Acabnews Bologna

Le ragioni, tante, per mobilitarsi contro la criminalizzazione del dissenso

Dal contesto cittadino a quello nazionale, ecco come si estende e inasprisce la repressione del conflitto sociale: dalle piazze alle occupazioni, passando per carceri e Cpr. Da una partecipata assemblea svolta a fine luglio l’idea di una manifestazione cittadina il 21 settembre: la discussione proseguirà martedì a Vag61.

31 Agosto 2024 - 12:17

Verso la fine di luglio si è tenuta a Vag61 una partecipatissima assemblea pubblica, promossa da Extinction Rebellion, a cui erano presenti tutte le realtà di movimento bolognesi, le associazioni e i collettivi ambientalisti, attiviste/i dei centri sociali, dei sindacati di base, di Ultima Generazione e di Amnesty International.

Il tema dell’incontro riguardava il gravissimo episodio repressivo di cui erano state vittime ragazze e ragazzi di Extinction Rebellion lo scorso 9 luglio, dopo l’azione comunicativa che avevano fatto a Palazzo d’Accursio contro il summit del G7 Scienza e tecnologia che si stava svolgendo al Tecnopolo. Soprattutto oltre il fermo in Questura e i fogli di via a cui erano stati sottoposti gli attivisti di XR, veniva denunciata l’abuso che una di loro, Valentina, aveva subito nelle stanze di piazza Galilei.

Durante l’assemblea la discussione si era ampliata al clima repressivo che si sta vivendo in tutto il paese, alla criminalizzazione sempre più oppressiva delle varie forme di conflitto sociale, alle nuove misure introdotte dal governo Meloni attraverso l’ultimo decreto Sicurezza, il decreto Cutro e il decreto Caivano e la drammatica situazione che si sta vivendo nelle carceri italiane.

L’incontro si era concluso con la proposta di organizzare una manifestazione cittadina su questi temi per sabato 21 settembre.

Per avanzare nella preparazione del corteo è stato deciso di convocare un’altra assemblea, sempre negli spazi di Vag61 (in via Paolo Fabbri 110), per martedì 3 settembre alle ore 18,30.

Il mese di agosto ha confermato il proseguimento di una campagna politica, basata sull’arcinoto armamentario ideologico delle destre che, però, ha alle spalle anni di decreti sicurezza adottati dai vari Governi (di centro-destra, di centro-sinistra, “tecnici” o “giallo-verdi”) che si sono succeduti. Dopo decenni di logiche “manettare” anche il governo Meloni si trincera dietro a concetti abusati come sicurezza, certezza della pena, repressione preventiva, affermando l’esaltazione dell’ordine pubblico e della penalità come uniche modalità per confrontarsi a livello istituzionale con le lotte sociali e ambientali disseminate in tutto il paese.

La criminalizzazione dei conflitti sociali è funzionale a delegittimare e giustificare la repressione di chi denuncia le responsabilità delle diseguaglianze sociali, della guerra, della devastazione climatica. E’ sempre più evidente la deriva autoritaria intrapresa dal Governo, l’obiettivo è quello di impedire la possibilità di rivendicare una necessaria trasformazione sociale: i dissenzienti e gli oppositori diventano nemici, così come lo sono i poveri, i migranti, e tutte le soggettività ritenute “devianti”.

I capisaldi del disegno di legge sul pacchetto sicurezza, discusso in queste settimane in Parlamento, sanciscono questa deriva autoritaria. Così come aveva già tracciato il cosiddetto decreto Caivano la linea è quella “punitiva”.

Per esempio, l’articolo 8 interviene sull’occupazione di immobili e terreni, prevedendo un nuovo reato: «occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui» (con reclusione da due a sette anni). Si colpisce una gravissima emergenza sociale, si nega il diritto all’abitare per chi non è in grado di allinearsi ai prezzi del mercato e si punisce un intero movimento di lotta: «chiunque si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile».

Nel disegno di legge l’articolo 11 va a colpire altre forme di lotta come il blocco stradale o ferroviario: l’uso del «proprio corpo» diviene un illecito penale, e se il fatto è commesso da più persone è una aggravante. Dato che è difficile immaginare un blocco di un unico individuo, la pena “normale” sarà la reclusione da sei mesi a due anni.

Si tratta di una norma che questo Governo ha scritto pensando a forme di protesta come quelle di Ultima Generazione, ma gli “effetti collaterali” riguarderanno anche sit-in e cortei spontanei davanti a fabbriche e scuole.

L’articolo 14 introduce un’altra aggravante concernente i reati di «violenza o minaccia a pubblico ufficiale e resistenza a pubblico ufficiale». Nel testo si fa riferimento specifico all’esercizio di atti che hanno il fine «di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di una infrastruttura strategica». Si tratta di fattispecie criminose contestate a chi manifesta per creare un clima di intimidazione e di “dissuasione”. In più alla repressione del dissenso si affianca il vittimismo del potere: viene sancita, attraverso l’articolo 15, una sorta di “tutela privilegiata” per gli operatori di polizia, estendendo il concetto di «lesioni». Nel disegno di legge si fa riferimento anche a lesioni lievi o lievissime: andando incontro alle sollecitazioni degli agenti che, in tenuta antisommossa, si feriscono sempre di più nel “fronteggiare” gli studenti e le studentesse o i manifestanti che avanzano “a mani nude”.

Una novità del pacchetto repressivo è la norma specificamente riservata ai luoghi di detenzione (carceri e Cpr). Viene infatti introdotto il delitto di rivolta penitenziaria, che comprende la resistenza «anche passiva». Si sperimentano sui “dannati della terra” livelli repressivi che verranno poi applicati anche a chi pratica forme di disobbedienza civile, come, per esempio, gli eco-attivisti. Niente di più facile che il prossimo decreto sicurezza possa prevedere punizioni contro chi pratica azioni di resistenza passiva. Dall’accanimento nella criminalizzazione dei modi della contestazione, in relazione alla supposta violenza esercitata dai manifestanti, si giunge alla sanzione della protesta in tutte le sue modalità.

Un altro passo non marginale del percorso, sperimentato in anni di “laboratorio istituzionale sui migranti”, è che il disegno di legge amplia, come i precedenti decreti Minniti, Salvini, Lamorgese, Caivano, l’ambito di applicazione del Daspo urbano (ordine di allontanamento modellato sulla falsariga del Daspo sportivo).

Interessante è poi l’emendamento annunciato dal Governo e dalla maggioranza che prevede le bodycam sulle divise, «a tutela degli operatori delle forze di polizia che mai si sottraggono e si sono sottratte a verità e trasparenza». Secondo i partiti di destra i codici identificativi, richiesti negli anni successivi al G8 di Genova, «sono strumenti contro le forze di polizia».

Su questa partita non è secondaria la questione della memorizzazione e dell’uso futuro delle registrazioni video, la cui conservazione “illegale” potrebbe trasformarsi in una banca dati di sorveglianza, violando i diritti alla privacy delle persone riprese, specialmente se le telecamere sono collegate a programmi di riconoscimento facciale e database della polizia.

Questo clima di criminalizzazione delle proteste di piazza e delle mobilitazioni sociali non è un fenomeno solamente italiano, anche in Europa sono colpite le mobilitazioni popolari. A denunciare questo fatto c’è pure l’ultimo rapporto di Amnesty International: «Le autorità statali stigmatizzano, criminalizzano e reprimono sempre più le persone che manifestano in modo pacifico imponendo restrizioni ingiustificate e punitive e ricorrendo a mezzi sempre più repressivi per soffocare il dissenso». L’allarme di Amnesty denuncia l’intreccio, che si registra in molti paesi dell’Unione Europea, tra leggi e politiche repressive con tecnologie di sorveglianza invasive, soprattutto l’applicazione su larga scala del riconoscimento facciale.

Insomma le ragioni per manifestare sono parecchie (troppe), il 21 settembre, nelle strade e nelle piazze di Bologna, bisogna esserci in tanti e tante (mai troppe).