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Virus, per la Prefettura il Cas è sicuro, Coordinamento migranti: “Non è vero”

E i lavoratori dell’accoglienza: “Situazione può diventare esplosiva”. Proseguono intanto le astensioni dal lavoro, campagna di Si Cobas e Adl Cobas tra i facchini di diversi stabilimenti: “Non sono carne da macello”. Usb: “La Commissione di garanzia sul diritto di sciopero ci dà ragione”. Noi restiamo di nuovo contro Confindustria: “Bloccare produzione non strettamente necessaria”.

19 Marzo 2020 - 12:19

La Prefettura di Bologna “nulla ha detto” sulla richiesta di trasferire i migranti che vivono nei centri di accoglienza in altri appartamenti più piccoli, per garantire il rispetto delle distanze di sicurezza e le norme igieniche per prevenire i contagi di Coronavirus. Lo fanno presente in un comunicato il Coordinamento migranti e le altre realtà associative firmatarie dell’appello diffuso nei gioni scorsi. “La Prefettura nulla ha detto, inoltre, con riguardo alla richiesta di trasferimento dai Cas di media-grande dimensione in appartamenti di piccole entità, cosi’ da garantire effettivamente il diritto alla salute anche dei richiedenti asilo”, si legge in una seconda lettera inviata alla Prefettura e al Comune. “Non possiamo che ribadire la gravità della situazione, che oggettivamente può indurre un’esposizione al contagio dei richiedenti asilo e, va ribadito, dell’intera collettività. Nella sua risposta, piazza Roosevelt ha scritto di “avere predisposto tutte le iniziative necessarie per l’applicazione delle misure di carattere igienico sanitario previste dagli strumenti normativi” e che “in tutti i centri” sarebbe “garantita la presenza di materiale per l’igiene della persona, nonché la minuziosa e costante sanificazione dei locali, secondo i protocolli sanitari”. Sarebbe inoltre stata data “adeguata informazione ai migranti sui comportamenti da seguire”. Ma si tratta di “affermazioni che non corrispondono alla realta'”, replica il Coordinamento. Nel Cas in via Mattei a Bologna, che accoglie circa 200 persone, “non risulta ad oggi essere stata effettuata alcuna sanificazione, né dotati i richiedenti asilo di mascherine e guanti monouso” fornite, invece, solo i lavoratori del centro. Ancora, i migranti consumano i pasti in mensa, “dove non sono rispettate le distanze di sicurezza” e molti convivono in camerate da cinque fino a 10 persone che “non garantisce oggettivamente la tutela sanitaria”, tanto più “che alcuni bagni risultano non funzionanti”. Per questi motivi, le associazioni insistono perché siano individuate “immediatamente” altre strutture più piccole.

E tornano a farsi sentire lavoratrici e lavoratori dell’accoglienza e Adl Cobas denunciando “gravi mancanze riguardanti la tutela sanitaria delle persone nei centri di accoglienza (ospiti, lavoratrici e lavoratori) e in altri settori dei servizi sociali”.

“A Bologna – si legge – la realtà dei fatti è che Asp, Comune e Prefettura hanno demandato completamente ad enti gestori, e di conseguenza scaricato su lavoratrici e lavoratori, il carico del controllo e della prevenzione sanitaria straordinaria, senza apportare nulla né in termini di procedure né di risorse per prevenire e contenere i potenziali contagi. Asp continua ad intimare il proseguo dell’attività lavorativa come nulla fosse, ostacolando esplicitamente la possibilità di smart-working da casa, contravvenendo alle disposizioni governative ed esponendo così a maggiori rischi le operatrici/ori. Ciononostante si registra la pressoché totale assenza di previsione di risorse e strumentazione quali mascherine (come da art 16 DL 17 marzo 2020 n°18), guanti ed igienizzanti, o la sanificazione da parte di aziende specializzate delle strutture piccole, medie e grandi. Anzi, in questi giorni l’onere economico e di reperimento di guanti e mascherine è stato direttamente scaricato sui lavoratori! Proprio come agli operai delle fabbriche viene obbligato di continuare il proprio lavoro a qualsiasi prezzo perché la produzione non deve fermarsi, a chi lavora nel sociale, dal disagio adulto, alla prossimità, ai minori e ai richiedenti asilo, viene intimato di continuare il proprio operato, che troppo spesso ormai coincide con una funzione pretesa di controllo, completamente in antitesi con il ruolo e il lavoro dell’operatrice/ore dell’accoglienza. Non a caso in questi giorni alcuni enti, sollecitati dalla Prefettura, proibiscono del tutto l’uscita dai centri anche in tutti i casi previsti dalla legge, creando così due pesi e due misure, e parecchia tensione nelle strutture, dovuta alla contemporanea impossibilità di iscriversi all’anagrafe, precludendo il medico di base e quindi l’accesso alle cure. La situazione grave rischia di diventare esplosiva nei grandi centri di accoglienza: quali misure preventive sono state prese? Possiamo davvero pensare che in questi posti ci siano le condizioni igienico sanitarie per prevenire il diffondersi di una pandemia? Chi ci ha lavorato e chi ci ha vissuto o ci vive sappiamo bene che è impossibile in quelle condizioni e per questo è necessario approntare la decongestione dei grandi centri. Chiediamo quindi l’urgente convocazione da parte dell’amministrazione Comunale, ASP e Prefettura di un tavolo di crisi con Cooperative ed Enti gestori. I lavoratori e le lavoratrici dell’accoglienza non sono più disposti a scegliere tra mettere a rischio la propria vita o perdere il posto di lavoro e in caso in cui non ci saranno risposte immediate mettiamo in conto forme di agitazione e denuncia pubblica”.

Continuano gli scioperi nel settore della logistica: “Io sto a casa, non sono carne da macello”, è il cartello mostrato nelle foto pubblicate dal sindacato Si Cobas da numerosi lavoratori e lavoratrici, riportando spesso lo stabilimento di impiego (tra le aziende attive nel bolognese: Camst, Yoox, Fercam, Gls, Sda, Geodis…). “Drivers e facchini iniziano una lotta uniti”, scrive il sindacato insieme ad Adl Cobas, “per rivendicare il diritto alla vita e alla salute per se stessi, per i propri cari, per l’intera collettività. La sete di profitto dei padroni non si ferma nemmeno davanti alla necessità di preservare la salute pubblica. Devono circolare solo le merci di pubblica utilità”.

La Commissione di garanzia sul diritto di sciopero ha emanato una circolare che dà ragione all’Usb “per la battaglia intrapresa in tutta Italia affinché siano garantite la salute e l’incolumità dei lavoratori alla luce dell’emergenza coronavirus”, segnala il sindacato di base: “La nota della Commissione fa riferimento allo sciopero proclamato da Usb Bologna martedì 17 marzo – in base a quanto disposto dalla legge 146/90 art.2 comma 7, pericolo di ‘gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori’ – per la mancanza degli strumenti e delle garanzie di sicurezza necessari ai lavoratori delle cooperative che forniscono il servizio di assistenza domiciliare di Bologna e provincia”. Sempre l’Usb riferisce che la Gd punta sul lavoro da remoro e sull’invito a stare in ferie, ma non intende sospendere la produzione: però “in azienda mancano le mascherine, o meglio sono contingentate, d’altronde se non le hanno i medici in ospedale…”.

Noi Restiamo, infine, prosegue la sua campagna contro Confindustria: “Grazie ad un governo prono agli interessi degli industriali – scrive il collettivo – ci sono milioni di lavoratori che ogni giorno sono costretti a mettere in pericolo la propria salute e quella di tutta la collettività. Questo perché il governo ha deciso che i profitti dei padroni sono più importanti della vita delle persone. Per arginare il contagio è necessario bloccare tutta la produzione non strettamente necessaria. Per questo sosteniamo lo sciopero generale indetto da Usb e tutti i lavoratori che hanno deciso che la salute di tutti vale più dei profitti di pochi!”.