L’intervento dopo la commissione a Palazzo D’Accursio di alcuni giorni fa: “Ora il sindaco Merola e la Giunta finalmente sanno che il permesso di soggiorno ricatta, discrimina, intrappola. Non ci aspettiamo che i vertici democratici della città risolvano le cose. Contro quella trappola abbiamo deciso di lottare mobilitandoci verso un Primo maggio transnazionale dei migranti”.
Ci sono le colpe della Questura, ma non vanno dimenticate quelle del Comune. Lo sottolinea il Coordinamento Migranti doop aver partecipato alcuni giorni fa insieme ad associazioni e sindacati di base “a un’udienza convocata dalla Commissione parità e pari opportunità del Comune per prendere parola contro i ritardi dei permessi di soggiorno e dei rinnovi da parte della Questura di Bologna. Ritardi che certo non ci sorprendono e che, conoscendo bene i meccanismi collaudati della Questura, non ci paiono per niente anomali. Riteniamo importante l’iniziativa di Emily Clancy tesa a mettere al centro del dibattito politico il razzismo istituzionale che Questura e Prefettura stanno praticando per gestire rilasci e rinnovi dei permessi di soggiorno, tuttavia la denuncia di queste pratiche non deve offuscare le responsabilità che ha lo stesso Comune di Bologna su questa situazione”. Un Comune che in questi anni “si è spesso impegnato, in sinergia con gli altri enti, a rendere impossibile la vita e la libertà delle donne e degli uomini migranti e ad ignorare la loro voce”, scrive il Coordinamento, che argomenta queste affermazioni anche attraverso un video pubblicato sul proprio sito web (www.coordinamentomigranti.org). “Sappiamo che i ritardi non sono incidenti burocratici, o ‘malfunzionamenti amministrativi’, ma sono parte essenziale della gestione politica dei rinnovi dei permessi di soggiorno. Sono espressioni di razzismo istituzionale e strumenti di governo della vita e del lavoro dei migranti- continua il comunicato- per far andare avanti la produzione, il commercio, la cura, e tutto ciò che è essenziale, specialmente in pandemia. Al Comune di Bologna abbiamo ricordato il ricatto che attraverso i permessi pende sulla vita delle e dei migranti. Un ricatto diventato ancora più duro in questi mesi, in cui il lavoro delle donne migranti è finito sotto un attacco diretto, come sanno le centinaia che erano impiegate all’Interporto di Bologna e hanno perso il lavoro”.
Scrive ancora il Coordinamento Migranti: “Per le operaie della Yoox che sono costantemente ricattate sui turni, il ricatto si raddoppia: se mettono a rischio il loro lavoro mettono a rischio anche il loro permesso di soggiorno. La Cgil ha fatto un accordo infame con l’azienda e il consorzio per sancire questo ricatto, un accordo che tutela in qualche modo solo chi ha figli di età inferiore ad un anno e per le altre donne prevede, e in buona misura impone, la scelta del part-time. Tutto ciò è possibile proprio perché le donne migranti che lavorano per Yoox devono rinnovare un permesso di soggiorno. Il ricatto del permesso di soggiorno significa anche che nello scontro sindacale alla Tnt Piacenza i sindacalisti del Si Cobas vengono messi agli arresti domiciliari e ai migranti viene ritirato il permesso di soggiorno. Il permesso di soggiorno permette di ritornare al vecchio Codice Rocco e alla criminalizzazione e alle minacce per chi, con la pelle nera, lotta sul lavoro. Inoltre, nel regime di una Bossi-Fini che pesa come un macigno sulla vita di tutte e tutti i migranti, i permessi dei richiedenti asilo sono il mezzo qui a Bologna per far funzionare l’Interporto, tutta la logistica e la movimentazione delle merci già da prima della pandemia. Basti pensare al centro Mattei, che funziona come il dormitorio di una grande fabbrica, dove le agenzie interinali possono reclutare migranti con contratti brevissimi e a chiamata e trattarli come forza lavoro usa e getta. Questo succede perché i migranti del centro aspettano per anni, anche 3 o 4, per avere un appuntamento con la Commissione o stanno per mesi con permessi di soggiorno scaduti e nel frattempo vivono con un pocket money di 75 euro al mese, consegnato sempre in ritardo. Nei giorni scorsi c’è stata un’assemblea al Mattei in cui centinaia di migranti hanno preso la parola e scritto una lettera, che abbiamo pubblicato sul sito del Coordinamento Migranti. Si tratta di una lettera pubblica in cui i migranti denunciano tutti i problemi, come la questione della sicurezza sanitaria completamente ignorata, e la mancanza della possibilità di accedere a scuola e corsi di italiano. Denunciano il razzismo della struttura in cui operatori frugano le borse dei migranti quando non ci sono e li chiamano per codice e non per nome. Una donna migrante che ha partecipato all’udienza ha detto ‘non lascerò mai andare uno studente da solo in via Bovi Campeggi. Ecco i migranti del Mattei, anche quelli arrivati da poche settimane in Italia, sono lasciati soli’. Soli di fronte a un ricatto dalle molte facce”.
Di fronte alle “facce democratiche” incrociate in Comune, “non abbiamo certo dimenticato- continua il comunicato- che appena alcuni mesi fa c’è stata anche un’udienza simile a questa, a cui abbiamo partecipato insieme a dei migranti ospiti del Mattei e con la avvocata Zorzella. Tutte le forze politiche presenti, maggioranza e opposizione, erano d’accordo a chiudere il centro ma da allora non è cambiato nulla. Nonostante la pandemia al Mattei si continua a vivere in 12-14 in una stanza, senza nessun tipo di controllo sanitario, senza le cure necessarie, senza servizi e senza nessuna prospettiva. Infine, il regime del ricatto del permesso di soggiorno e del modo politico in cui questura e prefettura gestiscono i rinnovi, c’entra anche quanto sta succedendo dopo l’ultima regolarizzazione lanciata dal governo Conte e dal Partito Democratico un anno fa. Le pratiche per la regolarizzazione sono ferme in tutta Italia e anche a Bologna. Dai dati del ministero pubblicati a febbraio a Bologna sono state presentate più di 4000 richieste di regolarizzazione e poco più di 300 erano state avviate, mentre il resto sono bloccate nei cassetti della prefettura. La regolarizzazione sta funzionando come un modo con cui i padroni, nelle campagne e nelle case, possono sfruttare e ricattare ancora di più i migranti. Questo perché molti e molte migranti, pur di uscire dalla clandestinità per qualche mese, spesso si sono indebitati oppure hanno pagato i costi al posto dei padroni per fare la richiesta. Nel frattempo, cosa accade? Accade che non possono lasciare il lavoro perché aspettano la risposta della prefettura e perché il permesso dipende dal contratto di lavoro. E in tutto questo non hanno ancora risposte per via dei tempi e delle decisioni della prefettura. Ora il sindaco Merola e la sua giunta finalmente lo sanno: il permesso di soggiorno ricatta, discrimina, intrappola. Non ci aspettiamo che i vertici democratici della città risolvano le cose. Contro quella trappola abbiamo deciso di lottare mobilitandoci non solo a Bologna, ma anche a Milano, Torino e in altre città d’Italia e d’Europa, verso un primo maggio transnazionale dei migranti!”.