Permessi di soggiorno in ritardo “per responsabilità di Questura e Prefettura”, ma senza di questi, nonostante gli impegni presi dalla Giunta comunale, l’anagrafe continua a negare la residenza, “da cui dipendono servizi pubblici, scuola, sanità e la futura possibilità di accedere alla cittadinanza”, denuncia il Coordinamento migranti.
“Nonostante le proteste delle profughe ucraine che durano da mesi, le numerose segnalazioni delle operatrici che lavorano nell’accoglienza e la denuncia pubblica nella piazza delle e dei migranti dello scorso 2 luglio, l’ufficio anagrafe del quartiere Santo Stefano continua a negare le richieste di residenza delle donne che sono scappate dalla guerra in Ucraina se non sono in possesso del permesso di soggiorno elettronico (Pse)”. Lo denuncia il Coordinamento migranti, sottolineando che “oltre a dover sopportare la violenza della guerra e i problemi della migrazione, nonostante siano state ‘accolte’, le profughe ucraine si ritrovano a lottare per i documenti e si sentono ancora dire che la loro pratica non può essere avviata presentando soltanto il ‘cedolino’, cioè la ricevuta di richiesta di un permesso che spetta loro per legge e il cui ritardo nella consegna è responsabilità soltanto di Prefettura e Questura”.
Spiega poi il Coordinamento: “Alla fine di luglio durante l’incontro del Coordinamento Migranti con il Comune di Bologna, la questione era stata sottoposta all’attenzione della vicesindaca Emily Clancy e dell’assessore Rizzo Nervo che si erano impegnati a verificare quanto stava accadendo e trovare una soluzione. Eppure, dinnanzi al documento che in seguito all’insistenza delle operatrici l’Asp Città di Bologna ha prodotto per spiegare in punta di diritto al personale degli uffici dell’anagrafe che è possibile avere la residenza con il solo ‘cedolino’, l’ufficio del quartiere continua a negare la richiesta di prima iscrizione anagrafica. Come se non bastasse, alle richieste di chiarimento l’ufficio rifiuta le proprie responsabilità invitando a rivolgersi all’ufficio Atti Migratori del Comune. Dopo mesi dal loro arrivo nell’accogliente Bologna, le profughe si trovano così ancora a subire veri e propri atti discriminatori: pratiche amministrative arbitrarie che si sommano a quelle per cui alle madri ucraine con figli minori vengono richiesti dati, contatti e indirizzi di residenza dei padri o il documento di divorzio che non sempre possono esibire. Le profughe ucraine scampate alla guerra si trovano ora a subire le trappole della burocrazia del Comune di Bologna. È tempo che l’assessore competente agisca immediatamente perché dalla residenza dipende una serie di servizi pubblici, dalla scuola alla sanità, oltre che la futura possibilità di accedere alla cittadinanza”.