Attualità

Lo smantellamento della sanità pubblica: oggi con Meloni come ieri con l’Ulivo

Che l’attuale Governo stia smontando pezzo per pezzo il diritto universale alla salute è piuttosto evidente, ma la politica dei tagli non è certo nata oggi: ripubblichiamo un’intervista pubblicata da Zic nel 1997 che racconta la lotta delle/gli specializzande/i costrette/i allo sciopero della fame per farsi ascoltare.

08 Gennaio 2024 - 12:55

Nei mesi scorsi politici delle diverse parrocchie hanno affermato a più riprese che il Servizio sanitario pubblico è “un patrimonio prezioso da difendere e adeguare”, ma a quanto pare il verbo “adeguare” è concepito da molti rappresentanti istituzionali come un ridimensionamento che produce altri danni e sciagure su un sistema sanitario in uno stato di agonia e di perenne calamità.

I dati del progressivo definanziamento lo stanno a dimostrare. C’è un calo costante dell’incidenza della spesa per la sanità sul Pil: in cinque anni, tra il 2020 e il 2025, si passa dal 7,4% al 6,2%, cioè 1,2 punti in meno. Che il governo Meloni stia smontando pezzo per pezzo il diritto universale alla salute è piuttosto evidente. Avanti di questo passo siamo vicini al definitivo colpo di grazia. Le responsabilità attuali sono del Governo delle destre, ma la politica dei tagli alla sanità pubblica non è questione recente, l’articolo che ripubblichiamo uscì su Zero in condotta nel mese di dicembre del 1997, quando al governo del paese c’era l’Ulivo.

E’ il racconto della lotta “disperata” dei giovani medici specializzandi costretti allo sciopero della fame per essere ascoltati da qualcuno.

E’ passato più di un quarto di secolo e la “strada sgangherata” intrapresa a quei tempi sta portando inesorabilmente verso il baratro.

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Medici senza mangiare

Cosa sta dietro lo sciopero della fame dei medici specializzandi di Bologna? Una serie di dati inquietanti: in area medica, l’Italia produce il 70% di disoccupazione di tutti paesi dell’Unione Europea. Nelle Aziende Usl le assunzioni sono bloccate, senza gli specializzandi che coprono i buchi d’organico gli ospedali si bloccherebbero. Sono seimila e cinquecento i medici delle scuole di specializzazione, settantacinquemila sono invece quelli già specializzati che svolgono lavori saltuari e precari

Il governo dell’Ulivo nelle scorse settimane non ha certo brillato per umanità e comprensione dei conflitti sociali. Le immagini strazianti delle poche centinaia di profughi albanesi imbarcati a forza, la polizia che dopo diversi anni ritorna dentro una scuola e caccia in malo modo gli studenti occupanti, una ministra della Repubblica (la “pasionaria” Rosy Bindi) che non si fa “ricattare” dai giovani medici in sciopero della fame e dichiara: «Non posso condividere il metodo con cui volete richiamare l’attenzione delle Istituzioni sui vostri problemi e perciò, se volete un incontro con me, dovete sospendere lo sciopero».

Forse, per cercare di interpretare quello sta succedendo, nel caso degli specializzandi, è utile prendere a prestito le parole che sono uscite durante l’incontro dei medici in lotta tenutosi nell’aula di Oculistica del Sant’Orsola lo scorso 8 dicembre: «In una società che comprime fortissimamente il conflitto sociale, lo stesso emerge in forme patologiche ed estreme. Non c’erano scioperi della fame quando esistevano grandi movimenti di massa. Una riduzione forte del potere contrattuale diffuso spinge a realizzare l’unica possibilità di farsi sentire. E’ una legge del conflitto sociale. Purtroppo, tanta parte di questo paese ha lavorato al contrario: per demonizzare il conflitto, pensando che gli scioperi sono un male. Così si arriva a ricercare nelle forme estreme l’unica possibilità per farsi sentire, per forare l’obiettivo di quel media infernale che è la televisione. I giovani medici stanno facendo una battaglia giusta per difendere la dignità del lavoro e del servizio sanitario pubblico. Ma la forma estrema dello sciopero della fame a cui sono stati costretti è la dimostrazione dell’oscuramento a cui è stato sottoposto il concetto e la pratica del conflitto sociale».

Finalmente, nel pomeriggio dello stesso giorno dell’assemblea, la ministra Bindi ha accettato di ricevere una delegazione dei medici specializzandi. Ma, anche in quel contesto, la “Rosy tutta d’un pezzo” ha ribadito che «queste forme di lotta radicali possono compromettere eventuali accordi».

Per comprendere meglio i motivi e le ragioni di questa lotta abbiamo incontrato Eugenio Pagano, uno specializzando di medicina dello sport, che fa parte di quel gruppo di medici che da questa vertenza vorrebbero tenere distante ogni discorso neo-corporativo sul numero chiuso.

Quando è iniziata questa lotta?

«I medici specializzandi delle università italiane sono in agitazione dallo scorso 13 ottobre ed esprimono una consapevolezza delle proprie condizioni di sfruttamento e una rabbia che non avevano mai mostrato prima.

In effetti, anche se in passato sono state organizzate proteste e scioperi, queste non hanno mai avuto una così compatta adesione e per così lungo periodo; il 31 ottobre scorso i medici delle scuole di specializzazione di Bologna si sono uniti allo sciopero nazionale. Questa lotta punta, da una parte, a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla complessa questione degli specializzandi e sulle pesanti ricadute che questo problema ha sui servizi sanitari all’utenza (ovvero i cittadini che necessitano di prestazioni sanitarie specialistiche, e che per questo pagano un ticket). Dall’altra, vuole fare pressione sulle autorità pubbliche locali (Assessori, Presidente della Regione, Rettore, Direttori delle Scuole di Specializzazione, forze politiche), e sul Governo con cui, da parecchio tempo, i rappresentanti dell’AMSCE e dei Medici Specializzandi cercano di trattare per fare approvare le modifiche alla legge 257/91. La legge 257 del 1991 è quella che recepisce una direttiva CEE del 1982 sulle scuole di specializzazione e che ha come punti fondamentali: la programmazione del numero degli specialisti in base al territorio, una formazione adeguata agli standard europei, uno status giuridico che in Europa prevede la figura del medico equiparato all’assistente di primo grado».

Da dove nasce la vostra rabbia?

«La delusione e la rabbia dei medici specializzandi nascono dall’avere preso coscienza che dopo tanti anni di studio e di lavoro saranno esclusi da un mercato del lavoro reso sempre più asfittico dai pesanti tagli al sistema sanitario nazionale voluti dalla Ministra della Sanità Rosy Bindi, “splendida” emanazione di questo Governo, che le vorrebbe dare completa carta bianca, con ben due deleghe, per la “insana” modifica delle leggi 517 e 502 che prevedono una normativa per le visite specialistiche (le visite specialistiche devono essere fatte da medici già specializzati), con l’unico risultato di provocare ulteriori e più pesanti ricadute sulla Sanità, ed ancora non sappiamo con esattezza che cosa ci attende. Delusione dunque degli Specializzandi perché hanno finalmente capito di essere entrati anche loro a pieno titolo nella lunga schiera dei lavoratori precari, eternamente in “formazione”, sparsi a varia distanza sul territorio alla ricerca di nicchie di lavoro mal pagate e poco gratificanti.

Partiti con idee più o meno romantiche sul corso di laurea in Medicina e sulla possibilità di svolgere una professione di valore etico e sociale, o irretiti dal miraggio di facili e lauti guadagni, si sono impattati con una realtà che lascia ben poco spazio ai sogni, di qualunque natura essi siano. Una volta conseguita la laurea in medicina e chirurgia, prendono in breve coscienza di non avere, nel proprio bagaglio professionale, che pochi e confusi strumenti teorici e devono fare i conti, a proprie spese, con la scarsa preparazione alla pratica clinica ed un bagaglio di conoscenze inadeguato allo svolgimento della attività professionale sul campo. La delusione aumenta nel constatare che coloro che si sono laureati ed abilitati dopo il dicembre ’94 hanno solo due possibilità per poter lavorare: i corsi biennali per l’inserimento nelle caotiche graduatorie regionali della medicina di base (60 posti su tutto il territorio regionale ogni 2/3 anni) o le scuole di specializzazione (circa 200 posti a Bologna nel ’97), entrambi a numero chiuso, con tutto ciò che si può immaginare a proposito delle possibilità di accesso, per chi non usufruisca di conoscenze e di appoggi nei “centri che contano”».

Ma cosa succede ai “fortunati” che riescono ad entrare nelle scuole di specializzazione?

«Ben presto si rendono conto che, lungi dall’essere i luoghi della formazione specialistica, le scuole sono i luoghi dove si sta organizzando un modello di sfruttamento, nuovo almeno per i medici, che prevede l’utilizzo sistematico degli specializzandi (38 ore la settimana) in sostituzione di medici di ruolo, da tempo, in cronica carenza di organico.

Questo modello ha palesato l’obiettivo da parte della Direzione Sanitaria, di rendere compartecipi i medici specializzandi di una truffa ai danni di se stessi e della utenza che si aspetta, con diritto, una assistenza sanitaria quanto meno decente, visti tra l’altro i costi imposti per ogni tipo di prestazione e scaricati sull’utenza stessa.

Dunque, gli specializzandi hanno capito finalmente di essere gli strumenti di una truffa organizzata dal governo con la complicità della Direzione Sanitaria e dei Direttori delle Scuole di Specializzazione, che permette di risparmiare al sistema sanitario, i conti sono ancora approssimativi, circa 2.000 miliardi l’anno e di non creare nessun posto di lavoro, potendo utilizzare manodopera precaria e a bassissimo costo.

La nostra borsa di studio è di 22 milioni e 600 mila lire l’anno; su questa cifra paghiamo le tasse universitarie (2 milioni e 100 mila) e le tasse d’iscrizione all’Enpam e all’Ordine dei Medici (1 milione e 200 mila). Ci restano quindi un milione e cinque, un milione e seicento mila lire al mese.

Gli specializzandi, in questo gioco delle parti, rappresentano gli utili idioti dal ruolo più sfigato, che non li vede tutelati neanche da un punto di vista giuridico e medico-legale, infatti essi, mentre offrono delle prestazioni medico-sanitarie (di qualità medio-bassa) in sostituzione di uno specialista, possono essere chiamati a rispondere, in qualunque momento di ben tre diversi reati penali: truffa, usurpazione di pubblica funzione ed esercizio abusivo della professione.

Mentre aiutano l’Università e la Direzione Sanitaria a coprire i vuoti di organico, dando illegalmente prestazioni medico sanitarie al posto degli specialisti e quindi rendendosi artefici della propria futura disoccupazione, dall’altra parte si rendono responsabili di almeno tre diversi reati, di cui, quando nascono problemi, devono rispondere in prima persona, poiché soltanto in seconda istanza risponderanno i Direttori delle Scuole».

Questa sigla AMSCE che ha gestito la protesta sta per…?

«Associazione Medici Specialisti della Comunità Europea. E’ nata nel 1994 e sostiene una proposta di modifica alla Legge 257/91. Si tratta della cosiddetta proposta Petrella che prevede la formazione a tempo pieno in conformità con le norme Cee; una programmazione in cui le regioni, con cadenza biennale, sono tenute a pubblicare i dati rilevati in merito al numero dei medici specialisti da formare secondo le necessità regionali; un contratto di lavoro a termine finalizzato alla formazione, equiparato al 1° livello di assistenza sanitaria.

Su queste proposte l’AMSCE ha indetto dal 13 ottobre l’astensione nazionale ad oltranza degli specializzandi».

Nel corso dell’assemblea il vostro gruppo ha fatto un intervento critico.

«Abbiamo deciso di intervenire perché, nel corso di questo mese, ci sono sorti alcuni dubbi e vogliamo comprendere il senso reale della mobilitazione ed il suo punto di arrivo, cioé quello che siamo riusciti ad ottenere.

Ad esempio, a nostro avviso, è importnte rimarcare il fatto che non si é voluto curare il coinvolgimento degli studenti di Medicina, né dei medici neolaureati, né di tutte quelle categorie di lavoratori che in ambito sanitario trovano di fatto problematiche analoghe alle nostre. Vogliamo ricordare che i numeri vanno compresi, ed in questo caso comprenderli significa conoscere la reale situazione occupazionale della Sanità, considerando l’attuale politica di tagli sull’organico che questa ha prodotto e continuerà a produrre.

Sull’onda emotiva della disoccupazione medica si rischia in sostanza di non considerare tutta la problematica ad essa attinente e di limitarsi a riproporre la chiusura delle Università a vasti settori giovanili ribadendo il diritto allo studio e alla cultura come diritto di casta e non più sociale. Non é banale né demagogico affermare che non si deve negare ai giovani il diritto alla conoscenza e alla cultura.

Noi siamo per una protesta che verta sulla definizione del nostro status giuridico e sul miglioramento della nostra formazione e non possiamo che essere in assoluto disaccordo con forme di corporativismo miope».

Perché siete intervenuti solo a protesta inoltrata?

«Più volte gli scioperanti della fame hanno esortato a non creare ostacoli a quella che definivano l’alta velocità del treno della protesta e dalla sottintesa e inevitabile “coercizione” morale per le loro condizioni fisiche».

Come mai si è arrivati allo sciopero della fame?

«Non c’era la minima risonanza sui media alla nostra lotta. Scioperi in ottobre in varie città, manifestazione nazionale a Roma il 18 novembre, con blocco del traffico per tre ore e cariche della polizia, manifestazione nazionale a Milano il 1° dicembre. Di queste iniziative solo qualche riga sulla stampa locale, nelle pagine nazionali dei quotidiani e per i Tg quasi nulla. E’ per queste ragioni che 15 persone decidono di partire a Bologna con il rifiuto del cibo, fino alle estreme conseguenze.

A questo punto, è chiaro che gli obiettivi delle telecamere si bucano: arrivano il Maurizio Costanzo Show, Uno Mattina, Moby Dick, Quelli che il calcio…, Striscia la notizia… ma della Bindi nessuna traccia.

La notizia, in questo modo “drammatica”, è circolata e si è arrivati, comunque con tante difficoltà, all’incontro tante volte annunciato e revocato con la signora Ministra…».

Cosa vi ha proposto?

«La nostra richiesta era quella di arrivare a un contratto a tempo determinato finalizzato alla formazione; la sua risposta è stata un contratto atipico, para-subordinato, a prestazione professionale coordinata e continuativa, con il 12% di copertura previdenziale? Voi cosa ne dite…?».

Diciamo che ci sembra pazzesco che siano il governo, lo Stato e l’Amministrazione pubblica ad adottare una delle forme di sfruttamento più in voga nel settore privato, spacciando per “libera professione” quello che in realtà è un lavoro subordinato non tutelato contrattualmente.