L’appello dei movimenti per la casa della capitale, lanciato ieri durante l’iniziativa sul diritto all’abitare organizzata da Zeroincondotta: “C’è una possibilità di ragionamento sulle opportunità di riscatto, se non di rivolta, delle periferie di questo Paese”.
“Non uscire dall’anagrafe, nonostante le piccole offerte che ci vengono fornite, è una cosa che regaliamo a tutto il Paese, a tutti i movimenti che nel contesto nazionale si muovono. Bisogna raccoglierlo questo segnale: come noi abbiamo occupato e stiamo occupando ad oltranza l’anagrafe”, ormai da cinque giorni, “bisogna che in altre città questo segnale venga ripreso, rilanciato con forza e che il ministro Lupi e il governo Renzi vengano messi alle strette. Qualche contraddizione c’è, qualche sindaco si è mosso e bisogna continuare su questa strada, sapendo bene che non è la sponda istituzionale quella che ci risolve i problemi ma soltanto la nostra capacità di autorganizzazione e di lotta”. E’ l’appello che Paolo Di Vetta, dei Blocchi precari metropolitani (Bpm) di Roma, ha lanciato ieri sera partecipando in collegamento telefonico all’iniziativa sul diritto all’abitare organizzata da Zeroincondotta.
Dal punto di vista istituzionale, in questi giorni la questione dell’emergenza abitativa viene tirata fuori “per dire che sostanzialmente il problema non è così rilevante come i movimenti sostengono e la realtà stessa dimostra, per cui sono sufficienti gli interventi messi in campo dal Governo fino ad oggi”. Allo stesso tempo, “c’è invece un’effervescenza importante che si sta registrando in tanti territori. Però, di contro, mi sembra che non si riesca a comprendere il dato più importante. Per esempio, con l’iniziativa messa in campo all’anagrafe abbiamo di fatto voluto aprire un ragionamento che ha caratteristiche nazionali intorno alla questione dell’articolo 5 e ad alcune negazioni di diritti primari, come quello alla residenza o all’allaccio dell’acqua e della luce. La risposta che ci arriva dalle istituzioni è sempre una risposta emergenziale, di chi vuole mettere una toppa piccolina rispetto ai problemi che solleviamo. Invece di risponderci nel merito di quello che proviamo a sostenere, ci dicono ‘beh una soluzione si può trovare’, ‘ci possiamo inventare – come ci hanno detto stasera (ieri, ndr) – una sorta di autocertificazione che può essere registrata dal Comune e può diventare una soluzione per chi ha occupato’. Il nodo che viene fuori è che laddove i movimenti, soprattutto con la loro capacità di lavoro nei territori, tirano fuori questioni dirimenti, legate a diritti primari e questioni fondanti come il diritto all’abitare, le risposte di natura strutturale non vengono messe in campo. Anzi, quello che si vuole continuamente ribadire è la necessità di ripristinare il valore del diritto proprietario. Cioè, a fronte dell’insorgenza che c’è stata nei territori intorno alla questione delle pratiche di riappropriazione, oggi il Governo e le istituzioni sono impegnate a ribadire che invece chi va garantito è il proprietario di casa, chi va garantito sono coloro che devono realizzare edifici e infrastrutture”. Questo perchè si dice che “devono far ripartire l’economia con il mattone. Quindi dentro un’ipotesi di modello di sviluppo che è fortemente penalizzante per il territorio e per il consumo di suolo, che non dà risposte ai diritti che noi esprimiamo”.
Per questi motivi si tenta di “colpire in profondità chi si organizza e attraverso le pratiche di riappropriazione si riprende un tetto, un reddito e la vita. Il nodo è proprio questo: c’è ormai una classe governante o incapace di comprendere le necessità che vengono rappresentate nel Paese da chi paga la crisi, oppure impegnatissime a difendere quel Paese solvibile che deve riuscire ad uscire dalla crisi e andare avanti a scapito di milioni di persone che invece la devono pagare. La cosa di cui parlate voi stasera, l’esperienza dell’albergo 4Stelle, racconta decisamente un’altra possibilità che sta tutta dentro la continua costruzione di iniziative che vengono messe in campo in tanti territori in tutto il Paese. Comunità che si organizzano insieme, in forma meticcia, che provano a disegnare il territorio in un’altra maniera, che si liberano dal ricatto dell’affitto, del pagamento delle bollette, di una vita costretta all’interno di lavori precari che non ti consentono mai di pagare in maniera dignitosa i costi della tua vita. Credo che il racconto di questa esperienza, messo in relazione con le battaglie che in questi giorni si stanno predisponendo a costruire anche la mobilitazione del 31 gennaio, sia anche un modo per dire che c’è una speranza, una possibilità di ragionamento sulle opportunità di riscatto, se non di rivolta, delle periferie di questo Paese, di coloro che pagano la crisi pesantemente”. Questo tema “all’ordine del giorno. Non possiamo più sottrarci da questa responsabilità e non abbiamo alcuna intenzione di farlo”.
> Ascolta l’intervento di Paolo Di Vetta:
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