Nove decessi e 107 nuovi casi di positività al Covid-19. Nuova mobilitazione della Rete di iniziativa anticarceraria. In mattinata fermati alcuni solidali ai reclusi nei pressi della Dozza. Accoglienza: Adl Cobas fa mailbombing verso Comune e Asp. Ya Basta su Cas di via Mattei: “No ai grandi centri, diritto alla salute per tutt*”.
Altri nove decessi e 107 nuovi casi di positività al coronavirus nel territorio metropolitano nelle ultime 24 ore rilevate, in tutto sono finora 3.142, di cui 348 nell’imolese. In Emilia-Romagna sono 21.486 i contagi accertati (+457 rispetto a ieri), a fronte di 112.105 tamponi (+5956), 2843 le persone che hanno perso la vita (+55), 316 le ricoverate in terapia intensiva (-9), 2887 quelle dichiarate guarite dopo essere risultate negative in due tamponi consecutivi (+419). I casi nelle altre province: 3.249 a Piacenza (26 in più), 2.698 a Parma (82 in più), 4.053 a Reggio Emilia (71 in più), 3.262 a Modena (45 in più), 709 a Ferrara (60 in più), 904 a Ravenna (15 in più), 752 a Forlì (16 in più), 595 a Cesena (7 in più), 1.774 a Rimini (25 in più)
Dopo la prima del 9 aprile, oggi dai balconi e nelle strade della città è andata in scena una seconda giornata di mobilitazione in solidarietà con i detenuti, promossa con un appello a firma Compagne e compagni di Bologna e Rete bolognese di iniziativa anticarceraria: “Anche a Bologna rompiamo l’isolamento, armiamoci di fantasia, riempiamo le strade di striscioni, tazebao, manifesti… non stiamo alla finestra: sosteniamoli! Per questo invitiamo ad autorganizzarci dove possiamo per dare visibilità alle lotte dei detenuti e delle detenute, per lasciare segni sulle strade che spezzino questo silenzio assordante! Tuteliamo la nostra salute ma lottiamo per quella di tuttx!”. Come una settimana fa, il sito oltreilcarcere.noblogs.org dà conto dello svolgimento dell’iniziativa.
Parlando ancora di iniziative in solidarietà ai detenuti, questa una testimonianza diffusa stamattina e inviata in redazione dall’Associazione Bianca Guidetti Serra: “Ci troviamo nel campo di fronte alla Dozza, per portare solidarietà a chi è recluso e dare risonanza all’iniziativa lanciata a Roma di parenti e solidali con i detenuti del carcere di Rebibbia, che hanno fatto un presidio. Siamo riusciti a parlare con alcuni dei detenuti: ci hanno detto che non hanno l’ora d’aria da due mesi, che non gli viene comunicato nulla, che le mascherine non ci sono, che non fanno colloqui e hanno solo dieci minuti di telefonata a settimana pagati da loro stessi. Mentre stavamo parlando coi detenuti sono arrivate polizia penitenziaria, digos e poliziotti che ci hanno fermato. Successivamente sono arrivate anche due camionette con poliziotti antisommossa”. Intanto fonti sindacali segnalano che all’interno del penitenziario sono anche quasi esauriti i posti per la quarantena delle persone risultate positive al Covid-19.
Passando invece alle vertenze di lavoratrici e lavoratori del settore dell’accoglienza, Adl Cobas ha promosso dal pomeriggio di oggi un mailbombing verso alcuni indirizzi del Comune di Bologna. L’iniziativa è nata dopo che venerdì scorso il sindacato di base aveva partecipato a una commissione del Consiglio comunale, tenuta per “parlare della sicurezza di educatori ed educatrici dei servizi alla persona della città di Bologna, alla quale eravamo presenti anche come Adl Cobas” e dove “c’è stata l’ennesima conferma che il comune ed Asp ‘se ne lavano le mani’ del settore accoglienza. Per prima cosa l’assenza degli assessori: l’assessora ad educazione, scuola, contrasto alle discriminazioni Zaccaria, Aitini con delega alla sicurezza, che detiene non di sua competenza l’argomento, Barigazzi con delega a sanità e welfare, che ha scaricato su dirigente ufficio di piano e servizio sociale territoriale Chris Tomesani e direttrice dei servizi alla persona di Asp Bologna Irene Bruno la risposta alle criticità portate. Nonostante come O.S. avessimo già mandato più volte lettere sollevando grosse problematiche, soprattutto nel settore accoglienza, accompagnate da richiesta d’incontro alla quale non abbiamo mai ricevuto risposta, alle puntuali domande poste da educatrici e sindacati le risposte sono state generiche e per nulla soddisfacenti”.
Adl chiede “perchè Asp, quindi il Comune di Bologna, non vuole prendersi carico delle problematiche di chi deve operare nel servizio di Accoglienza durante l’emergenza Covid-19? Un servizio, diventato per Asp essenziale con l’inizio dell’emergenza, completamente abbandonato. Come può Asp richiedere al personale di essere sempre presente nelle strutture, quando queste non sono idonee, non sono sanificate, non hanno uffici in cui l’operatrice o l’operatore possa lavorare, o non ha ancora le mascherine adeguate? Richiediamo quindi una chiara posizione da parte di comune ed Asp per quanto riguarda il settore accoglienza. Fino ad ora abbiamo sentito solo silenzio e bugie”.
Questo il testo inviato via mail da lavoratrici e lavoratori: “Buongiorno, sono una/un lavoratrice/ore del settore accoglienza. In questo momento il diritto alla salute della nostra categoria e degli utenti che assistiamo è minacciato da una mancanza di sicurezza nel servizio: molti di noi si trovano ancora ad operare senza DPI adeguati o in luoghi non sanificati come da DL 18/2020, oltre a non aver ricevuto un protocollo sulla sicurezza attraverso il quale operare con indicazioni chiare in caso di sintomatologia comprovata fra gli ospiti delle strutture. Sono inoltre a segnalare come il ruolo di operatrice/ore dell’accoglienza sia stato completamente snaturato e trasformato in una figura che assolve principalmente funzioni di controllo schiacciata dal peso dell’eccessiva burocrazia in alcuni casi richiesta. La situazione lavorativa che ci troviamo ad affrontare va a discapito di chi risiede nelle strutture di accoglienza, persone in posizione di vulnerabilità, che già vedono i propri percorsi di integrazione sospesi, e alle quali in queste condizioni non riusciamo ad offrire sostegno per affrontare questo difficile periodo. Quello che è stato messo in campo è stato fatto in maniera tardiva e non completa. Con questa mail contesto la gravità dell’inadempimento di provvedere alla sicurezza e prevenzione sul luogo di lavoro, l’omessa tutela del diritto alla salute del lavoratore imposta dall’art 32 Costituzione e dal corpo normativo del T.U. – D.Lgs. 9 aprile 2008 n 81 a Comune di Bologna, ASP e Prefettura, committenti del servizio nel quale opero”.
Restando in tema di accoglienza pubblichiamo un comunicato dal titolo: “No ai grandi centri di accoglienza, diritto alla salute per tutt*!” diffuso da Ya Basta Bologna: “In questi giorni, ogni volta che sentiamo riecheggiare alla radio, alla televisione o dal balcone del condominio vicino ‘restate a casa!’ non possiamo che pensare a quei luoghi di frontiera interni alle città in cui la ‘casa’ non è oggi un luogo sicuro. Tra questi, i grandi centri di accoglienza straordinaria e i centri di rimpatrio: insieme di container, grandi capannoni e/o vecchi edifici fatiscenti dove vengono sistemati centinaia di richiedenti asilo per mesi, e in alcuni casi per anni. A Bologna, all’interno del Cas di via Mattei vivono attualmente più di 200 persone. In seguito al sopravvenire dell’emergenza sanitaria, il Coordinamento Migranti insieme ad Asgi e altre realtà del mondo associazionista bolognese hanno inviato una lettera pubblica a Comune, Prefettura e Regione per denunciare le condizioni a cui sono costrette le persone migranti e gli/le operatori/trici dell’accoglienza all’interno del centro. Spazi ridotti, mancanza di servizi igienici adeguati e sovraffollamento sono solo qualche esempio, così come emerge dalle testimonianze dei migranti raccolte nel comunicato pubblicato ancora all’inizio di marzo”.
Spiega Ya Basta: “E’ passato più di un mese e alcun provvedimento concreto è stato assunto ne dalla Prefettura ne dal Comune a tutela delle persone che vivono e lavorando all’interno del centro se non una sorta di scaricabarile agli enti gestori che ovviamente non sono in grado di gestire autonomamente questa situazione emergenziale senza ulteriore supporto. Le istituzioni interpellate in queste settimane si sono limitate a ribadire l’importanza di rispettare le norme igieniche e i protocolli sanitari come unica strategia di prevenzione delle persone migranti accolte. Strategia evidentemente insufficiente e impossibile da realizzare in un luogo sovraffollato e insalubre come il Cas di via Mattei. L’ inattività delle istituzioni nell’adoperarsi per disinnescare la bomba sociale rappresentata dal Cas di via Mattei e trovare soluzioni alternative in strutture più adeguate, rende i grandi Cas e Cpr spazi dove si determina una differenziazione tra le vite da tutelare e non. Spazi dove si concretizzano e manifestano valori diversi della vita delle persone. Meccanismi brutali, crudeli, razzisti. Aver mantenuto e mantenere tutt’ora centinaia di persone rinchiuse in pochi e piccoli spazi a stretto contatto tra loro in assenza di qualsivoglia meccanismo adeguato di prevenzione nonostante la presenza in città di innumerevoli edifici vuoti vuol dire consapevolmente esporre i richiedenti asilo a un rischio da cui andrebbero preservati e contestualmente utilizzare proprio quei luoghi di ‘accoglienza’ come spazi di negazione dei diritti”.
“Ora più che mai -conclude il collettivo- il concetto di frontiera entra nelle città deserte che abitiamo. Frontiera come linea che delimita e circoscrive un campo, una condizione. Frontiera come discrimine fra mondi diversi, come barriera e confine, come riconoscimento o negazione di diritti. Dai campi informali situati ai confini europei passando per i grandi centri accoglienza la frontiera è ciò che determina la cultura della vita di serie A e quella di serie B. In questo contesto risulta oggi più che mai importante sperimentare un antirazzismo di rottura, portando con forza l’attenzione sulla salute di e per tutte e tutti, sulle frontiere che ci dividono e sugli strumenti necessari per distruggerle. Ci uniamo quindi alle persone migranti, ai collettivi e alle associazioni che nelle ultime settimane hanno denunciato le drammatiche condizioni interne al Cas di via Mattei per esigere insieme la piena tutela della salute dei/delle migranti e dei loro diritti”.