Nella cornice della mobilitazione internazionale in difesa del confederalismo democratico nella Siria del Nord, ferocemente colpito da Erdogan, le realtà autogestite cittadine promuovono un appuntamento venerdì 23 in piazza del Nettuno.
Due mesi dopo l’inizio dell’operazione militare turca dal grottesco nome di ‘Ramo d’ulivo’, domenica scorsa le forze armate di Ankara, appoggiate in armi dalle milizie jihadiste, sono penetrate nella città curda di Afrin, autonoma e rivoluzionaria sin dalle prime fasi della guerra civile siriana. La città è stata difesa coraggiosamente dalle e dai combattenti delle Ypj e Ypg, ma è infine caduta. Centinaia di migliaia di persone sono fuggite a est verso la città di Arpêt, strappata all’Isis a inizio 2016 e ancora sotto il controllo delle Sdf. Da ieri ogni uscita da Afrin è presidiata dagli occupanti. A coloro che sono rimasti dentro, viene imposto di aderire all’Esercito libero siriano (islamista e filo-turco), se rifiutano vengono arrestati.
In città la voce delle realtà impegnate nel supporto internazionale alla causa del Rojava non ha mancato di farsi sentire nelle scorse settimane, con varie manifestazioni che hanno denunciato anche il colpevole silenzio dei mezzi di informazione mainstream nazionali, e la silenziosa connivenza degli apparati statali che con il governo turco intrattengono rapporti politici ed economici di enorme entità. Per questo una nuova mobilitazione è stata convocata da numerose realtà autogestite cittadine venerdì 23 marzo, con concentramento alle ore 17.30 in piazza del Nettuno.
Questo il comunicato di indizione firmato da Circolo anarchico Berneri, Cua, Laboratorio Crash, Làbas, Lubo, Nodo sociale antifascista, Tpo, Vag61, Xm24, YaBasta: “Il 20 di Gennaio è iniziata l’invasione del cantone di Afrin. Questo territorio, collocato nella parte occidentale della Federazione Democratica della Siria del Nord, è stato bombardato senza pietà da cacciabombardieri, artiglieria e ogni tipo di armamentario moderno che porta il marchio della Nato. L’esercito Turco, al fine di non sporcarsi le mani e cancellare il numero di morti dalle sue statistiche, sta conducendo l’attacco servendosi di milizie jihadiste. Queste milizie, che in principio facevano parte di Al-Qaeda e che nel 2014 si sono riorganizzate nella forma di Daesh, vanno oggi sotto il nome di FSA. Le immagini brutali che gli invasori stanno pubblicando sui propri social media, così come le chiamate rumorose alla guerra contro gli infedeli, al grido di ‘Allaha Akbar’, ci ricordano che il Rojava sta ancora combattendo lo stesso nemico che ha già sconfitto a Kobane e Raqqa. Ma questa volta, la bandiera dietro cui avanza è quella del secondo più grande esercito della NATO. Del resto, in molte immagini la bandiera nera di Daesh è stata avvistata insieme alla bandiera rossa della Turchia. Molti combattenti, uccisi in battaglia dalle forze di auto-difesa che stanno resistendo ad Afrin, sono stati senza dubbio identificati come comandanti di Daesh. Il dittatore fascista e misogino dello stato turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato pubblicamente che, attraverso questa invasione ai danni di un territorio autonomo all’interno di una nazione sovrana, si augura di ‘restituire Afrin ai suoi veri proprietari’. Dietro questa messinscena, si sta effettivamente portando avanti una pulizia etnica e un genocidio ai danni del popolo Curdo e di altre minoranze che vivono ad Afrin da tempo immemore. Afrin è stato uno dei pochi territori che hanno relativamente goduto di una situazione di pace durante la sanguinosa guerra che imperversa in Siria negli ultimi sette anni. Molte famiglie sfollate dalla guerra hanno trovato rifugio in questo territorio. In questo momento, Erdogan sta provando ad approfittare di questa instabilità e della sofferenza che attanaglia la popolazione della Siria per legittimare la sua sete imperialista di potere, sognando di riconquistare i territori che una volta erano occupati dall’impero Ottomano”.
Continua il comunicato: “La comunità internazionale sta chiudendo gli occhi di fronte alle continue richieste di aiuto che arrivano da Afrin. Il ritiro delle truppe russe che stazionavano ad Afrin ha dato il via libera all’invasione e ha mostrato la complicità della Russia con lo stato turco. Ad ogni modo, non è minore la complicità degli stati membri della NATO. Questi ultimi stanno permettendo alla Turchia di utilizzare armamentari e tecnologie occidentali per massacrare civili. La Federazione democratica della Siria del Nord è stata la principale forza di opposizione alla barbarie islamista di Daesh, ma ciò sembra essere irrilevante per quei governi che, fin dal 2014, avevano condannato ogni massacro rivendicato dalla propaganda di Daesh. Il 24 Febbraio, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha unanimemente adottato una risoluzione per una tregua in tutta la Siria. Ciò ha offerto un barlume di speranza per evitare altri massacri di civili. Nonostante questo, resta innegabile il silenzio seguìto all’intensificazione degli attacchi turchi. D’altra parte, il regime baathista di Bashar Al-Assad’s, dopo aver dichiarato che non avrebbe mai permesso l’invasione di suolo Siriano da parte della Turchia, ha dimostrato la propria incapacità di affrontare l’aggressione. Malgrado un sistema antiaereo potrebbe fermare gli attacchi della forza aerea turca, il regime ha richiesto ad Afrin di sottomettersi completamente allo stato siriano e rinunciare alla propria autonomia, che è stata ottenuta attraverso il processo rivoluzionario che ha avuto luogo in Rojava negli ultimi anni. Non ci sono dubbi che questa invasione sia il risultato degli accordi di Sochi tra Assad, la Russia e la Turchia. L’esercito Arabo Siriano ha scelto di evitare ogni confronto diretto che potrebbe opporsi ai piani di Erdogan e di abbandonare le forze siriane democratiche. La sua dipendenza dalla Russia e la sua ostilità nei confronti della Federazione Democratica della Siria del Nord sta permettendo alle forze jihadiste neo-ottomane di occupare Afrin”.
“La situazione – dicono le realtà autogestite – è critica. Le forze di occupazione sono ai cancelli della città. Una città che offre riparo non solo ai suoi abitanti, ma a molti rifugiati che hanno lasciato i propri villaggi dopo la distruzione causata dai bombardamenti turchi. Oltre ai bombardamenti massicci, sono stati registrati attacchi chimici contro i civili, in particolare con cloro gassoso. E ancora, questa non è che l’immagine di una parte sola del disordine provocato: anche le infrastrutture vitali alla sopravvivenza della popolazione civile sono state volutamente attaccate. Una settimana fa la Turchia ha interrotto la fornitura di acqua e elettricità alla città, costringendo i residenti a fuggire. L’assedio continua e la popolazione va incontro ad un massacro imminente. Ieri si trattava dell’ISIS a Kobane, oggi dello stato turco ad Afrin. La Comune internazionalista del Rojava, tenuto conto di tutti questi avvenimenti, si unisce alle molteplici iniziative di solidarietà con Afrin. Esortiamo tutte e tutti a unirsi in una giornata di azioni e solidarietà globale, come quello che ebbe luogo l’1 Novembre 2014 per Kobane. E come Kobane, Afrin resisterà, Afrin vincerà. La solidarietà con Afrin sarà ricevuta e sentita da tutto il mondo, per provare che Afrin non è sola e che il progetto democratico e antipatriarcale che vive ad Afrin sarà difeso dal mondo intero.” L’invito è quindi a “tutte e tutti a scendere in piazza per il popolo curdo contro l’aggressione della Turchia, per difendere Afrin, per difendere la rivoluzione delle donne, per il Confederalismo Democratico”. A rilancare l’appuntamento, anche Non una di meno Bologna.
Dai collettivi studenteschi e universitari arriva inoltre l’appello a creare un partecipato spezzone studentesco che si congiunga al concentramento di piazza del Nettuno, con ritrovo in piazza Verdi alle 16.30. Con questo comunicato il Cua invita alla partecipazione: “Truppe di miliziani jihadisti al soldo dell’esercito turco capeggiato dal sultano assassino Erdogan sono entrati in alcuni quartieri della città di Afrin dopo due mesi di bombardamenti e attacchi aerei. La fanteria terrorista del secondo esercito Nato sta facendo razzie di viveri, deturpando i simboli culturali della rivoluzione, i cimiteri e decapitando e torturando chi tra la popolazione non si vuole sottomettere ai loro diktat. Le forze siriane democratiche, le unità di protezioni popolare Ypg/Ypj continuano a resistere all’invasione in questa nuova fase della guerra con azioni mirate di sabotaggio e attacco. Centinaia le vittime civili uccise dai bombardamenti turchi, centinaia di migliaia gli sfollati che hanno dovuto lasciare le proprie case alla mercé dei jihadisti. I media mainstream internazionali sono pressoché silenti e perciò complici di un massacro annunciato, come silenti e complici sono i governi dei paesi occidentali, come l’Italia, le cui aziende hanno finanziato con denaro e mezzi l’esercito turco. Per questo, nella giornata mondiale di solidarietà ad Afrin, invitiamo tutti gli studenti e le studentesse che hanno a cuore la popolazione di Afrin e più in generale l’esperienza rivoluzionaria che da 7 anni viene portata avanti in città a scendere in piazza per manifestare la propria vicinanza agli uomini e alle donne resistenti in Siria del Nord. La zona universitaria ha da sempre fatto sentire la sua voce, pochi giorni fa sanzionando Unicredit (responsabile di ingenti finanziamenti alle banche turche) e prima occupando le torri-container allora presenti in Piazza Verdi per sventolarci sopra i vessilli delle Ypg/Ypj, contemporaneamente all’arrivo a Roma di Erdogan. Da Piazza Verdi ci muoveremo verso il concentramento collettivo del movimento bolognese alle 17:30 in Piazza del Nettuno”.
Anche Noi Restiamo invita al ritrovo in piazza Verdi, sempre alle 16.30, con un comunicato dal titolo: “Antimperialismo è internazionalismo! Al fianco della popolazione di Afrin!” Per il collettivo “il secondo esercito della Nato sta cercando di schiacciare un popolo. È l’ennesima aggressione militare di uno stato, quello turco, contro un popolo organizzato nella resistenza e nell’indipendenza di una terra martoriata dagli anfibi di troppi eserciti. I curdi del Pyd-Ypg, dopo che Erdogan e i ‘ribelli’ siriani (o forse dovremmo chiamarli gli jihadisti di Daesh) sono entrati nella città di Afrin, hanno annunciato che stanno cambiando tecnica di combattimento, passando dalle formazioni regolari alla guerriglia. Nonostante la preponderanza militare del nemico, non si ferma la resistenza. Duecentomila civili intanto sono in fuga, senza cibo nè acqua: è questa l’unica notizia che possiamo leggere in qualche distratto articolo di giornale. Ad anni di distanza da Kobane e a mesi da Raqqa l’informazione di regime si ritrova di nuovo costretta a dare un poco di spazio al popolo curdo. Per fermare questo massacro, che non è certo il primo e non sarà l’ultimo se gli eserciti del capitale continueranno ad essere armati, è necessario individuare il nemico in casa e combatterlo. I governi europei non possono oggigiorno recitare la parte di chi non è informato dei fatti, perché da anni fanno accordi criminali con la Turchia di Erdogan e da anni premono per l’instabilità della regione. L’Ue e la Nato sono complici con gli assassini di Afrin. Venerdì 23 marzo assieme a Eurostop Emilia Romagna saremo in piazza al fianco di Afrin e della resistenza dei popoli!”