Lo stato degli istituti di pena della regione nel Rapporto di Antigone: “Il quinquennio trascorso spicca per la sua problematicità”. E intanto da Modena, dove durante le proteste del marzo 2020 morirono nove detenuti, è arrivata la notizia che la Procura ha chiesto l’archiviazione per i 14 agenti della Penitenziaria indagati per lesioni e torture.
Nei dieci istituti di pena per adulti presenti in Emilia-Romagna, al 31 dicembre 2022 “erano detenute 3.407 persone di cui 153 donne (circa il 4%) e 1660 stranieri (pari al 47,30%). La regione è tra i territori, quantomeno del nord Italia, che registra il più alto numero di presenze: la percentuale media di affollamento in relazione al 2022 è stata pari al 105,17%”. Questa la fotografia scattata dal secondo Rapporto regionale di Antigone sulle condizioni di detenzione, “Finestre sul carcere”, frutto dell’attività dell’Osservatorio dell’articolazione emiliano-romagnola dell’associazione. Il dossier, insieme al diciannovesimo Rapporto nazionale, è stato presentato giovedì con un’iniziativa al Baraccano di Bologna. “Sono passati cinque anni dalla precedente edizione del rapporto regionale sulle condizioni di detenzione in Emilia-Romagna e, sebbene il comparto carcerario operi in condizioni di perenne emergenza, il quinquennio trascorso spicca per la sua problematicità”, sottolinea Antigone: “La crisi pandemica ha sottoposto il sistema penitenziario nazionale a sfide gestionali rilevantissime. Gli istituti emiliano-romagnoli, poste le misure emergenziali introdotte nella primavera 2020 per limitare gli effetti di contagio al loro interno, hanno prodotto scenari adattivi e reattivi differenziati. Inoltre, la Regione è stata investita in maniera drammatica dall’esplosione delle rivolte, a Bologna, Ferrara, Reggio Emilia e, soprattutto, Modena”. Proprio a proposito di Modena, dove durante le proteste del marzo 2020 morirono nove detenuti, sempre giovedì è arrivata la notizia che la Procura locale ha chiesto l’archiviazione per i 14 agenti della Polizia penitenziaria indagati per lesioni e torture: i pestaggi denunciati dai detenuti, secondo la Procura, non hanno trovato “adeguato riscontro” nella documentazione sanitaria acquisita dai pm e comunque tutte le prove acquisite impediscono di formulare “una ragionevole previsione di condanna degli indagati”; l’inchiesta sui nove decessi era già stata archiviata in precedenza.
Tornando al rapporto di Antigone, l’obiettivo è “dar conto dello stato attuale dei dieci istituti della Regione, a fronte delle crisi che hanno colpito le carceri a livello nazionale e regionale e a fronte dei riassetti organizzativi in risposta a tali sfide (non da ultimo la circolare sulla Media Sicurezza, che entrerà a regime in regione a partire da settembre)”, spiega l’associazione.
“L’elevato numero di ristretti non è l’unico elemento di criticità”, rileva Antigone: resta alto anche “il numero di condannati in via definitiva (71,88% pari a 2.561 persone nel 2022) in rapporto al numero di funzionari giuridico – pedagogici effettivamente presenti, in forte sotto organico in quasi tutti gli istituti: erano solo tre a Modena a fronte di 229 definitivi su 387 ristretti, un solo in alcuni periodi a Reggio Emilia con 269 definitivi su 346 persone detenute o una sola a Rimini e Ravenna con, rispettivamente, 75 e 50 detenuti condannati in via definitiva”. C’è poi “la mancanza di opportunità lavorative: la media dei detenuti che lavorano in regione è del 29,50% (in tutti gli istituti al di sotto del 50%) di cui solo il 5,81% alle dipendenze di datori esterni”. È “significativa” poi “la carenza di medici e infermieri all’interno degli istituti e diffuse le criticità strutturali legate a strutture particolarmente datate e sprovviste di spazi adeguati”.
“La pandemia”, è un altro punto evidenziato dall’assiciazione, “ha esasperato molti dei nodi critici già propri del rapporto tra sistema carcerario e diritto alla salute e ha lasciato dietro di sé una crisi profonda della sanità penitenziaria. In particolare, l’attività di monitoraggio svolta nel 2022 ha evidenziato: la carenza di personale medico, infermieristico, psicologico e psichiatrico; la precarietà delle forme contrattuali e la discontinuità delle équipe, che mette a rischio gli sforzi di elaborare prassi virtuose e condivise; la difficoltà nel fronteggiare un tasso di sofferenza mentale in crescita”. Il rapporto cita poi la sofferenza mentale “testimoniata dall’alto numero delle diagnosi psichiatriche (11%) e di dipendenza (38%) e dal largo ricorso agli psicofarmaci (il 26% dei detenuti utilizzano stabilizzanti dell’umore, antidepressivi, antipsicotici e il 34% sedativi o ipnotici, nonostante la policy regionale di riduzione del consumo di psicofarmaci)” e il tasso di altolesionismo “molto alto, con picchi del 79% nel carcere di Ferrara, del 59% nel carcere di Reggio Emilia, del 51% nel carcere di Bologna e di Forlì”. Antigone conteggia inoltre sette suicidi “negli istituti della regione, con 114 tentativi solo nei primi sei mesi dell’anno, una percentuale decisamente superiore a quella che si riscontra nella popolazione libera, a conferma della maggiore fragilità psichica della popolazione detenuta”.
Rispetto al carcere minorile del Pratello di Bologna, “tra fine 2021 e inizio 2022, la capienza dell’istituto è stata estesa, passando da 22 a 40 detenuti. Questo ha comportato una netta trasformazione. Tra i nodi critici la mancata integrazione dell’area educativa e le carenze nel personale di polizia. “La vita detentiva si incardina in un regime più regolamentato in cui è più complesso che in passato garantire al detenuto un’adeguata assistenza. Risultano in aumento dinamiche di conflitto e bisogni clinici, spesso correlati a dipendenza e abuso di sostanze che interessano soprattutto i più giovani”.
“Non ci sono istituti femminili in regione”, si osserva poi nel rapporto, dunque le detenute sono distribuite in sezioni femminili all’interno di carceri maschili. La sezione femminile più grande, che è anche una delle più grandi in Italia, si trova a Bologna, con 84 donne detenute su un totale di 772 presenze (10,9%). Seguono Modena (31 su 469, 6,6% del totale), Piacenza (18 su 353, 5,1%), Forlì (17 su 149, 11,4%) e infine Reggio Emilia (11 su 370, 3%). Tranne Piacenza (AS3), sono tutti circuiti per detenute comuni. Le criticità nella ripartizione delle risorse a disposizione tra la popolazione detenuta maschile e quella femminile si riflettono sulle opportunità riservate alle donne rispetto alle attività lavorative, culturali, ludiche e sportive. Dal punto di vista dell’offerta formativa, buona la situazione a Bologna, con corsi di alfabetizzazione, di scuola media, e di scuola superiore in ragioneria e il polo universitario”. Maggiori problemi si riscontrano nelle altre carceri emiliano-romagnole.
Infine, pur se “il diritto ad accedere ai più alti gradi dell’istruzione è tendenzialmente garantito in Emilia-Romagna”, Antigone registra un caso in cui “il Tribunale di Sorveglianza di Bologna sembrerebbe averlo messo in discussione, trasformando i titoli di studio conseguiti da uno studente-detenuto di Bologna in indice di pericolosità sociale rispetto alla prognosi di recidiva. La vicenda è diventata un caso nazionale, che è anche approdato a Strasburgo, dove è pendente il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che vede il diretto coinvolgimento di Antigone”.