Acabnews Bologna

Scatta lo sciopero contro Confindustria che spinge per deroghe e riaperture

Lo ha indetto Usb, che segnala inoltre di aver proposto in Gd di realizzare macchinari per produrre dpi. Comune, Cobas: “No al blocco spese del settore cultura”. Ciclofattorini oggi a Palazzo d’Accursio: “Imporre alla piattaforme ordini scaglionati” per evitare assembramenti. Coordinamento migranti: “Dalle strutture di accoglienza si va a lavorare come e più di prima”.

10 Aprile 2020 - 10:40

Incrociano le braccia oggi e martedì prossimo gli operai dell’Emilia-Romagna insieme a quelli di Lombardia, Veneto e Piemonte. A proclamare l’astensione dal lavoro è l’Unione sindacale di base, per dare “una risposta di lotta immediata” all’appello diffuso ieri dai leader di Confindustria delle quattro regioni per spingere alla riapertura delle imprese, paventando chiusure e stipendi non pagati. “Si conferma lo stato di agitazione”, scrive inoltre il sindacato “sul resto del territorio nazionale contro le riaperture, le deroghe facili alla ripresa delle attività non essenziali e contro la mancanza di vere misure di sicurezza”. Il sindacato evidenzia che “oltre alle aziende autorizzate per decreto tramite i codici Ateco, già oggi sono 71.000 le aziende che si sono autocertificate come ‘essenziali’ per poter continuare a produrre e di queste il 67% solo in queste quattro regioni. Mai sazia, ora la Confindustria minaccia l’intero paese e pretende la riapertura generalizzata della produzione e chiede deroghe alle misure di sicurezza, mettendo cosi’ in pericolo milioni di lavoratrici e lavoratori e l’intera popolazione”. Così facendo “mette al primo posto i loro profitti con l’evidente conseguenza di dare nuovo slancio all’epidemia ancora in corso sia per gli assembramenti che si avranno nei luoghi di produzione sia nei mezzi di trasporto”.

Sempre Usb segnalata di aver scritto alla direzione della Gd perché valuti “concretamente la possibilità di impiegare il patrimonio di conoscenza tecnologica” e le  proprie “elevate professionalità” per realizzare, “in un periodo sufficientemente breve, macchine per la produzione di dispositivi di protezione individuale”.

L’amministrazione comunale nel tentativo di raggiungere un raggiungere un “irrealizzabile pareggio di bilancio” decide di “bloccare tutte le spese del settore Cultura, azzera gli eventi e pensa al taglio delle aperture e dei salari dei lavoratori esternalizzati di musei e biblioteche”. Lo denunciano i Cobas del Comune di Bologna secondo cui dopo le “finte rassicurazioni i nodi vengono al pettine”

Spiegano i Cobas che in questi giorni dal settore Cultura del Comune à arrivato “l’incredibile ordine di bloccare ‘precauzionalmente’ tutte le spese. Anche quelle già previste”. Si tratta di “un bruschissimo e allarmante dietrofront rispetto alle roboanti dichiarazioni d’intenti al recente ultimo incontro sindacale ufficiale con la dirigenza” nel quali si è assicurato che “nessuno perderà un euro di salario” e che “amplieremo le aperture per recuperare le ore” e di “una scelta suicida per l’unico settore comunale che puo’ e deve in questo momento drammatico sostenere il sistema culturale”. Il sindacato chiede invece la conferma dele “spese in cultura già previste per il 2020”, prevedendo “forti politiche di sostegno all’intero settore culturale”, reclamando che siano estese le assunzioni di personale in ambito culturale “che, lo ricordiamo sono già previste dal piano del fabbisogno del personale e più volte annunciate, ma al palo da oltre due anni”.

Tornano a farsi sentire anche i ciclofattorini: “Anche durante questa pandemia noi riders abbiamo dovuto fare i conti per l’ennesima volta con l’amara realtà della nostra condizione di precari, senza ammortizzatori sociali ed obbligati a stare in strada in quanto ‘servizio essenziale’. Per questo motivo”, scrive Riders Union, “abbiamo iniziato a scioperare contro il ricatto insostenibile di dover scegliere tra salute e reddito. Un primo esito della nostra mobilitazione è stata la convocazione online per domani mattina (oggi, ndr) delle Commissioni Attività Produttive, Commerciali e Turismo  e Mobilità Infrastrutture e Lavori Pubblici del Consiglio Comunale di Bologna. Unico punto all’odg lo stato dei diritti e della sicurezza dei ciclofattorini in città”. Il collettivo parteciperà alla commissione, rivendicando ancora una volta di essere riconosciuti come lavoratori subordinati: “Continuiamo a lavorare da ‘falsi autonomi’ nonostante le sentenze definitive in Italia e nel resto del mondo ormai dichiarino il contrario. Ci chiediamo, oggi più che mai: è possibile tollerare il lavoro a cottimo, senza diritto alla malattia e senza garanzia alcuna? Segnaliamo inoltre che continuiamo ad essere esposti al ranking reputazionale, che ci sottrae punteggio se non mettiamo disponibilità: che succede se qualche lavoratore, particolarmente esposto al ricatto della fame grazie anche all’assenza di strumenti universali di protezione del reddito, decidesse di lavorare pur in presenza di sintomi per non precipitare nelle statistiche aziendali? È più che mai necessario tornare a ribadire che ci spettano tutti i diritti dei lavoratori subordinati e che i sistemi discriminatori di valutazione che mettono a repentaglio la salute pubblica vanno aboliti”.

In commissione Riders Union poterterà anche la richiesta di fornire a tutte e tutti dispositivi di protezione individuale, che a più di un mese dall’inizio dell’emergenza molte piattaforme continuano a non fornire: “Solo le aziende firmatarie della Carta di Bologna stanno adempiendo a questo obbligo”, a differenza di quelle “facenti capo ad Assodelivery”, quella di potere eleggere a livello aziendale e metropolitano gli RLS (rappresentanti del lavoro sulla sicurezza” e interventi sull’organizzazione del lavoro, poiché davanti ad alcuni locali sussistono “assembramenti di riders in fila per ritirare gli ordini. Segnaliamo che ciò non si può addebitare a noi riders. Servono regole per prevenire questi fenomeni a monte. Si deve imporre alle piattaforme, per tutta la durata dei decreti che prevedono le misure di distanziamento sociale, di scaglionare gli ordini e gli orari di ritiro in modo da non creare code dove è difficile mantenere le distanze di sicurezza. La tecnologia rende possibile ciò: essa non può essere sempre e solo uno strumento nelle mani delle aziende per controllare e sfruttare il lavoro; al contrario deve essere usata per fini sociali e per mettere in sicurezza il lavoro e la salute pubblica. Con uno scaglionamento degli ordini e degli orari di ritiro le aziende devono rinunciare a qualche consegna? Pazienza: salute e sicurezza vengono prima del profitto. Anche gli esercenti devono essere coinvolti e responsabilizzati in questo necessario processo di messa in sicurezza del lavoro”. In conclusione, i ciclofattorini chiedono che sia stilato “un regolamento prescrittivo che valga in maniera universale per tutte le piattaforme operanti in città. Vanno inoltre creati meccanismi di monitoraggio e di controllo sistematico che prevedano anche la partecipazione delle rappresentanze autonomamente scelte dai riders, oltre alle istituzioni competenti. Per le piattaforme è finito il tempo degli alibi, una consegna non vale il rischio!”.

Tra chi paga più pesantemente la crisi poi ci sono poi imigaranti: molti “hanno perso il lavoro, altri sono costretti a usare le loro ferie per coprire la chiusura delle attività. Molti altri invece sono costretti a lavorare per un padrone che gli dà un salario misero e in uno Stato che gli dà un permesso di soggiorno che rimane breve e precario”. Lo scrive il Coordinamento migranti. Si legge poi: “In Emilia-Romagna, come in Lombardia, dalle strutture di accoglienza si va a lavorare tutti i giorni e tutte le notti, come e più di prima: cooperative e agenzie interinali utilizzano i richiedenti asilo per sostituire i lavoratori della logistica malati, assenti o in sciopero. Mentre la distribuzione dovrebbe essere limitata ai beni essenziali, i padroni dei magazzini vogliono che il lavoro continui per smistare merci di ogni tipo. Molte donne migranti lavoratrici domestiche si ritrovano da un giorno all’altro non solo senza lavoro ma anche senza casa, altre non sanno come sostenere i loro figli in mancanza di salario e senza sussidi e quindi sono costrette a lavorare a rischio di contagio. Chi ha un permesso scaduto o in via di scadenza, chi ha ricevuto un diniego e attende l’esito del ricorso è abbandonato a se stesso, senza la possibilità di trovare un regolare contratto di lavoro, né una casa in affitto in cui proteggersi dal virus, in alcuni casi senza una valida tessera sanitaria. Attualmente le procedure per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno sono sospese, e i permessi in scadenza sono prorogati fino al 15 giugno. Ma, finita questa emergenza, sarà ancora richiesto avere un contratto di lavoro e un determinato reddito? Quando torneremo alla normalità, i migranti e le migranti che durante l’emergenza hanno perso il lavoro o hanno visto ridotto orario e salario dovranno ancora sottostare ai requisiti di legge per rinnovare il permesso? Cosa succederà ai tanti richiedenti asilo messi al lavoro per garantire i consumi ‘essenziali’ di chi ha una casa per difendersi dal virus? Le commissioni territoriali considereranno le loro storie di sfruttamento come eroiche? Concederanno il diritto di restare? A quali condizioni? Che cosa se ne faranno i migranti e le migranti della normalità visto che loro vivono sempre nell’eccezione?”.