Il Viminale ha rifinanziato i lavori di riapertura della struttura di via Mattei. Domenica 18 maggio’014 h16 corteo nella settimana europea di azione “Solidarity beyond borders”. Giovedì 8 maggio’014 h20.30 assemblea cittadina a Làbas.
Praticare il dissenso, solidarietà senza confini:
impedire la riapertura del CIE di via Mattei.
Il Ministero dell’Interno ha stanziato i finanziamenti per i lavori di riapertura del CIE di Via Mattei, il centro di detenzione per migranti che ha rappresentato una pagina nera nella storia di Bologna. Noi non siamo disponibili ad accettare la sua riapertura e riteniamo necessario opporre con forza il rifiuto di tutta la città a questa fabbrica di ingiustizia e sofferenza, che rinchiude e priva della libertà i migranti per il solo fatto di non avere o di aver perso il permesso di soggiorno. Per questo invitiamo tutte e tutti a costruire insieme una grande manifestazione per domenica 18 maggio.
Un rifiuto dimostrato in oltre quindici anni di lotte che, a Bologna come altrove, hanno espresso – dall’esterno e dall’interno di quelle gabbie – un’opposizione senza ambiguità all’aberrazione umana e giuridica rappresentata dai CIE. Battaglie che hanno denunciato come la detenzione amministrativa – prevista per la prima volta dalla legge Turco-Napolitano – sia funzionale ai dispositivi legislativi che mirano a sfruttare, ricattare, discriminare i migranti, come la legge Bossi-Fini. Grazie a questi percorsi di mobilitazione e al protagonismo dei migranti in lotta dentro e fuori i luoghi di lavoro si è consolidato un patrimonio di dissenso che ha indicato le responsabilità degli attori coinvolti, incluse le amministrazioni locali, oggi a favore della chiusura definitiva del CIE di via Mattei.
Ma non possiamo fermarci qui. Sappiamo che l’attuale chiusura del CIE è anche frutto di questo percorso di resistenza, tuttavia siamo consapevoli che la politica nazionale ed europea in materia di migrazione e asilo prosegue nella direzione del blocco selettivo della libertà di movimento e dei percorsi individuali. Da un lato, è rafforzata la militarizzazione dei confini «materiali» e dei sistemi di respingimento/deportazione (come mostra la missione militare mare nostrum), dall’altro sono moltiplicate le barriere «immateriali» alla circolazione e all’inclusione nello spazio europeo. Ne sono esempio non solo le procedure di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno che subordinano il diritto di restare al reddito e al contratto di lavoro, ma anche i requisiti di accesso al welfare, agli ammortizzatori sociali, alla previdenza. In tempi di crisi è ancor più evidente la logica escludente volta a costruire sempre nuovi confini, «materiali» e «immateriali», per cui casa, salute, istruzione, reddito sono trasformati da diritti a «privilegi» quasi irraggiungibili per gran parte della popolazione, migrante e non.
È ormai sotto gli occhi di tutti che le politiche di governo delle migrazioni, di cui sono espressione sistemi di confinamento come i CIE (ma anche i cosiddetti centri di accoglienza per richiedenti asilo – CARA), sono il terreno su cui si ridisegnano lo statuto complessivo della cittadinanza e le gerarchie dello sfruttamento. Basta considerare uno dei capisaldi dell’Unione Europea: la libera circolazione. Non solo essa è vietata per migranti e rifugiati (vale per questi ultimi il regolamento di Dublino), ma anche chi – pur essendo cittadino europeo – non soddisfa requisiti di reddito e residenza deve rinunciare ai diritti previsti dai singoli Stati dell’Unione. Ecco allora che l’inaccettabile discriminazione tra cittadini comunitari e non si riproduce in forme di differenziazione e gerarchizzazione anche fra gli stessi comunitari, come mostrano le richieste dei primi ministri, inglese e tedesco, di introdurre quote di ingresso per gli europei, l’allontanamento dal Belgio di cittadini italiani, quello di cittadini romeni di minoranza rom da molti Stati membri, senza sottovalutare le conseguenze del recente referendum in Svizzera.
Le stesse forme di segregazione e governo della mobilità delle persone vengono attuate anche fuori dai confini europei, a livello globale, andando a delineare nuove geografie della disuguaglianza lungo linee di classe, ‘razza’ e genere. Il governo del lavoro migrante su scala globale si gioca anche sulla costruzione di centri di detenzione nelle frontiere esterne dell’Europa, dall’Ucraina alla Libia, ottenuta in cambio di investimenti e vantaggi commerciali.
Di fronte a politiche europee e nazionali che mirano a separare e diversificare, ci sentiamo sempre più uniti nelle nostre differenze e condizioni. Alla minaccia dell’egoismo e dell’indifferenza reagiremo il 18 maggio, all’interno della settimana di mobilitazione promossa tra gli altri dal coordinamento Europeo Blockupy, con solidarietà e determinazione, consapevoli che libertà e democrazia sono da reinventare e costruire attivamente dalla parte dei migranti, per il diritto a una vita degna per tutti/e, partendo dall’opposizione a tutti gli strumenti del razzismo istituzionale come i centri di detenzione e identificazione.
Lanciamo per questo un’assemblea cittadina giovedì 8 maggio alle 20.30 presso Làbas occupato, per costruire insieme una grande giornata di lotta nell’ambito della mobilitazione europea.
Adl Cobas, Carovana Europea Bruxelles 2014, Cobas Bologna, Coordinamento Migranti, Cs TPO, Hic Sunt Leones Football antirazzista, Làbas occupato, RID/CommuniaNetwork, ∫connessioni precarie, Scuola Kalima Tpo, SIM – scuola di italiano con migranti Xm24, Sportello medico-legale Xm24, Sportello legale Tpo, Unione sindacale italiana – Associazione internazionale dei lavoratori – lavoratori e lavoratrici anarchici, Vag61…
#NoCieNoCara #BastaBossiFini #NoBorderRegime #StopDetention