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Sei attiviste partite da Bologna fermate in Bosnia dalla polizia

È accaduto “mentre erano intente a fornire trattamenti sanitari contro la scabbia alle persone in movimento bloccate alla frontiera tra con la Croazia”, raccontano Ya Basta e Laboratorio Salute Popolare. Alle attiviste è stato notificato un decreto di espulsione, ma “abbiamo deciso di impugnare l’ordine per smascherare l’ipocrisia delle politiche migratorie dell’Unione europea”.

01 Aprile 2022 - 16:56

Sei attiviste di Ya Basta e del Laboratorio Salute Popolare “sono state fermate e accompagnate in caserma da parte della polizia bosniaca mentre erano intente a fornire trattamenti sanitari contro la scabbia alle persone in movimento bloccate alla frontiera tra Bosnia e Croazia”, riferiscono le due realtà bolognesi impegnate nel progetto B.u.r.n. – Health on the Move. “Dopo ore di duro interrogatorio, le autorità bosniache ci hanno notificato sei decreti di espulsione dalla Bosnia per attività umanitaria illegale e tradimento della costituzione bosniaca. La primavera in frontiera scalda le rotte alle porte d’Europa, ed il pattern dell’apparato di sicurezza europeo si ripete: criminalizzazione, sgomberi degli accampamenti, confinamento nei campi governativi”, scrivono Ya Basta e Laboratorio salute popolare.

In questo periodo “in cui le pressioni sul confine non sono ancora alte, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom) ha iniziato a setacciare gli accampamenti informali in frontiera, per censire presumibilmente le presenze e favorire le deportazioni nei campi formali sul territorio, (il campo di Lipa in questa geografia) su cui l’unione Europea ha investito soldi e risorse”, recita il comunicato diffuso da B.u.r.n. – Health on the Move: “L’Iom è un’agenzia delle Nazioni Unite responsabile della gestione dei flussi migratori sulla rotta balcanica, sostenuta finanziariamente dalla Commissione Europea. E’ la stessa responsabile della gestione del campo di Lipa; pur formalmente super partes, costituita a tutela delle persone in movimento, coopera attivamente con uno specifico corpo del Ministero di Sicurezza bosniaco: il Servizio per gli affari degli stranieri, a cui, per attinenza territoriale, ha demandato la gestione del campo di Lipa. Alle visite negli squat e nella jungle, da parte delle organizzazioni riconosciute (Croce Rossa Bosniaca, Danish Refugees Council, SOS Bihac tra quelle più attive) supportate dall’Iom, segue sempre un controllo di polizia, ed è proprio in questo frangente che le nostre attiviste sono state fermate e sottoposte ad un duro interrogatorio in centrale da parte degli agenti dell’Sfa (Service for foreigners’ affairs). Dopo l’interrogatorio è arrivato il decreto di espulsione, per attività umanitaria illegale e tradimento della costituzione bosniaca. A seguire, Sfa e polizia hanno intensificato i controlli lungo la linea di frontiera, sgomberando gli squat più numerosi e deportando le persone al campo di Lipa contro la loro stessa volontà, mentre le nostre attiviste sono state sottoposte ad ulteriori controlli e intimidazioni”.

Continua il comunicato: “Da anni numerose organizzazioni umanitarie, denunciano sulla rotta balcanica una fortissima criminalizzazione della solidarietà e degli interventi umanitari di associazioni indipendenti o anche di singoli attivisti, anche in termini repressivi. Questo accade anche negli Stati Uniti, dove la repressione degli interventi di solidarietà e supporto alle persone che cercano di attraversare il confine, segue uno scopo specifico, chiamato ‘principio di dissuasione’ (dell’immigrazione clandestina). Questo stesso principio, l’Unione Europea l’ha adottato nel mediterraneo centrale con le campagne di criminalizzazione dell’intervento di salvataggio delle Ong, utilizzando lo spauracchio del ‘pull factor’ per giustificare le proprie misure di contrasto e criminalizzazione, colpendo sempre, chi resiste alla violenza delle frontiere, persone in movimento e solidali. Questo principio, permea le politiche di esternalizzazione dei confini, in piena contraddizione con le proprie normative in termini di diritto di protezione internazionale. Anche qui in Bosnia le organizzazioni umanitarie indipendenti sono oggetto di continua attenzione da parte delle autorità, che tentano, tramite intimidazioni ed espulsioni, di limitare le loro attività. Il pretesto è sempre legale e securitario, normalizzando forme di ‘razzismo istituzionale’, come il divieto di offrire un passaggio a persone senza documenti, l’impossibilità per Pom di prendere mezzi pubblici, il divieto e la stigmatizzazione di azioni di solidarietà da parte dei locali, in forma organizzata o meno”.

Si conclude la nota: “Abbiamo deciso di impugnare l’ordine di espulsione per smascherare l’ipocrisia delle politiche migratorie dell’Unione Europea, delle misure di contenimento, tutela e accoglienza delle persone che attraversano le sue geografie per sfuggire a guerra, miseria, schiavitù. L’intensificazione dei controlli delle zone informali di stanziamento delle persone respinte dall’Europa in Bosnia sta svelando il fallimento e l’incongruenza dell’immenso ammontare di risorse investite sulla sorveglianza dei confini e negli hub per migranti: Lipa è quasi del tutto vuota e militarizzata. Pur di non finire recluse, le persone in movimento, si adattano al meglio lungo la frontiera, sottoponendosi alle reiterate violenze dei respingimenti pur di farcela, mentre, dall’altra parte, le organizzazioni umanitarie subordinate all’IOM, distribuiscono quelle poche risorse che non sono state destinate all’equipaggiamento delle forze di sicurezza o alla costruzione di muri e torrette. L’ipocrisia dell’assetto securitario riscontrato qui sul confine croato-bosniaco svilisce il profuso impegno all’accoglienza delle donne e dei bambini in fuga dall’invasione Russa dell’Ucraina. La politica differenziale adottata in questo caso segna l’ennesima inadempienza delle istituzioni europee nella tutela del diritto internazionale e della protezione umanitaria. Se è su questo che oggi l’Europa sta definendo se stessa, sulle frontiere, sulla militarizzazione dei confini, la sorveglianza e l’attraversamento differenziale delle sue geografie, dobbiamo opporre un contraltare che disegni una nuova geografia, una nuova protezione internazionale, una nuova rotta. L’imperativo è resistere, alla guerra, alla criminalizzazione della solidarietà, alla discriminazione, alla marginalità, alla frontiera. Resistere e perseverare nelle nostre pratiche di supporto e alleanza con le persone in movimento!”.