noti agli affiliati ad altre logge massoniche. Fondata nell’immediato dopoguerra, da metà degli anni ‘60 aveva a capo Licio Gelli, un uomo che per tutta la sua vita era sempre stato dalla parte dei più forti, chiunque fossero: giovanissimo volontario franchista nella Guardia civile spagnola, funzionario del Partito nazionale fascista, ufficiale della Repubblica di Salò, informatore della resistenza partigiana, collaboratore dei servizi segreti britannici e statunitensi. Nel 1981 l’elenco degli affiliati divenne pubblico ed è per questo che si sa chi ne faceva parte: tra questi, ancora lui, Federico Umberto D’Amato (vedi: Ufficio affari riservati), ma anche il primo direttore del Sisde, il generale dei carabinieri Giulio Grassini, che mantenne il ruolo finché non fu costretto a dimettersi quando la loggia fu svelata, un anno dopo la strage di Bologna. Grassini garantì una sostanziale continuità con l’Uar/Sigsi di D’Amato, il quale con tutta probabilità mantenne a lungo una forte influenza, se non proprio un potere, sul ministero e sul suo servizio segreto. La P2 consegnò un milione di dollari a Mambro, Fioravanti & co per mettere la bomba alla Stazione, e ne spese altri quattro per finanziare l’attentato e i successivi depistaggi. In tasca a D’Amato ne finirono 850 mila. Altri soldi andarono a Mario Tedeschi, anche lui piduista, ex senatore missino e direttore del settimanale ‘Il borghese’ perché sostenesse sul suo giornali una falsa “pista internazionale” per distogliere le attenzioni dagli esecutori neofascisti. [Torna su]
Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (Sismi): Dal 1977 e per trent’anni è stato il servizio segreto del ministero della Difesa. All’epoca della strage il direttore era Giuseppe Santovito e vi lavorava come consulente tale Francesco Pazienza, che fino all’anno prima faceva il faccendiere (oggi si direbbe: lobbista). Entrambi affiliati alla P2 di Licio Gelli (vedi). Tramite il Sismi, Gelli farà ritrovare il 13 gennaio 1981, a Bologna, su un treno Taranto-Milano, una valigetta contenente armi e esplosivi, insieme a biglietti aerei che riconducevano a neofascisti francesi e tedeschi. Il materiale del depistaggio, si scoprirà, proveniva da un deposito della Banda della Magliana nascosto in uno scantinato del ministero della Sanità nel quartiere romano dell’Eur. Per questo episodio nel 1995 furono condannati in via definitiva per calunnia aggravata dalla finalità eversiva Gelli, Pazienza e gli agenti del Sismi Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Il reato di depistaggio sarà introdotto solo nel 2016. [Torna su]
Procura generale. È l’ufficio dei pubblici ministeri presso la corte d’appello, il tribunale che celebra i processi di secondo grado e ha tra le sue prerogative la facoltà discrezionale di assumere le indagini preliminari, esautorando i magistrati precedentemente incaricati, quando, in presenza di una richiesta di archiviazione, un giudice dichiari ammissibile un’istanza di opposizione. È quello che è accaduto nel 2017 per le indagini sui mandanti della Strage di Bologna: la Procura chiese l’archiviazione, le parti civili (cioè i familiari delle vittime) si opposero e la Procura generale avocò, assunse a sé le indagini. Fu così che si giunse al rinvio a giudizio e alle successive condanne in primo grado di Paolo Bellini (vedi: Avanguardia nazionale) per concorso in strage, dell’ex Carabiniere Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio e, per false informazioni ai pm, di Domenico Catracchia, amministratore di alcuni immobili usati come rifugio dai Nar. L’importanza di questo processo è però soprattutto nell’avere individuato i quattro organizzatori e finanziatori della strage, pur se già deceduti e quindi non processabili, tutti iscritti alla P2 (vedi): Licio Gelli, Mario Tedeschi, il ricco imprenditore Umberto Ortolani e Federico Umberto D’Amato (vedi: Ufficio affari riservati, P2) [Torna su]
Central Intelligence Agency (Cia). Non c’è nessuna certezza rispetto a un ruolo, da sempre ipotizzato, dell’agenzia di spionaggio statunitense nella Strage di Bologna. Ma nemmeno è mai stata escluso, e il sospetto non sembra campato in aria. Occorre andare indietro fino ai mesi successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943. Mentre l’esercito alleato combatteva ancora i nazisti tra Campania e basso Lazio, nella Roma ancora occupata operavano già di nascosto gli agenti statunitensi dell’Office of Strategic Service (Oss) e a guidare le operazioni italiane c’era James Angleton, futuro capo del controspionaggio della Cia, che sostituirà l’Oss dal 1947. Sul campo, a catturare collaboratori dei nazisti, c’era un poliziotto di 25 anni: Federico Umberto D’Amato (vedi: Ufficio affari riservati, P2). Nacque allora uno stretto rapporto di fiducia e collaborazione destinato a durare decenni e non particolarmente nascosto, tanto che D’Amato sarà a lungo chiamato “l’uomo degli americani in Italia”. Ci sono poi recenti inchieste giornalistiche che suggeriscono che nel depistaggio orchestrato dal Sismi (vedi) nel gennaio 1981 avrebbe avuto un ruolo lo storico statunitense Michael Ledeen, e che avrebbe agito per contro della stessa Cia. [Torna su]
Strategia della tensione. L’espressione fu utilizzata per la prima volta dal settimanale britannico The Observer all’indomani della bomba di piazza Fontana (12 dicembre 1969, Milano) e indica il contesto in cui in Italia si sono verificate numerose stragi tese a destabilizzare il panorama politico e sociale, alimentare un clima di paura diffusa nella popolazione, favorire una svolta autoritaria e arginare le lotte operaie e studentesche. Dall’Italicus a piazza della Loggia, c’è un filo nero che lega questi sanguinosi episodi: il coinvolgimento di personaggi e strutture della destra eversiva; la tessitura di una fitta trama di protezioni, depistaggi, connivenze e responsabilità da parte di figure appartenenti agli apparati dello Stato italiano e di altri paesi; l’essere rimasti per molto tempo senza spiegazioni ufficiali, senza colpevoli e senza mandanti. [Torna su]
Pista palestinese. Il più famoso dei depistaggi sulla strage di Bologna, una teoria del tutto inconsistente più volte cestinata in diversi dei processi celebrati sulla Strage, che ha alcuni fan sfegatati tra i partiti del centrodestra contemporaneo. Ha al centro la figura di Ilich Ramirez Sanchez, noto anche come Carlos o “Carlos lo sciacallo”, militante per un ventennio del marxista Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, che da quando fu arrestato ha sempre cercato di sfangarsela raccontando panzane come quella appunto secondo la quale l’attentato sarebbe da mettere in relazione al sequestro di due missili a Ortona, trasportati da un attivista dell’Autonomia romana e da un esponente del Fplp. Tale sequestro, e i relativi arresti, avrebbe violato, secondo i sostenitori di questa teoria, il cosiddetto “Lodo moro”, un patto che avrebbe escluso l’Italia dagli attentati dell’organizzazione araba in cambio del libero passaggio di armi sul territorio nazionale. [Torna su]
86a vittima. Un altro depistaggio molto amato dalle destre, prevede l’esistenza di una ignota attentatrice morta nell’esplosione e che se identificata scagionerebbe i neofascisti. Si fonda su una perizia sul Dna di alcuni resti trovati nella tomba di Maria Fresu, una delle 85 persone uccise, un lembo di pelle che non risulta compatibile con il patrimonio genetico della donna, ma dal quale non è possibile desumere null’altro. [Torna su]