Un racconto sulla storia dello spazio libero autogestito di via Paolo Fabbri 110, che iniziò a fine 2003 con l’occupazione (e poi lo sgombero) di una palazzina in via Azzo Gardino 61: “Vent’anni di acrobazie e peripezie, progettini e progettoni, musica e parole, belle storie e scazzi, sogni da realizzare e pavimenti da lavare…”.
Vent’anni non sono il tempo di un colpo di fulmine, sono i tanti giorni e le tante ore che un gruppo variegato di ragazze e ragazzi, di uomini e di donne ha dedicato a uno spazio di libertà che ha lasciato un segno nella storia recente di Bologna. Come scrisse un po’ di tempo fa qualcuno di quel gruppo: sono stati anni di acrobazie e peripezie, progettini e progettoni, riunioni e assemblee, belle storie e scazzi, pranzi e cene, altre occupazioni e altri sgomberi, presidi e cortei, sindaci e prefetti delusi, sogni da realizzare e pavimenti da lavare, memorie e fantasie, passi falsi e passi avanti, bandi e contrabbandi, musica e parole, balli e balle, voli pindarici e atterraggi bruschi, bevute e notti in bianco, arrivi e partenze, abbracci e addii, lacrime e risate, ploma e ancora ploma…
Erano le 7,18 del 6 dicembre 2003, magicamente, la porta dello stabile dei Monopoli di Stato di via Azzo Gardino 61 si aprì e si sentirono i primi vagiti di una nuova creatura: Vag61.
Per raccontarci gli albori di quella storia abbiamo sentito uno di quelli che allora c’erano, che poi prese altre strade in giro per il mondo, ma che a quella storia è sempre rimasto legato, e che, se un giorno ritornerà, vorrebbe che Vag61 ci fosse ancora.
Il nostro lontano interlocutore non ha pseudonimi perché non abbiamo trovato nessuno che si avvicini al suo nome vero… Accendiamo il registratore e gli chiediamo di raccontare.
«Allora, cosa dovrei dire dell’occupazione di via Azzo Gardino 61? Doveva essere un’occupazione gentile e io mi ritrovai al pronto soccorso del Rizzoli con diverse ossa carpali fratturate… rischiavamo di rimanere con un palmo di naso e, invece, mi ritrovai col palmo della mano scassato!
Per chi questa storia non la sa o non se la ricorda più, partiamo dalla luminosa mattinata del 6 dicembre del 2003 in cui un manipolo di variegata formazione si ritrovò davanti all’ex dopolavoro dei Monopoli di Stato, per riaprire le porte di un luogo meraviglioso che da anni era precluso alla cittadinanza. Niente piede di porco, niente flessibile. Il nostro “Arsenio Lupin” aveva detto: “Facciamo vedere che le serrature possono saltare con un semplice trapano a pile”… ma dopo mezz’ora niente.
A quel punto il Tozzo si spazientì perché cominciava a circolare troppa gente e pronunciò una frase che sarebbe diventata storica: “Adesso è venuto il momento dell’ignoranza”.
Non fece a tempo a finire con le parole che la sua spalla si abbatté sul portone e lo fece traballare. Io, con la mano, indicai il punto giusto dove occorreva colpire. Crack… La porta cedette di schianto sotto il colpo dell’ariete ma la mia mano rimase in mezzo e si frantumò peggio della serratura! Mai risate furono più dolorose… Non ho più riso tanto in vita mia… Così, da quella frattura, nacque Vag61 (acronimo di Via Azzo Gardino 61). L’idea era quella di un luogo accogliente e aperto, di uno spazio di libertà fisica e mentale che fosse principalmente un media center ma anche una sala studio, uno luogo di eventi e socialità… La richiesta di sgombero da parte dei Monopoli fu immediata ma, nonostante questo, le iniziative proseguirono come se niente fosse.
Contemporaneamente, si accumularono diverse dichiarazioni di sostegno, di affetto e di adesione al progetto. Sottoscrissero moltissimi cittadini, ma anche parecchi nomi altisonanti: Sabina Guzzanti, Francesco Guccini, Pino Cacucci, Carlo Lucarelli, Paolo Serventi Longhi….
L’incredibile, però, era dietro l’angolo. Il nostro “padrone di casa”, i Monopoli di Stato, aveva in serbo ben altro destino, per gli ampi spazi di Vag61. Volevano depositare in quel tempio milioni di cedolini del Totocalcio e le macchinette videopoker sequestrate. Poi, al piano di sopra, volevano ricavare due lussuose foresterie per i dirigenti.
Fummo in grado, di mettere in piedi, in quattro e quattr’otto, una manifestazione di mille persone per le vie del centro. Eravamo sotto una snervante minaccia di sgombero.
Alla vigilia di Natale, ci arrivò l’assicurazione che, fino a dopo le vacanze, Vag61 non sarebbe stato sgomberato. Attendevamo un incontro, per metà gennaio, tra noi occupanti, il Comune, la Regione e i Monopoli. Quello spazio era già tornato ad essere di tutta la città, forse, la soluzione era vicina.
La soluzione più vicina fu trovata, invece, dalle forze dell’ordine. Il 29 dicembre, alle 6 del mattino, Polizia e Carabinieri entrarono, fecero portare fuori le cose e murarono via Azzo Gardino 61. Ovviamente, il 15 gennaio, l’incontro a Roma coi Monopoli andò male perché eravamo già fuori…
Ci chiedemmo a lungo cosa fare, dopo l’infausta giornata dello sgombero. Rioccupare un altro posto subito? Insistere su via Azzo Gardino? L’unica pensiero che non ci sfiorò mai fu di mollare tutto…
A gennaio, per un giorno, occupammo gli uffici dei Monopoli a Bologna. Poi presidiammo, in piazza Re Enzo, le “Gocce di Cucinella”, che avrebbero dovuto essere la vetrina dei progetti per la città. Secondo noi, anche Vag61 era un progetto per la città, uno dei più innovativi. Era il contenitore, anzi, il recipiente di un enorme patrimonio di competenze e di materiali prodotti (carta stampata, radio, video, web) dalle esperienze di movimento cittadine. Volevamo costruire uno spazio pubblico dedicato alla comunicazione, dove le lingue, le culture e le provenienze, potessero avere cittadinanza alla pari. Un luogo dove tutti potessero accedere all’informazione e produrre informazione…
Nei mesi successivi, mettemmo in moto la nostra “Immobiliare Sociale” e, con un rapido censimento del patrimonio comunale, fu individuata una palazzina in via Paolo Fabbri 110. Negli anni ’60 e’70 era stata la sede dei GOZ, i Gruppi Operativi di Zona. Quella che sembrava la sigla di un gruppo della sinistra extraparlamentare era soltanto la denominazione sincopata del Servizio di Manutenzione delle Strade, i celebri ”stradini” del Comune di Bologna.
Dopo la privatizzazione dei servizi manutentivi, lo stabile di via Paolo Fabbri era stato destinato ad archivio-deposito della Procura della Repubblica del Tribunale di Bologna. Ma, dopo alcuni anni, i fascicoli che raccontavano la storia criminale della città e la storia giudiziaria dei movimenti di lotta erano stati trasferiti da un’altra parte.
Riproponemmo a tutte e tutti la questione degli spazi di aggregazione e, finalmente, nel luglio 2004, i locali di via Paolo Fabbri furono liberati completamente. Il Comune li consegnò a Vag61. A ottobre, dopo i lavori di sistemazione, si partì».
E, a vent’anni di distanza, magicamente, quel racconto continua ad essere vissuto e scritto…