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Editoriale / Quelle coop affascinate dalla fasciomafia

A Roma settantasei tra arrestati e indagati: tra tanti neo-post-parafascisti, da Alemanno all’ex della Banda della Magliana, spuntano il capo della cooperativa affiliata a LegaCoop e qualche nome noto del Pd. La capitale è così lontana?

03 Dicembre 2014 - 17:34
Salvatore Buzzi e Giuliano Poletti
Salvatore Buzzi e Giuliano Poletti, dalla copertina di un numero del magazine della coop 29 giugno

Acqua, luce, gas, rifiuti. Piccole e grandi opere. I richiedenti asilo e le politiche emergenza infinita. Cosa hanno in comune? Denaro pubblico, tanto, e decisori istituzionali. Vista da Bologna è abbastanza semplice, è sempre stata abbastanza semplice: c’è un Partito, che nelle sue varie incarnazioni governa il territorio da 70 anni. Una multiutility colossale dove comandano gli uomini del Partito. La Lega delle Cooperative che pensa a quasi tutto e da queste parti è talmente intrecciata al Partito, oggi di governo nazionale, da esprimere il ministro del Lavoro. I soldi, insomma, restano sempre in famiglia. Le cose vanno così da sempre, molti non sembrano trovarci niente di male. Il Partito, in fondo, è confortante. Calduccio.

Ma Bologna, tutto sommato, è una città piccola. A Roma, beh Roma è lontana, è grande, deve essere diverso, molto più complicato. A Roma ci sono i fascisti, hanno la pilla e comandano, insieme ai mafiosi. I compagni lo dicono da sempre, più di recente sono arrivate le inchieste delle testate più prestigiose, i romanzi, i film, le serie tv. Ora lo sanno proprio tutti.

Ieri ne hanno messi un po’ in gabbia. La ricostruzione della magistratura oggi è su tutti i giornali. Alemanno, l’ex sindaco con la celtica al collo, il marito della figlia del fondatore di Ordine Nuovo, nei suoi anni al Campidoglio avrebbe distribuito incarichi tra controllate e partecipate di Roma Capitale a un discreto numero di neofascisti a cui, probabilmente, doveva dei favori. Questi avrebbero avuto il ruolo di assegnare ricche commesse a determinate imprese, incanalando quantità considerevoli di denaro pubblico. A tirare i fili, secondo la procura, Massimo Carminati, un passato da pontiere tra la Banda della Magliana e i Nuclei Armati Rivoluzionari, l’organizzazione che prese il testimone di Ordine Nuovo dopo che fu sciolto per decreto e i suoi dirigenti condannati per ricostrituzione del partito fascista, l’organizzazione a cui qualcuno affidò il compito di far esplodere una bomba alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980. Lo stato, qualche tempo fa, ebbe convenienza a sbarazzarsi dei nomi più grossi della Banda, lui, insieme a tante seconde file, è restato a galla abbastanza a lungo da vedere romanzare le sue gesta tra libri, cinema e tv nel franchising di Romanzo Criminali. Per i fan, è “Il nero”. Intanto, Berlusconi tirava fuori i missini dalle fogne in cui li aveva cacciati la storia e tanti amici potevano tornare a sedersi ai tavoli che contavano, dando modo a Carminati e ai suoi di tessere anno dopo anno la trama del suo potere.

Cosa muove questi fascisti, tanto radicati all’ombra del cupolone da farsi mafia? Il disegno di un colpo di stato, desideri di rivalsa e restaurazione, ordine, disciplina, balilla che marciano ordinati, libro e moschetto? Acqua. Nazionalismo, razzismo, omofobia, odio? Naaah. Sono tutte cose che fanno credere ai militanti, ai ragazzini invasati, alle teste rasate che si radunano ai concerti nazirock. Potete scommetterci, di tutto ciò ai capi non frega più nulla. Magari un tempo, da giovani sì. Ora non vogliono che soldi, soldi, soldi.

E le ragioni del denaro non conoscono colore politico. I fasciomafiosi romani fanno affari senza problemi anche con quelli che, ieri, chiamavano zecche. Così, da quanto emerge dalle indagini, a fianco di Carminati ci sarebbe stato Salvatore Buzzi, presidente della cooperativa 29 giugno, affiliata LegaCoop. Circola una foto che racconta tutto: scattata nel 2010 a una cena organizzata dalla cooperativa di Buzzi, ritrae allo stesso tavolo Alemanno con la sua portavoce, l’ex capo dell’Ama (nettezza urbana), un esponente in semilibertà dei Casamonica (clan di usurai, narcotrafficanti e palazzinari insediato nella periferia sud-est della capitale), due consiglieri comunali Pd che nel frattempo hanno fatto carriera: uno è diventato assessore alla casa della giunta Marino e si è dimesso ieri dopo aver appreso di essere indagato nella maxi-inchiesta, l’altro, il cui nome non iscritto a registro, siede negli scranni dem a Montecitorio. E soprattutto, l’allora numero uno di Legacoop e oggi ministro del Lavoro, l’imolese Giuliano Poletti (anch’egli estraneo alle indagini). La rappresentazione plastica di un intreccio di politica, affari e crimine organizzato a cui i democratici paiono tutt’altro che estranei, come indica anche il coinvolgimento dell’ex vicecapo di gabinetto di Veltroni, Luca Odevaine, che l’organizzazione avrebbe messo a libro paga perché facesse in modo che fossero le proprie strutture a essere scelte per ospitare i rifugiati, a fronte di golose remunerazioni: in un’intercettazione, Buzzi gli dice:“Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.

Le ragioni del denaro hanno occhi lunghi, hanno capito in anticipo che stava girando il vento, in direzione contraria a quell’eccentrico milanese che per vent’anni aveva garantito copertura politica, e affari d’oro. Così i neri hanno cercato sponde tra gli uomini che contano all’interno dell’unico Partito che restava a disposizione, quello che oggi esprime il presidente del Consiglio, otto ministri su sedici, 23 sottosegretari su 42, 17 presidenti di regione su 20, un esercito di sindaci. Le hanno trovate, le sponde, collaborative e avide quanto occorreva.

No, Roma non è così lontana. Il Partitone all’ombra del quale non si disdegna di fare business con la fasciomafia è proprio lo stesso che da sempre fa calduccio sulle due sponde del Sillaro. E LegaCoop, no, non è un caso di omonimia, è proprio quella. Acqua, energia, nettezza urbana servono anche qua, e pensa a tutto Hera, con il suo cda di trombati del partito e, per non essere da meno, negli anni scorsi ha anche trovato reciproco vantaggio a rapportarsi con qualche camorrista. Le grandi opere da tirare per le lunghe facendo girare montagne di soldi non si chiamano Metro C o corridoio laurentino ma People Mover e Fico. Gli appalti del primo sono già al centro di un’inchiesta giudiziaria, sul secondo … beh, si accettano scommesse.

Roma non è lontana, a Roma c’è la mafia. Ma forse chiamarla mafia è fuorviate, sembra di parlare di un corpo estraneo, una devianza da qualcosa di virtuoso, che però non si trova da nessuna parte. Forse, semplicemente, è solo il modo più efficiente di fare impresa, dalle Alpi a Lampedusa. E l’efficienza, in economia, viene sempre premiata. Quei fascisti romani forse cadranno in disgrazia, avranno fatto i loro errori o magari, semplicemente, doveva andare così. Eventualmente, qualcuno prenderà il loro posto. Business is business.