Una lezione all’istituto Aldrovandi Rubbiani coinvolge una canzone di Bello Figo e da ciò scaturiscono articoli di stampa, una segnalazione all’Ufficio scolastico e perfino un’interrogazione al ministro. “Sciacallaggio politico ai danni della scuola”, scrivono i Cobas, invitando a discuterne dell’episodio nelle classi affinché “possa nascerne qualcosa di positivo e costruttivo a partire dal libero confronto”.
“Il clamore suscitato da una lezione ed un esercizio in classe in cui è stata coinvolta una nota canzone di Bello Figo sembra decisamente immotivato: se ne è parlato sui giornali locali, è stato coinvolto l’Ufficio scolastico provinciale, l’on. Bignami ha addirittura rivolto un’interpellanza parlamentare al ministro Bianchi. Si è parlato di cattive influenze sui ragazzi, dell’assenza di un contesto nell’attività didattica, di pessima qualità dei contenuti proposti. Ce n’è veramente motivo o forse dobbiamo scavare per cogliere le vere ragioni di una così grande mobilitazione?”. Lo scrivono i Cobas Scuola in merito ad una notizia circolata in questi giorni sulla stampa e riguardante l’istituto Aldrovandi Rubbiani. “La vicenda è stata presentata come se l’ascolto della canzone fosse frutto di un’improvvisazione della docente, come se ci fosse un intento un po’ naif di fondo- continua il comunicato- senza alcun tipo di spirito critico. Noi sappiamo che è esattamente il contrario, perché conosciamo la collega e la sua lunga esperienza di docente. Non è qui il punto però: si tratta infatti dell’ennesima occasione in cui si cerca di far passare un’insegnante come una sprovveduta, mettendo in discussione la professionalità e l’autonomia di noi docenti. È un gioco facile del resto: basta estrapolare un’attività dal suo contesto per avere questo effetto. Un’operazione facile in un momento in cui le lezioni sono a portata d’orecchio di chiunque passi. Come è stato possibile che un’ora di italiano in Dad delle Aldrovandi Rubbiani si sia trasformata in un avviso all’Ufficio scolastico, in diversi articoli e oggi in un’interpellanza parlamentare? Semplice: in questo periodo in cui la didattica si sviluppa su piattaforme digitali, microfoni e videocamere è molto facile prestare orecchio a quello che si svolge nelle ore di lezione, anche se lo spazio della classe dovrebbe restare, anche in modalità digitale, un luogo sicuro non solo per chi insegna, ma soprattutto per le e gli studenti. L’aula non è un qualcosa che rinchiude, anzi: lo stare a scuola permette a ragazze e ragazzi di trovare uno spazio di confronto, di discussione e quindi di crescita reso sicuro dalla presenza di insegnanti. Quest’area di libertà viene loro garantita oggi? La serenità di parlare e di esprimersi liberamente è messa a rischio dal fatto che ci potrebbe essere qualcuno di non identificato all’ascolto. In maniera chiara lo sottolineano le colleghe e i colleghi della nostra compagna: ‘E’ anche per questo che lo spazio della classe e della scuola può essere liberatorio, perché eccede i confini della famiglia, dei suoi valori e delle sue prescrizioni, permettendo a ragazze e ragazzi di incontrare il mondo esterno nella sua complessità e di formarsi una propria autonoma identità sociale. Questo spazio deve essere preservato a tutti i costi nella sua autonomia e protetto da intrusioni esterne dei genitori'”.
E poi, si chiedono i Cobas: “Come mai abbiamo potuto leggere di quest’ora di lezione su Il Resto del Carlino? Perché una docente si è trovata a dover parlare delle sue scelte didattiche ed educative ad un giornalista? Se il clamore sulla tanto discussa ora di lezione è stato sollevato da una o più famiglie che hanno ritenuto poco opportuno un intervento didattico dobbiamo immaginare che questa sia stata l’extrema ratio di fronte al muro sollevato da una docente? L’incontro a scuola in presenza della preside non è evidentemente servito ad aprire un dialogo con la genitrice che non ha preso in alcuna considerazione le motivazioni didattiche addotte, preferendo rivolgersi ‘altrove’. Forse, dall’alto della sua posizione di parte – secondo lei – offesa, si sarebbe resa disponibile al dialogo solo e soltanto se avesse ricevuto delle scuse, ovvero se la nostra collega avesse chinato la testa e rinunciato alle sue posizioni pedagogiche-relazionali. Un passaggio fondamentale questo, di cui nei successivi passaggi sui media e oggi in Parlamento si è persa ogni traccia. Perché? Si è deteriorata fino a questo punto l’importanza data al dialogo con le famiglie o dietro a questo ‘scandalo bolognese’ c’è qualcuno che ha cercato di approfittare di questa situazione per ottenere visibilità sulle spalle di una collega? Veniamo poi ad un punto che fino ad ora abbiamo lasciato da parte ma che invece per noi, che facciamo scuola davvero giorno per giorno è in realtà centrale: la didattica e la relazione educativa che costruiamo con le e gli studenti. Tra le critiche mosse alla scuola una delle più frequenti è quella di essere slegata dalla realtà, non attenta al mondo in cui vivono i ragazzi e le ragazze e, soprattutto per quanto riguarda le materie umanistiche, inutile. Quella situazione che qualcuno- molto probabilmente interessato- ha voluto mettere in discussione è invece un esempio, se mai ci fosse bisogno di spiegarlo, di quella che potrebbe essere una modalità ‘da manuale’ di condurre una lezione: una proposta didattica che coinvolge attivamente dei ragazzi e delle ragazze all’interno della lezione su tematiche che possono essere pienamente considerate di cittadinanza; nel momento in cui la docente coglie qualcosa che possa risultare offensivo per lei stessa o per qualche studente della classe sospende l’attività non in una modalità censoria bensì stimolandoli alla riflessone e all’esercizio attivo delle proprie capacità critiche, invitando infine ad applicare alcuni strumenti che possono essere figlie della disciplina- l’analisi delle produzione testuali, l’uso dell’argomentazione e l’organizzazione del proprio punto di vista- ad un qualcosa di reale e che appartiene alla vita di tutti i giorni, proprio quella che si trova fuori dalle ore di lezione e che dal ministero ci invitano a tenere come banco di prova. E allora, il problema dove si dovrebbe trovare?”.
Sottolinea ancora il sindacato: “C’è un altro aspetto infatti che va considerato e che ci sembra importante sottolineare anche in questa situazione in cui sono evidenti i vantaggi politici che qualcuno sta ricavando da tutto questo: il rapporto che alcune famiglie ritengono di poter avere con i/le docenti e l’istituzione scuola. Dal loro punto di vista, sollevando questo polverone, i genitori in questioni hanno voluto evidentemente palesare l’insoddisfazione per un servizio che non ritenevano adeguato, naturalmente il tutto condito con una logica molto alla moda del ‘te la faccio pagare’. È questo ciò cui si sono ridotti la scuola e l’insegnamento? Evidentemente anni di aziendalizzazione dell’istruzione e di immiserimento della scuola hanno portato alla percezione dell’insegnante come una figura completamente svuotata di ogni autonomia critica e culturale di cui ci si può lamentare qualora non ci piaccia. Così reagiscono i clienti insoddisfatti quando pubblicano una recensione negativa di un ristorante sui social se non hanno trovato il servizio all’altezza. Oggi lo è una supposta attività offensiva, un domani, neanche troppo lontano, potrebbe esserlo qualunque nostro tipo di scelta. La costruzione di un rapporto scuola-comunità incentrata sull’ottica dell’erogazione di un servizio non può che aver questo come risultato. E a conti fatti, si finisce per erodere il principio cardine della libertà di insegnamento previsto dalla Costituzione senza intaccarlo direttamente. Un danno questo che non riguarda solo chi insegna ma soprattutto gli studenti e le studentesse che finiscono per perdere delle occasioni preziose, molto rare nella società di oggi, di potersi confrontare in maniera critica, libera e sicura e di maturare quindi una loro opinione. Ci si augura che in questa occasione, a differenza di quello che è successo in altre situazioni come quella molto nota della collega di Palermo Rosa Maria Dell’Aria, l’Ufficio scolastico non si presti a questi giochi che nulla hanno a che fare con il benessere di ragazzi e ragazze, probabilmente soddisfatti e tranquilli di avere una docente in gamba. Dopo la notizia che l’operazione di sciacallaggio politico ai danni della scuola è giunta perfino al livello dell’interpellanza parlamentare per mano dell’onorevole Bignami è la scuola nel suo insieme, le docenti e i docenti di ogni plesso scolastico che sono chiamati a rispondere sulla scia di quanto hanno fatto colleghe e colleghi dell’Istituto Aldrovandi”.
I Cobas per questo invitano tutti “a discutere in classe l’episodio incriminato, dando ancora una volta voce agli studenti e alle studenti affinchè anche da un episodio per molti aspetti squallido come questo possa nascere qualcosa di positivo e costruttivo a partire dal libero confronto. Perché è la loro la voce che si vuole spegnere, insieme alla libertà di insegnamento, non quella di Bello Figo”.