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Medioriente / Ypg: “Turchia ha bombardato nostre postazioni”

Sarebbe stato colpito un villaggio a est di Kobane, e poi un veicolo delle Unità di protezione popolare. Ankara nega e continua i raid, tanto contro l’Isis quanto contro le milizie curde del Pkk nel nord-Iraq.

27 Luglio 2015 - 15:03

(da Nena News)

AUnità di difesa Ypg/Ypj (foto da twitter @DefenseUnits)nkara attacca i militanti curdi in Siria: è l’accusa rivolta dalle Unità di Protezione Popolare curde (YPG) alla Turchia, all’indomani di un bombardamento che ha colpito il villaggio siriano di Zor Mikhar, a est di Kobane, strappato dall’YPG assieme ad alcune unità dell’Esercito siriano libero all’Isis, con un bilancio di quattro feriti. Sempre secondo i reparti di liberazione curdi, un’ora dopo un carro armato turco avrebbe aperto il fuoco su un veicolo dell’YPG nel vicino villaggio di Til Findire. “Invece di colpire le posizioni occupate dai terroristi dell’Isis – si legge in un comunciato dell’YPG – le forze turche attaccano le posizioni dei nostri difensori. Esortiamo la leadership turca a fermare questa aggressione e a seguire le linee guida internazionali”.

La risposta di Ankara alle accuse è arrivata in mattinata: prima nega di aver colpito le forze curde siriane, ma poi promette un’investigazione sull’accaduto. “Le nostre operazioni militari – ha dichiarato un funzionario del governo turco – mirano a neutralizzare le minacce imminenti alla sicurezza regionale della Turchia. Il PYD (il partito curdo siriano che ha il suo braccio armato nel YPG, ndr) , insieme ad altri, rimane al di fuori del campo di applicazione del corrente sforzo militare: stiamo indagando sulle accuse fatte all’esercito turco di essere impegnato in incarichi contro forze diverse da [dall’Isis] “.

Una versione che non convince molto, se si pensa al ruolo ambiguo che ha avuto la Turchia nel conflitto siriano, soprattutto in concomitanza con l’emergere dell’Isis. Ankara è stata infatti accusata da più parti – soprattutto dai combattenti curdi nel nord della Siria – se non di sostenere direttamente le formazioni jihadiste operanti in Siria, quantomeno di chiudere un occhio sui passaggi di armi e uomini verso la frontiera, passaggi che hanno contribuito ad arricchire le fila del cosiddetto califfato con migliaia di reclute provenienti dall’Europa e dal Nord Africa. Tutto per controbilanciare il peso dei curdi, che per le autorità turche restano il pericolo numero uno.

Tant’è vero che la guerra appena scatenata da Ankara all’Isis è cominciata non dopo la strage di Suruç – 32 militanti pro -curdi sono morti in un’attentato organizzato da militanti legati allo Stato islamico nel centro culturale della città – ma dopo l’uccisione, il giorno seguente, di un soldato turco a un posto di frontiera da parte dell’Isis e l’assassinio di due poliziotti come vendetta per Suruç per mano del PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan messo da Ankara nella lista delle organizzazioni terroristiche. Solo allora Ankara ha dato il via a una valanga di arresti sia tra i militanti islamisti che tra quelli curdi, e alle operazioni militari contro obiettivi dell’Isis in Siria ha affiancato quelle contro il PKK nel nord dell’Iraq.

Situazione delle guerra in Siria e Iraq al 26 luglio 2015 (da Wikimedia Commons)
Legenda: in grigio il territorio dell’Isis, in bianco quello dei qaedisti di Al Nusra, in giallo le zone autonome curde, in porpora l’area controlata dal governo iracheno, in rosa le aree della Siria sotto il dominio di Assad e in verde i territori di Esercito libero siriano e milizie alleate (mappa aggiornata al 26/07/2015)

Che sbarazzarsi per sempre del PKK fosse nei sogni delle autorità turche già da tempo è storia ormai nota: nonostante un effimero cessate il fuoco tra i curdi e la Turchia, il negoziato proposto due anni fa dal leader curdo Ocalan non è mai veramente stato rispettato, con Ankara che – come accusa il PKK – non ha mantenuto le sue promesse, ha incrementato i posti di blocco e le stazioni di polizia nelle aree curde, ha costruito un numero di dighe sproporzionato alla produzione energetica curda e ha ucciso civili.

Intanto, sul piano diplomatico, Ankara ha chiesto alla NATO di organizzare una riunione urgente per discutere della situazione: il meeting, che si terrà domani, è stato chiamato in base all’articolo 4 del Trattato Atlantico, che consente ai membri di richiederlo se la loro integrità o la sicurezza del territorio è minacciata. Nel vertice si parlerà delle misure che il governo turco intende prendere contro l’Isis, compresi i raid e la no-fly zone parziale concordata con gli Stati Uniti, che correrà per 90 chilometri da est a ovest, dalla citta siriana di Maare a Jarablus, e 50 chilometri di profondità. Obiettivo di Washington è non solo utilizzare la base di Incirlik a nord di Aleppo, ma soprattutto coinvolgere maggiormente Ankara nella coalizione anti-Isis.

Nonostante sia nella coalizione sin dall’inizio, il governo turco non ha pienamente cooperato a causa di una visione differente sulla crisi siriana: per Ankara l’obiettivo è sempre stato rovesciare il rivale Assad, più che battere gli uomini del sedicente Stato Islamico. Ora che il territorio turco è stato toccato, però, il presidente Erdogan pensa a una partecipazione nei bombardamenti “mirati” alle postazioni del califfato in Siria e in Iraq. Bombardamenti che fanno discutere: secondo un report diffuso dall’Osservatorio siriano per i Diritti Umani, infatti, i raid della coalizione hanno ucciso oltre 3.216 persone dal settembre 2014 ad oggi. Tra loro, 173 civili, di cui 53 minori e 35 donne nelle province di Hassakah, Raqqa, Idlib, Deir el-Zor e Aleppo. Il report sottolinea come 64 civili siano stati uccisi nel massacro compiuto dalla coalizione nel villaggio di Bir Mahali, a sud di Kobane. Tra i jihadisti uccisi ci sarebbero 2.927 uomini dell’Isis, in maggioranza non siriani, e 115 combattenti di al-Nusra. Nena News