Nella notte roghi e detenuti sui tetti del carcere. Nuovo decreto della presidenza del Consiglio intanto estende ovunque restrizioni della “zona arancione”, anche a Bologna controlli lungo strade e in stazioni e aeroporti; scuole e Atenei resteranno chiusi. Cobas chiedono chiarimenti su situazione Rizzoli. Educatori e insegnanti: “Più fondi, meno frammentazione”.
È proseguita durante la notte la sommossa nella casa circondariale cittadina con detenuti sui tetti, fiamme e fumo che si sprigionavano dall’interno, mentre un centinaio di persone manifestava all’esterno. Nella mattinata di oggi sono ancora presenti detenuti sul tetto, a quanto si apprende avrebbero esposto uno striscione con la scritta: “Indulto e libertà”.
Nelle stesse ore, precisamente alle 23.30, a Roma il presidente del Consiglio Giuseppe Conte firmava un nuovo decreto che nel suo primo articolo estende a tutto il territorio nazionale le misure anti-contagio in vigore da domenica nell’effimera “zona a contenimento rafforzato” del Nord Italia: in primis, l’obbligo di evitare ogni spostamento che non sia motivato da lavoro, esigenze di salute o situazioni di necessità, fatta salva la possibilità di rientrare al domicilio o alla residenza. Anche a Bologna, come in ogni comune italiano, si potrà dunque essere fermati dalle forze di polizia in auto o pullman, nelle stazioni e negli aeroporti e bisognerà autodichiarare su appositi moduli origine, destinazione e motivo per cui si è in movimento. Tra le altre misure, la proroga al 3 aprile della chiusura di nidi, scuole, università ecc e poi quelle già decise nelle ore precedenti dalla Regione Emilia-Romagna: bar e luoghi di ristorazione devono abbassare la serranda alle 18, e non possono aprire al pubblico piscine, palestre, centri ricreativi e di aggregrazione.
Non è tutto: il secondo articolo vieta ovunque “ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico”, mentre il terzo ferma ogni competizione sportiva anche a porte chiuse a meno che non sia organizzata da organismi sportivi internazionali. Resta anche la facoltà di usare gli impianti sportivi per chi debba allenarsi in vista delle Olimpiadi (il cui svolgimento questa estate, va detto, è tutt’altro che certo) o di manifestazioni nazionali e internazionali.
Sul fronte del mondo del lavoro, i Cobas pongono una serie di interrogativi sulla gestione dell’emergenza all’Istituto ortopedico Rizzoli. Ad esempio: “Come mai non stata ridotta subito l’attività limitandosi a trattare le sole urgenze? È stata fatta una scrupolosa prevenzione? Come si stanno tutelando i pazienti ricoverati, i lavoratori e, di conseguenza, i loro familiari?”.
Inoltre, riceviamo e pubblichiamo un contributo dalla Rete Bessa, che si presenta come composta da “persone che lavorano nel campo dell’insegnamento e dell’educazione. Maestri di scuola primaria e dell’infanzia, professoresse delle medie e delle superiori. Figure educative dipendenti di enti e cooperative sociali. Persone immerse in una pluralità di percorsi e di esperienze pedagogiche ed educative”. Ecco il testo del comunicato: “Educatrici, educatori, insegnanti, personale Ata, personale amministrativo, addette e addetti alle mense, assistenti scolastici, addetti e addette ai trasporti, persone che intervengono con progetti esterni… Sono tante le figure professionali che lavorano nel comparto scuola: anni di esternalizzazione dei servizi e tagli alle risorse hanno portato a situazioni di precariato, alla separazione delle condizioni contrattuali che portano divisioni e gerarchizzazioni tra dipendenti, al ‘devi fare di più e devi farlo in meno tempo’. Spesso scopri il lunedì mattina gli orari della tua settimana lavorativa. Spesso il tuo stipendio ti viene pagato quattro mesi dopo. Spesso hai bisogno di un secondo lavoro perché la paga oraria è bassa e le ore sono poche. In questo quadro, il modo con cui è stata stabilita la sospensione delle attività didattiche a seguito dell’emergenza sanitaria del Coronavirus ha prodotto un ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoratrici e lavoratori. Nel giro di poche ore, fin dall’ordinanza emessa il 26 febbraio, è stato evidente che chi non aveva un contratto stabile avrebbe dovuto arrangiarsi. Nel gruppo docenti, diverse persone con una supplenza in scadenza sono rimaste a casa col contratto scaduto. Altre se la sono cavata per il rotto della cuffia. Altre ancora, che lavorano in scuole private, non percepiranno alcuna retribuzione. Educatori ed educatrici sono stati in un primo momento lasciate a casa senza copertura salariale ed ora si trovano in una situazione di incertezza anche se i fondi per i loro stipendi erano già stati stanziati tramite bandi di appalto. A loro è stato suggerito di stabilire con il proprio datore di lavoro un generico recupero delle ore perse in queste settimane. Ad oggi la situazione delle trattative è ancora poco chiara e risulta evidente che l’amministrazione comunale stia contribuendo ad acuire il problema, non facendosi garante dell’equità salariale delle diverse figure che lavorano nel comparto scuola. Questa emergenza ricade anche in maniera immediata sulle famiglie, in particolare sulle persone coinvolte nel lavoro di cura che devono improvvisamente mettere in campo risorse per sostituire i servizi scolastici ed educativi. La situazione è, ad esempio, particolarmente gravosa per le famiglie di alunne e alunni con disabilità. L’emergenza non fa che rendere manifeste e acuisce le diverse vulnerabilità e disuguaglianze sociali precedenti al virus: il personale precario, chi è coinvolto nel lavoro di cura, chi non ha un contratto stabile, chi ha a disposizione poche risorse paga maggiormente i costi di questa situazione. Nelle ultime settimane le figure deputate a prendere misure rispetto a questa situazione hanno rilasciato dichiarazioni roboanti: la ministra ha pubblicato bandi per la didattica online, il presidente della Regione Emilia-Romagna ha invocato un generico ‘shock all’economia’, il sindaco di Bologna ha registrato video in cui afferma che tutto va bene, mentre il suo vice ha provocato assembramenti sponsorizzando una Card gratuita per visitare musei costosi. In questo fantasioso bailamme di dichiarazioni, non abbiamo sentito pronunciare da loro ciò che doveva essere detto: più fondi per scuola, sanità, welfare e cultura. Ci troviamo ad affermare questo principio basilare facendo leva sui diversi ruoli che copriamo. Riteniamo che a questa situazione si debba rispondere in modo compatto sul piano politico ed economico contro i tentativi di spostare il discorso su quello amministrativo e tecnologico, specie nella misura in cui l’uso acritico e frettoloso della tecnologia accelera il processo di privatizzazione e speculazione del privato nella scuola. Non accettiamo alcun invito a moderare i toni, né ci fidiamo di chi ci dirà di attendere la fine dell’emergenza. Reclamiamo chiarezza e garanzie economiche per l’intero comparto scuola, per le persone e per le famiglie colpite da questa crisi. Ripudiamo l’ennesima frammentazione e chiediamo risorse per la scuola e la cultura”.