Nasce un “condominio sociale” in via Raimondi 41. “Siamo una cooperativa di abitanti che intende sperimentare modelli abitativi alternativi che reclamano il diritto alla città”, spiega il comunicato diffuso da Plat: “Un esperimento di commoning che si adopera per l’auto-recupero senza costi per la collettività di un edificio di proprietà pubblica dismesso da anni”.
Nuova occupazione abitativa in via Raimondi 41. La annuncia Plat – Piattaforma di intervento sociale: “Da tanti decenni ormai il tema della casa e dell’abitare è agito dai molti movimenti sociali in tutto il mondo. In Italia, le politiche economiche degli anni Ottanta hanno costruito un paese in cui la proprietà è il perno che regola il mercato, e la speculazione il motore che ne definisce i ritmi. Queste scelte hanno costruito ciclicamente ampie fasce di inclusione differenziale alla dignità abitativa, o anche forme di esclusione talvolta radicale dalla possibilità di avere un tetto sopra la testa. L’alternarsi dei governi ha di volta in volta elaborato risposte alla tematica abitativa che sono oscillate da forme esplicitamente elitarie e di appoggio alla rendita, a enfatici tentativi di affrontare la questione come il Piano casa del governo Renzi, che in realtà avevano come obiettivo la risposta e la repressione dei movimenti per il diritto all’abitare e il coprire di una patina nuova la solita continuità delle politiche sul tema. L’attuale governo Meloni non solo non ha nessun piano casa, ma si sta muovendo con una serie di tagli a pioggia che attaccano in modo esplicito la possibilità per tantissime persone di costruire una vita dignitosa e bella rendendo inaccessibile economicamente o togliendo da sotto i piedi un elemento decisivo come quello della casa. Oltre all’attacco al reddito di cittadinanza, anche questo attacco non frontale ma sostanziale al diritto all’abitare si inscrive all’interno di un inasprimento delle possibilità di vita e di una politica che tutela e fa dominare gli interessi dei ricchi, speculatori, palazzinari e grandi capitali, contro il resto della popolazione”.
Continua il comunicato: “Crediamo che il rilancio di percorsi di lotta sul terreno del diritto all’abitare sia l’unica strada per iniziare a invertire i rapporti di forza e cambiare di segno la situazione. Questa nuova soluzione abitativa che iniziamo a mettere in pratica si muove in questo contesto e vuole essere solo un primo passaggio tra tanti per costruire una grande lotta sociale sull’abitare. Contro il governo Meloni e le sue politiche, contro l’idea di una Bologna governata grazie al modello-Piantedosi per quanto riguarda le istanze sociali, da oggi mettiamo in campo una nuova idea di abitare la città. Le forme mutualistiche e cooperative sul terreno dell’abitare affondano le radici nella storia di Bologna, così come gli ultimi decenni sono stati segnati da importanti lotte e movimenti sul diritto all’abitare e per la casa. La nuova soluzione abitativa che inizia con questo Radical Housing Project in via Raimondi n. 41 si ispira a queste storie ma vuole costruire percorsi nuovi, radicati nel presente e rivolti al futuro di Bologna. Siamo una cooperativa di abitanti che intende sperimentare modelli abitativi alternativi che reclamano il diritto alla città. Negli ultimi anni Bologna sta diventando sempre più una città metropolitana, un territorio ampio in cui gli assetti produttivi e infrastrutturali, la mobilità e la tipologia delle popolazioni che li attraversano, sta cambiando velocemente. Questo spazio metropolitano in costruzione è però spesso segnato da linee di inclusione ed esclusione per quanto riguarda il lavoro e l’abitare che vanno a discapito delle persone con meno possibilità. Gli spazi urbani centrali, dove ci sono più servizi e possibilità, sono sempre meno accessibili. Abbiamo assistito a una silenziosa delocalizzazione di fasce di popolazione di tanti tipi verso aree sempre più periferiche e provinciali. Una costruzione della metropoli-Bologna che invece che aumentare le possibilità di intreccio e mobilità per tutt* tende a costruire nuovi confini interni”.
Scrive ancora Plat: “Vivere la Bologna metropolitana per noi non può voler dire guardare cosa accade nel suo centro da sempre più lontano. Diritto alla città per noi vuol dire anche rivendicare il diritto a poter vivere nelle aree centrali! E vogliamo farlo non adattandoci a condizioni di miseria, laddove disponibili, ma con una nuova idea e una nuova forma dell’abitare, praticando modelli abitativi alternativi fatti di cooperazione e di spazi comuni, che passano per il riuso temporaneo o permanente di spazi abbandonati e vuoti urbani. Nuovi spazi cooperativi per vivere che possano sperimentare un nuovo abitare non come comunità chiuse ma come spazi porosi, aperti a quanto si muove nella metropoli. Molte di noi sono lavoratrici e lavoratori, altre persone sono precarie, altre disoccupate, e nel costruire nuove forme abitative mettiamo al centro anche il tema del reddito e del lavoro, perché le due cose non possono essere separate. In questi mesi l’incontro tra tante differenti esperienze ci ha portato però a capire come viviamo in una situazione per molti versi comune. Viviamo un’emergenza abitativa che ci rende impossibile trovare una soluzione dignitosa, e per questo dobbiamo forzare la situazione e vogliamo farlo aprendo a nuove possibilità. Anche perché ‘la casa’ negli ultimi anni è molto cambiata. Lungi dall’essere solo un tetto e quattro mura, la casa si manifesta sempre più anche come luogo dove si lavora (sia, come è sempre stato, come lavoro spesso invisibile di riproduzione, che come lavoro salariato). La casa è un luogo di cura, ma anche un luogo di conflitto dove poter costruire nuove relazioni anti-patriarcali. La casa è uno spazio sempre più digitalizzato e al centro della possibilità di definire nuove forme di uso energetico in un’ottica ecologica. Il progetto di Radical Housing si propone dunque di aprire anche tutta questa serie di problematiche in modo laboratoriale. Vogliamo costruire delle infrastrutture sociali che connettano i tanti luoghi dispersi dove siamo state cacciate lontano da Bologna negli ultimi anni per riportare il sociale al centro geografico, sociale e fisico della città. Infrastrutture sociali che dall’Interporto alla provincia diffusa sperimentino un nuovo abitare fatto di riuso, auto-recupero e progettazione condivisa come già avviene in tante altre città d’Europa. Vogliamo portare il tema abitativo al centro dell’attenzione a partire da un punto di vista di chi subisce o rischia di subire forme di marginalizzazione urbana e sociale, e contribuire a spostare verso il basso la ricchezza sociale. I soldi pubblici devono essere direzionati verso nuove possibilità di abitare e di vivere Bologna per chi ne è sempre più escluso, perché non esiste un generico ‘per tutti/e’, ma differenti parti sociali in lotta tra loro. Abitiamo in un periodo di transizione, tra una vecchia città e una nuova metropoli che ancora non è sorta. Per questo il diritto minimo essenziale di una casa non può essere oggi slegato, per immaginare l’abitare futuro, da una complessa serie di ambiti che abbiamo indicato. Un abitare collettivo ed emancipativo, la messa in comune di capacità e risorse che avviene in forme di abitare cooperativo, è la sfida che lanciamo alla città”.
Non basta, secondo le/gli attiviste, “un piano casa basato solo sull’urbs, solo sulla – necessaria ma insufficiente – costruzione di edifici. Servono anche nuove forme di civitas, di sperimentazioni sociali e relazionali; Radical Housing è un esperimento che vuole lottare affinché i flussi di denaro che arrivano a Bologna siano destinati a chi soffre di più le tante crisi che viviamo, e promuovere nuovi modelli di abitare che parlino anche del rilancio dell’edificazione di case popolari con assegnazione diretta, da costruire (anche) attraverso l’utilizzo delle tasse di soggiorno che invece che accelerare ulteriormente il turismo devono essere spese in questa direzione. Il rilancio di una politica di creazione di case popolari di nuova generazione ci sembra il minimo da cui partire; Radical Housing in via Raimondi vuole essere anche un osservatorio territoriale, un presidio sociale sull’abitare in questo quadrante della città per intervenire sulle trasformazioni in atto grazie agli sportelli di ascolto, alle reti anti-sfratto, all’incontro con differenti intelligenze; Radical Housing in via Raimondi è un condominio sociale creato da una cooperativa di abitanti, un esperimento di commoning che si adopera per l’auto-recupero senza costi per la collettività di un edificio di proprietà pubblica dismesso da anni, una casa per l’emergenza abitativa”.