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Migranti in piazza: “Contro chi non ci vuole fare respirare!” [video]

Presidio in piazza Nettuno, promosso da Coordinamento Migranti e altre realtà. E se il Tribunale di Milano ha commissariato Uber con l’accusa di caporalato, questo “è un sistema che conoscono bene anche i/le migranti di Bologna e altre città, che lavorano non solo nel delivery ma nei magazzini dell’Interporto, nelle fabbriche e nelle campagne”.

30 Maggio 2020 - 18:47

“Abbiamo deciso di alzare la voce e oggi siamo scesi in piazza: vogliamo un permesso di soggiorno europeo incondizionato e illimitato! Spezziamo le catene del lavoro migrante!”. E’ il messaggio che arriva da piazza Nettuno, a Bologna, dove oggi pomeriggio si è svolta la manifestazione promossa dal Coordinamento Migranti e numerose altre realtà: Ascai Bologna, Associazione Camerunense – Associazione Benininesi per la fraternità – Appennino Migrante – Associazione Lavoratori Marocchini in Italia – Associazione Senegalese Chaikh/Anta Diop – Comunità del Sierra Leone – Comunità Gambiana di Bologna – Comunità Nigeriana di Bologna – Comunità Pakistana Bologna – Coordinamento Eritrea Democratica – Diaspora Guineana dell’Emilia-Romagna – Yeredemeton Comunità Maliana. Anche Vag61 ha rilanciato l’appello a scendere in piazza. “Dalla Spagna al Marocco, dal Libano alla Francia, dalla Germania al Belgio, dalla Turchia fino a Parigi, dove la polizia sta caricando il corteo di migranti con gas lacrimogeni… a Minneapolis, dove da giorni si lotta contro il razzismo istituzionale… a Bologna, dove stiamo manifestando in questo momento in piazza del Nettuno… La lotta delle e dei migranti è transnazionale!”, scrive il Coordinamento su Facebook, riportando poi un intervento delle donne migranti: “Abbiamo evitato il fucile, abbiamo evitato la malaria, i maltrattamenti, lo sfruttamento: non è questa la malattia che può fermarci! Noi donne migranti lottiamo da sempre. Anche se abbiamo paura di denunciare lo sfruttamento, perché perdiamo il lavoro, perdiamo il permesso, perdiamo la casa, perdiamo i figli, non abbassiamo la testa! Questo noi donne lo viviamo ogni giorno! Noi donne migranti non possiamo essere invisibili! Dateci quello che serve! Vogliamo il permesso di soggiorno!”. E ancora, sempre dalla piazza dei migranti: “Oggi siamo qui, come a Minneapolis, come a Parigi, per lottare per la nostra libertà… Contro chi non ci vuole fare respirare perché siamo migranti, perché siamo neri, perché siamo clandestini, perché siamo froci!”.

> Guarda il video di Zic.it (l’articolo prosegue sotto):

In vista della manifestazione, il Coordinamento Migranti ha commentato una notizia arrivata da Milano, dove il Tribunale “ha commissariato Uber Italy srl, la filiale italiana della famosa piattaforma di consegne a domicilio, accusandola di caporalato, ovvero di reclutare come riders migranti e richiedenti asilo, sfruttandoli per tre euro a consegna a qualsiasi ora del giorno e della notte, in qualsiasi giorno dell’anno”. Questo è successo a Milano, “ma in realtà è un sistema che conoscono bene anche i migranti e le migranti di Bologna- aggiunge il Coordinamento- e delle altre città italiane, quelli e quelle che lavorano non solo nel delivery, ma nei magazzini dell’interporto, nelle fabbriche e nelle campagne nel Sud e Nord Italia, nelle case e negli uffici, nella cura di bambini, anziani e malati. Ovunque i centri di accoglienza sono diventati ormai centri di reclutamento di manodopera a basso costo per aziende, cooperative e agenzie interinali. Sfruttamento, razzismo e caporalato sono la realtà quotidiana del lavoro migrante in Italia e in Europa, e la pandemia diffusa a livello globale lo ha reso ancora più evidente. La finta regolarizzazione della ministra Bellanova ha chiuso gli occhi su questa situazione, anzi si è preoccupata solo di regolarizzare lo sfruttamento nei settori dove adesso mancano le braccia da mettere a lavoro. Sappiamo che questo è il risultato di quella legge Bossi-Fini che continua a legare il permesso di soggiorno a un lavoro e a un reddito, costringendo i migranti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro per rispettare questi requisiti. La sentenza di un tribunale non risolverà lo sfruttamento dei e delle migranti che la Bossi-Fini autorizza quotidianamente, così come sarà senza effetto qualsiasi vertenza dei riders che non parta dal fatto che a Milano come altrove i riders sono in maggioranza migranti”.

Sulla stessa vicenda, scrive Riders Union: “Ancora una volta tocca alla magistratura intervenire per mettere un freno ai livelli di sfruttamento al quale è giunto il food-delivery. Con il commissariamento di Uber Eats per caporalato non ci si è liberati di una mela marcia, ma è il sintomo delle condizioni in cui verte questo settore. Altro che innovazione, condivisione e collaborazione, le piattaforme digitali appaiano sempre più la riproposizione legalizzata di uno sfruttamento criminale che pensavamo sepolto nei libri di storia. Ancora una volta torniamo a sottolineare l’assoluta insostenibilità di questo modello di impresa che fa dell’annichilamento dei diritti dei lavoratori il proprio perno, ma anche la pericolosità che ciò si possa diffondere ben al di là del mondo del food delivery.