Attualità

La polizia? “Non combatte il crimine, preserva un ordine sociale”: ecco lo studio

Appunti dalla presentazione in anteprima del libro “Polizia. Un vocabolario dell’ordine” scritto da Giulia Fabini, Enrico Gargiulo e Simone Tuzza. Il volume indaga un’istituzione restia a farsi studiare, una sorta di “laboratorio segreto”, che secondo le/gli autrici/ori ha come vero compito quello di mantenere lo status quo e plasmare un ordine sociale piramidale e gerarchico.

13 Aprile 2024 - 13:30

Può capitare un po’ a tutte/i: arrivare in stazione, dirigersi verso il treno ed essere fermate/i dagli onnipresenti ‘pattuglioni’ composti da poliziotti, carabinieri e militari che chiedono i documenti e procedono a un controllo. Ma perchè? “Forse hanno un accordo con Trenitalia per farti perdere il treno e costringerti a ricomprare il biglietto”, è la battuta che viene fuori durante la presentazione in anteprima del libro “Polizia. Un vocabolario dell’ordine”, appena uscito per Mondadori Università. Fatto sta che il motivo per cui si può essere fermate/i (o non fermate/i) in stazione, in una situazione di assoluta normalità, è una delle imperscrutabili ragioni che muovono l’agire delle forze di polizia e ne sottolineano l’elevato grado di discrezionalità. Ed è proprio su queste dinamiche che si concentra il volume scritto a sei mani da tre studiose/i di altrettanti dipartimenti diversi dell’Università di Bologna: la criminologa Giulia Fabini (Scienze giuridiche), il sociologo Enrico Gargiulo (Scienze politiche e sociali) e il criminologo Simone Tuzza (Sociologia e Diritto dell’economia).

“Il libro prova a entrare nel ‘laboratorio segreto’ della polizia- spiega la sinossi- dove le distinzioni sociali e le gerarchie sono riprodotte, le classi «pericolose» sono separate da quelle «laboriose» e chi sta ai margini viene tenuto a bada. Contribuendo a plasmare una società ordinata e rispettosa dei valori condivisi dalla maggioranza della popolazione e dal potere politico, l’istituzione poliziale agisce per mantenere lo status quo. Attraverso un approccio critico, il volume intende demistificare un immaginario piuttosto diffuso e radicato, che vede la polizia titolare della missione costitutiva di prevenire e reprimere il crimine, e vuole provare a fornire una lettura differente: l’istituzione poliziale agisce come catena di trasmissione delle visioni e degli orientamenti valoriali che le sono propri e che caratterizzano il contesto di cui è parte, contribuendo a plasmare un ordine sociale piramidale e stratificato”.

La prima presentazione del volume si è tenuta ieri a Bologna in un’aula universitaria di Palazzo Hercolani. In dialogo con le/gli autrici/ori, altre/i tre docenti dell’Alma Mater: Alvise Sbraccia (Scienze giuridiche), Raffaella Sette (Sociologia e Diritto dell’economia) e Luca Martignani (Scienze politiche e sociali). Il libro nasce quindi dall’incontro tra più rami disciplinari dell’Ateneo e questo risponde all’idea di “portare avanti un ragionamento sull’oggetto polizia intrecciando i nostri diversi saperi e le nostre diverse prospettive”, racconta Fabini introducendo la discussione e sottolineando che “la ricerca sulla polizia in Italia non è particolarmente estesa, ma in questo momento sta vivendo una certa vivacità”: questo premettendo che si tratta di “un’istituzione che difficilmente si fa studiare e quindi bisogna cercare nuovi metodi di indagine, nel momento in cui non è possibile fare interviste e ricerche empiriche”. E dunque: “Qual è il centro da cui partiamo? Il fatto che la polizia fondamentalmente non combatte la criminalità. Questo è il mandato ufficiale che ha, è la fonte di legittimazione del suo potere, del monopolio dell’uso della forza legittima e del principio di autorità di cui si ammanta, ma in realtà la ricerca sociologica e la riflessione politica sulla polizia di stampo critico ci dicono che fa altro. Allora la nostra indagine, il nostro dialogo sull’oggetto polizia è andato nella direzione di cercare di comprendere questo altro: cosa fa effettivamente la polizia, cos’è la polizia e come si trasforma. Quello su cui siamo d’accordo, su cui abbiamo ragionato e che abbiamo cercato di sviluppare è l’idea che la polizia è fondamentalmente legata a un compito di mantenimento dell’ordine. E allora la questione è: quale ordine la polizia mantiene? Un ordine stratificato, un ordine gerarchico. L’ordine su cui è costruita tutta la nostra società”.

Tra gli spunti che costellano il dibattito, Martignani (che nei suoi studi si occupa della relazione tra realtà sociale e la rappresentazione affidata a fiction, cinema e letteratura contemporanea) chiama in causa i “giustizieri” dei film polizieschi, che “sono sovversivi perchè non seguono le regole” e adottano “comportamenti che si scontrano con la mission del poliziotto o del pubblico ufficiale”, mentre Sette sottolinea come possano registrarsi “reazioni opposte” sul binomio polizia-sicurezza: perchè spesso si sente dire “più sicurezza uguale più pattuglie visibili sul territorio, ma poi emergono elementi in contrasto con ciò perchè ci sono persone le quali sostengono che quando vedono molti poliziotti in un luogo pubblico scappano via perchè pensano stia succedendo qualcosa di grave”. Sbraccia, invece, rileva come “il poliziotto efficace non è assolutamente quello prono alla cornice giuridica che lo inquadra. Magari dice di esserlo, ma non lo è. Piuttosto, ne è interprete”: di fronte al rapporto “tra le culture di polizia, sia giuridica che professionale- continua Sbraccia- e politica criminale, la polizia metabolizza questa dialettica, compie un’operazione che in nessun caso può essere definita in termini di pura passività”.

Reagendo agli stimoli e ai commenti, gli autori si soffermano in particolare sul tema della discrezionalità e del rapporto tra politica e polizia. Tuzza rimarca che le forze dell’ordine “devono aprirsi alla ricerca, a tutti i livelli, ma il problema è che non lo fanno ed è per questo che anche sul piano teorico c’è difficoltà ad interpretare in un modo o nell’altro” l’agire della polizia, per cui le risposte su determinate linee di indagine possono essere diverse “a seconda delle sensibilità, del percorso e delle ricerche che ognuno di noi ha fatto”. In altri termini: “A seconda del singolo caso, del mandato e di cosa andiamo a studiare, noi possiamo vedere di più la strumentalità o di più la discrezionalità” nell’operato degli agenti, ma con un punto fermo: “Per noi la polizia è una rete interpretativa del sistema non solo politico, ma anche organizzativo e sociale”.

Per Gargiulo “la politica c’entra di più in determinati contesti e meno in altri, ma non è mai determinante fino in fondo rispetto all’agire concreto delle persone, che invece ha a che fare con il sapere e la cultura, con il come chi opera sul campo percepisce una situazione”. La politica in relazione all’agire della polizia, allora, va vista con una doppia accezione: “C’è la politica intesa come apparato dello Stato che decide e dice alle operatrici e agli operatori cosa fare. E c’è la politica intesa come la visione del mondo del singolo caposquadra o del singolo operatore, che fa dire loro ‘a questo do una manganellata e a quest’altro no’: perchè entrano in campo questioni di genere, di razza, di classe sociale”.