Stamattina Non una di meno al Nettuno con striscione e megafono. Diversi sindacati di base hanno proclamato l’astensione dal lavoro. Nuovo murale al 38, stasera “countdown party” a Vag61, domani a Modena con il lavoratori Italpizza [info treno].
Blitz di Non una di meno questa mattina in piazza del Nettuno.
Con striscione e fumogeni, scandendo slogan al megafono, le donne hanno comunicato l’appuntamento del prossimo otto marzo, data per la quale proclamano uno sciopero femminista di ventiquattro ore, che culminerà in un corteo cittadino serale.
“L’8 marzo sarà sciopero globale femminista – si legge nel comunicato stampa diffuso poco dopo – Per il terzo anno consecutivo, a Bologna come in altre città italiane, Non Una Di Meno lancia lo sciopero transnazionale delle donne, invitando chiunque rifiuti l’alleanza tra patriarcato, razzismo e neoliberalismo a incrociare le braccia e a interrompere ogni attività lavorativa. Formale e informale, gratuita o retribuita, dentro e fuori casa. Quello femminista sarà il primo sciopero politico contro le politiche razziste, sessiste e patriarcali di questo governo e dei governi che, in tutto il mondo, stanno attaccando le donne e chiunque lotti contro l’oppressione e lo sfruttamento. Sarà sciopero contro il disegno di legge Pillon su separazione e affido, che attacca le donne strumentalizzando i figli, e contro le mozioni anti-aborto. Sarà sciopero contro la violenza economica e una finanziaria che ha reso il reddito di cittadinanza un dispositivo di controllo classista. Sarà sciopero contro la legge Salvini, che impedisce la libertà e l’autodeterminazione delle migranti e dei migranti, legittima laviolenza razzista e prova ad ammutolire il dissenso. Sarà sciopero dei generi e dai generi, dal lavoro di cura e da tutte le altre forme di oppressione che l’eteronormatività e il sistema patriarcale incitano”.
Proseguono le femministe: “In Italia una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata vittima della violenza di un uomo, quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica e sessuale, ogni anno vengono uccise circa 200 donne dal marito, dal fidanzato o da un ex. Un milione e 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni di età. Un milione di donne ha subito stupri o tentati stupri. 420 mila donne hanno subito molestie e ricatti sessuali sul posto di lavoro. Meno della metà delle donne adulte è impiegata nel mercato del lavoro ufficiale, la discriminazione salariale va dal 20 al 40% a seconda delle professioni, un terzo delle lavoratrici lascia il lavoro a causa della maternità.Lo sciopero è la risposta a tutte queste forme di violenza e alla deriva reazionaria e autoritaria che, senza sosta, sta avanzando in Italia come nel resto del mondo. Per questo è stato sciopero globale e deve continuare a esserlo. In questi tre anni il processo attivato dallo sciopero femminista ha coinvolto circa 70 Paesi: dal Brasile alla Spagna, dall’Ungheria all’Argentina. Fino all’Italia dove lo scorso anno, nonostante le franchigie elettorali limitassero fortemente la possibilità di scioperare, in circa 70 città centinaia di migliaia di donne hanno incrociato le braccia e sono scese in piazza al grido di ‘Non Una di Meno'”.
Dunque, “a un mese dall’8 marzo, in Italia lo sciopero generale per l’intera giornata di tutte le categorie pubbliche, private e cooperative è già stato proclamato dalle sigle sindacali Cub, Usi e Usi-Ait, Usb, Sgb, Confederazione Cobas, Si Cobas, Adl Cobas, Cobas Comitati di Base della Scuola e Slai Cobas per il sindacato di classe – per garantire un’astensione dal lavoro produttivo e riproduttivo, nonché il coinvolgimento di tutte e tutti: lavoratrici e lavoratori, donne, lesbiche, froce e persone trans. Il conto alla rovescia è iniziato! Contro la violenza patriarcale e razzista della società neoliberale, lo sciopero femminista è la risposta!”.
Le attiviste ieri avevano partecipato a un’iniziativa promossa dall’Assemblea Antirazzista in Università a Lettere in via Zamboni 38, dove per l’occasione è stato realizzato il murale visibile nella fotografia qui sotto.
Per questa sera invece invitano a raggiungere dalle 22,30 lo spazio autogestito Vag61 in via Paolo Fabbri 110 per un “countdown party” con live music e djset “di autofinanziamento per la cassa mutua a sostegno dello sciopero dell’8 marzo, perché se non si balla non è la nostra rivoluzione”.
Per domani, infine, l’appello è a unirsi a “Nonunadimeno Modena al corteo delle lavoratrici e dei lavoratori di Si Cobas a Modena, che partirà alle 14,30 da Largo Porta Sant’Agostino: per partire tutte tuttu e tutti insieme da Bologna verso Modena, sabato vediamoci in stazione centrale, piazza delle Medaglie d’Oro, alle ore 13!”.
“In questi mesi Non una di Meno – si legge in rete – ha seguito e sostenuto lo sciopero e la lotta delle lavoratrici di Italpizza perché ci riconosciamo in quella battaglia, perché sappiamo che la lotta contro lo sfruttamento non può essere separata da quella contro il razzismo e per la liberazione delle donne. La violenza sessuale, le molestie e il razzismo sono strumenti da tempo utilizzati per incrementare lo sfruttamento lavorativo e le gerarchie dentro e fuori i posti di lavoro. Se sei una donna migrante, che lavora a Italpizza oppure alla Yoox, in un albergo oppure in un grande centro commerciale, in fabbrica o in un ospedale, sei soggetta a un triplo ricatto: quello del lavoro, quello del permesso di soggiorno e quello di una società patriarcale che continuamente cerca di mantenere le donne in posizioni di ricatto e di subordinazione. In queste posizioni le donne hanno dimostrato di non voler stare, di rifiutare quel ricatto e quel destino di doppio sfruttamento, trasformando le loro lotte in sciopero femminista”.
Continua il testo: “La potenza del movimento femminista è esplosa da ormai tre anni in tutto il mondo e risuona nelle lotte delle lavoratrici di Italpizza, come in quella delle tessitrici in Bangladesh, è la lotta delle donne polacche e irlandesi e della marea femminista Argentina. La lotta delle lavoratrici di Italpizza ha dato luce ad una situazione di sfruttamento che supera i confini della singola azienda.
Tra i sindacati che hanno indetto lo sciopero per la giornata dell’otto marzo, “i Cobas (Confederazione dei Comitati di base) – scrivono i primi – nel ribadire l’importanza della lotta ai rapporti di potere e alle gerarchie su cui si sono sempre fondati sia il sistema patriarcale sia quello capitalista e liberista, sostengono l’appello lanciato dalle donne di tutto il mondo e convocano lo sciopero per l’8 marzo 2019. La violenza maschile sulle donne e la violenza di genere sono una conseguenza di quei sistemi e si manifestano in tutte le loro forme: stupri, insulti e molestie, violenza domestica e femminicidi che sono ancora all’ ordine del giorno. Scioperiamo dunque l’8 marzo per dire No alla violenza degli uomini sulle donne, NO all’ennesimo attacco dei governi sui diritti delle donne, no al decreto Pillon, No al decreto ‘in-sicurezza’ e per lanciare una grande mobilitazione contro il governo razzista e xenofobo di Di Maio e Salvini”.
Per il Sindacato generale di base lo sciopero dell’8 marzo sarà un’occasione per condividere un femminismo che si intreccia con le altre lotte di giustizia sociale ed economica, che quotidianamente portiamo avanti con le lavoratrici e i lavoratori di tutti i settori; una lotta che non si riduce alla lotta della donna bianca per il suffragio femminile, ma diventa la battaglia di tutti verso una società più equa e inclusiva. Su questi presupposti, invitiamo tutte delegate e delegati, iscritte e iscritti a Sgb a partecipare al percorso che condivideremo verso lo sciopero dell’8 marzo, per decidere insieme le iniziative nella giornata di lotta dell’8 marzo”.
Così Adl Cobas Emilia Romagna: “Ci sentiamo pienamente parte di questo movimento globale che con un appello poderoso ha lanciato per il terzo anno la mobilitazione contro la violenza del capitalismo attraverso le forme del patriarcato, del razzismo istituzionale, del montante autoritarismo reazionario ed è per questo che rispondiamo positivamente proclamando lo sciopero a livello nazionale. In particolare, in Emilia-Romagna riteniamo che il percorso di organizzazione e mobilitazione intrapreso negli ultimi mesi all’interno del settore dell’accoglienza, dei servizi socio-educativo e socio-assistenziali contro le conseguenze della legge Salvini ‘immigrazione e sicurezza’, la legge ex -Iori e dl Lorenzini e per un miglioramento delle condizioni di lavoro tramite il rinnovo del ccnl, possa cogliere nella mobilitazione femminista un importante passaggio: per questo lanciamo per l’8 Marzo lo sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori del Terzo settore e vogliamo costruire, insieme a Nudm e a chi aderisce al percorso di agitazione permanente, un’iniziativa regionale come uno dei momenti nel quale si articolerà la giornata di sciopero femminista a Bologna”.
Queste alcune delle motivazioni dell’agitazione elencate da Usi-Ait: “Contro il ‘femminicidio’ e le violenze fisiche, psicologiche, morali contro le donne e le lavoratrici, contro le discriminazioni e le penalizzazioni sui posti di lavoro ai danni delle lavoratrici, per la piena ed efficace tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, per il salario-reddito minimo intercategoriale non inferiore a 1300 euro netti mensili, per la parita’ di salario a parità di lavoro e la riduzione dell’orario di lavoro, contro gli effetti della precarieta’ lavorativa, per la stabilizzazione di precari e precarie, per l’abbassamento dell’eta’ pensionabile per le donne come “riconoscimento” del lavoro salariato e del lavoro familiare, per i diritti sociali e di cittadinanza, per uguali diritti per lavoratrici e lavoratori immigrate-i, per la cessazione e il divieto di indagini sulla condizione matrimoniale, di maternita’, di orientamento sessuale, su assunzioni o licenziamenti di donne e lavoratrici”.
L’Unione sindacale di base declina “uno sciopero dalle attività produttive ma anche uno sciopero dei consumi e da quel lavoro domestico e di cura, che ancora troppo spesso grava in via esclusiva sulle donne, siano esse native o migranti, che fungono da ammortizzatore sociale di un welfare sempre più privatizzato. Uno sciopero per dire basta alla violenza maschile sulle donne, ai femminicidi, alle discriminazioni di genere e alle molestie nei luoghi di lavoro. Uno sciopero per urlare che non se ne può più delle disparità salariali, della disoccupazione/inoccupazione, della precarietà giovanile e di pensioni da fame in vecchiaia, della segregazione lavorativa, del ricorso massiccio al part time involontario, di lavori non qualificati nonostante una maggiore scolarizzazione, di richiesta di dimissioni in bianco all atto dell assunzione. Uno sciopero a difesa della L. 194 e per il potenziamento della rete nazionale dei consultori; per il ritiro del ddl Pillon su separazione a affido, per opporsi al diritto di lavorare fino al giorno del parto introdotto da questo governo. Uno sciopero per denunciare la legge Salvini, una legge razzista, che impedisce la libertà di movimento dei migranti e delle migranti, condannando queste ultime a ripetuti stupri e violenze nei luoghi di transito”.
Così i Si Cobas: “Si pensi alla disparità salariale che limita la libertà economica delle lavoratrici. Si pensi all’enorme divario tra il congedo di maternità e il congedo di paternità che sancisce di fatto l’accudimento della prole come un obbligo di pertinenza delle madri. Si pensi alle migliaia di bambine e donne immigrate che vengono assoldate nella tratta della prostituzione e che per ripagare i debiti delle proprie famiglie diventano da un lato merce di scambio, dall’altro lato appagano le storture maschiliste più malate della società, e gli esempi sarebbero ancora molti. In questa cornice, nel clima attuale di repressione delle lotte e delle libertà collettive e individuali, il ‘governo del cambiamento’ riesce a portare a segno un colpo bassissimo con il decreto Pillon, che andrà a caricare di ulteriori difficoltà la quotidianità di centinaia di migliaia di donne, perchè si inserisce in un contesto dove non solo è completamente inesistente il welfare, ma anche dove il lavoro domestico svolto dalle donne è considerato un non-lavoro e non una occupazione vera e propria che lo stato dovrebbe salariare. Nessuno di questi problemi potrà essere risolto se non attraverso la lotta”.