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Strage, la pista palestinese fa cilecca un’altra volta

E anche quella su un’ipotetica 86a vittima. Succede al processo di appello per l’ex militante neofascista Gilberto Cavallini, condannato in primo grado all’ergastolo, ma in realtà succede sempre.

31 Maggio 2023 - 17:57

A ogni processo che si apre sulla strage tocca assistere a un patetico rituale che finisce puntualmente allo stesso modo: il tentativo delle difese degli imputati, con vari politici di centrodestra a fare da grancassa, di riesumare ogni volta gli stessi depistaggi, le fantomatiche piste alternative che invaliderebbero quanto emerso da diverse sentenze, cioè che l’attentato che colpì la stazione di Bologna il 2 agosto 1980, in cui morirono 85 persone e 200 furono ferite, fu eseguito da manovalanza attinta da organizzazioni neofasciste come i Nuclei armati rivoluzionari (Nar) e Avangardia nazionale su mandato della loggia massonica Propaganda 2 (P2) e con importanti protezioni nel ministero dell’Interno e nei servizi segreti.

Ecco allora che al processo di appello nei confronti di Gilberto Cavallini, presunto quarto esecutore della strage, torna a essere avanzata la richiesta di sentire come testimone Ilich Ramirez Sanchez, noto anche come Carlos o “Carlos lo sciacallo”, militante per un ventennio del marxista Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, che da quando fu arrestato ha sempre cercato di sfangarsela raccontando panzane come la cosiddetta “pista palestinese” secondo la quale l’attentato sarebbe da mettere in relazione al sequestro di due missili a Ortona, trasportati da un attivista dell’Autonomia romana e da un esponente appunto del Fplp. Tale sequestro, e i relativi arresti, avrebbe violato secondo i sostenitori di questa teoria, il cosiddetto “Lodo moro”, un patto che avrebbe escluso l’Italia dagli attentati dell’organizzazione araba in cambio del libero passaggio di armi sul territorio nazionale. Niente di comprovato, niente di nuovo, richiesta respinta dalla Corte d’assiste d’appello. Stesso destino per quella di acquisire le dichiarazioni rese dall’ex Avanguardia nazionale Paolo Bellini (condannato in primo grado all’ergastolo per concorso nella strage) sulla sua permanenza all’hotel Lembo di Bologna nel febbraio del 1980, quando nello stesso albergo era presente anche Thomas Kram, appartenente al gruppo di Carlos.

Un’altro degli immortali depistaggi è quello su un’ipotetica 86a vittima, ossia un’ignota attentatrice che se identificata scagionerebbe i neofascisti. I legali di Cavallini avevano chiesto un supplemento di perizia sul Dna dei resti trovati nella tomba di Maria Fresu, una delle 85 persone uccise, un lembo di pelle che non appartiene a Fresu, come ha stabilito un test del dna, ma dal quale non è possibile desumere null’altro. Terza richiesta respinta, ma ce ne sono pure una quarta e una quinta, quelle di sentire testimonianze che metterebbero in dubbio l’attentidibilità di un testimone chiave che portò alle prime due condanne definitive, quelle degli ex Nar Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti. Tutte piste già seguite e andate a vuoto e la corte non può che constatare che nessun elemento nuovo ne motiva un nuovo esame. Tuttavia, instancabili, gli avvocati dei neofascisti ci hanno riprovato e, c’è da scommetterci, ci riproveranno in futuro, perché anche se è del tutto inutile dal punto di vista giudiziario, cercano polveroni mediatici che confondano l’opinione pubblica e offuschino le gravissime responsabilità storiche che pesano sulla destra estrema italiana.

“Non c’è una vera volontà di andare a fondo sugli argomenti ancora oscuri di questa vicenda”, lamenta uno dei legali della difesa, mentre un avvocato dei familiari delle vittime plaude a “una decisione importantissima, che attesta che la ‘pista palestinese’ non c’è processualmente ed è affondata in base ai documenti che in parte provengono dall’indagine sui mandanti. Fu un depistaggio preventivo ordito da ambienti del Sismi e da uomini della destra coinvolti nel progetto stragista”. Esprime inoltre soddisfazione per le diverse istanze presentate da Procura generale e parti civili accolte dalla Corte tra le quali quella di acquisire la sentenza di primo grado a carico di Bellini.