Il racconto nelle lettere-denuncia affisse per le strade dalle studentesse del collettivo transfemminista La Mala educación: “Messaggio chiaro all’Alma Mater, non è avulsa da dinamiche di violenza patriarcale”.
“Mai avremmo pensato di essere molestate da un professore universitario”. Inizia così una delle lettere affisse nei giorni scorsi dentro e fuori le facoltà dell’Alma Mater dalle attiviste di Malaconsilia, la consultoria autogestita del collettivo universitario transfemminista La Mala educación. A scriverla tre studentesse, che scrivono di aver “condiviso la stessa esperienza e la stessa ingiustizia”. Il docente in questione, raccontano, ha rivolto sguardi insistenti durante le lezioni, accarezzato il braccio di una studentessa, si è trattenuto a parlare in modo “anomalo e invadente” con alcune studentesse, cercando di “entrare in confidenza” raccontando “fin troppi elementi” della sua vita privata e sentimentale. All’esame si è poi spinto anche oltre, invitando un’esaminanda a un aperitivo in cambio di un voto più alto. Ad altre ha rivolto domande più personali che attinenti al corso.
Si legge nella lettera: “Mi chiama per nome, mi alzo pensando fosse arrivato il mio turno di sostenere l’esame e mi incammino per raggiungerlo. Mi dice di stare tranquilla perchè non avrei svolto la prova. Sistema una sedia e uno sgabello vicini, lui siede davanti al computer e mi chiede di aiutarlo a inserire i voti degli studenti. Mentre mi siedo, mi sussurra all’orecchio che ha un piacevole ricordo di me alle lezioni. Ha un fare languido mentre appoggia sulle mie cosce il quaderno coi voti. Mi incalza, poi, dicendo che non ci sarebbe stato nulla di male se, dopo l’esame e indipendentemente dal suo esito, fossimo andati a prendere un aperitivo insieme”. Poi arriva un altro esaminatore e la ragazza trova una via di fuga.
“Denunciare legalmente le molestie che subiamo, nelle strade così come nelle aule universitarie, non sempre, purtroppo, porta ad un risultato effettivo; troppo spesso, invece, ci espone ad ulteriore stress e violenza”, scrive il collettivo, “scrivere e pubblicare queste lettere è stato fondamentale per mandare un messaggio chiaro alla comunità accademica. Anche se in alcuni casi non si può procedere legalmente, noi sappiamo che l’università non è avulsa da dinamiche di violenza patriarcale e vogliamo denunciarlo”.
“Lo sportello della consultoria autogestita è stato fondamentale per intercettare episodi di molestie simili e a fare rete tra le ragazze che li avevano subiti”, aggiungono le attiviste, spiegando di volere continuare a “fare rete, creare comunità tra le persone che hanno subito una violenza”, a partire da “un questionario, rivolto non solo a studentə, studentesse e studenti ma anche al personale universitario per intercettare altri casi di violenza simili”.
“Vorremmo degli spazi universitari sicuri”, concludono, “i casi che vengono riportati al nostro sportello non sono episodi isolati, ma sono solo la minima parte di una violenza sistemica. Vorremmo che l’Università si interrogasse molto di più su questo, e riconoscesse le dinamiche di violenza patriarcale da cui non è immune in quanto luogo di potere all’interno della nostra società”.