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Carceri ferme al secolo scorso: per le detenute cucina, cucito e ricamo

La denuncia nel primo rapporto regionale sulla detenzione di Antigone, che evidenzia anche l’acuirsi del sovraffollamento, con una media di 130 persone ogni 100 posti. Il rapporto tra reclusi ed educatori è di 80 a 1 e alla Dozza va ancora peggio.

25 Giugno 2019 - 12:51

Attività e laboratori previsti per le donne recluse in Emilia-Romagna riproducono stereotipi di genere. Lo denuncia Antigone, che ha presentato ieri il primo rapporto regionale sulle condizioni di detenzione. Tra le proposte offerte alle detenute ci sono corsi di cucina, da parrucchiera, attività di cucito e ricamo e, in alcuni casi, l’orto. Le pratiche sportive sono: yoga, pallavolo e accesso alla palestra, dove presente. “Si tratta di una proposta che rivela molto dell’immagine che il comparto carcerario ha degli interessi femminili e delle prospettive di occupazione delle detenute”.

Sono 164 le donne detenute in Emilia-Romagna in sezioni a loro dedicate negli istituti di Bologna, Modena, Forlì, Piacenza e Reggio Emilia. Settantasette quelle presenti alla Dozza, tre nell’articolazione della salute mentale femminile. A Reggio Emilia ci sono solo sette detenute in regime di alta sicurezza, “per questo piccolo gruppo di donne non è prevista né l’attività scolastica né quella di formazione professionale, non accedono al campetto sportivo che è riservato agli uomini”.

Passando alla detenzione nel suo complesso, “è senza dubbio importante rilevare – scrive Antigone – come, dopo alcuni anni di deflazione, il tema del sovraffollamento penitenziario sia nuovamente cruciale, a seguito di un triennio di progressione numerica della popolazione detenuta. La regione Emilia Romagna non fa eccezione, posizionandosi sopra la media nazionale per indice di sovraffollamento: le rilevazioni ministeriali del 31 marzo 2019 lo collocano al 129.8%, contro il 120% nazionale. Ciò significa che, in regione, gli spazi previsti in termini di capienza regolamentare per 100 detenuti ne vedono presenti 130 (eccedenza di un terzo circa). Naturalmente, il sovraffollamento incide sulla qualità della vita detentiva (congestione degli spazi) e può contribuire a comprimere diritti e aspettative dei detenuti, riducendo ad esempio le possibilità di accesso alle attività trattamentali, ai servizi sanitari e scolastici, alle opportunità ricreative. Basti pensare che in media il rapporto tra detenuti ed educatori è di 80 a 1”, che sale a 118 a 1 nel caso del carcere bolognese.

“L’Emilia-Romagna – si legge inoltre – con i suoi 3.641 detenuti, corrispondenti al 6% del totale nazionale, si colloca al settimo posto tra le regioni italiane per numerosità della popolazione detenuta”. Il 51,3% non hanno cittadinanza italiana. Sono 581, il 16% del totale, i reclusi in circuiti specifici: 41 bis, alta sicurezza, collaboratori di giustizia, semiliberi, ex articolo 21, isolamento disciplinare e sanitario, transgender. Sono 7 i detenuti in AS2, il circuito dedicato all’eversione politica, a Ferrara. Sono 65 i detenuti in regime di 41 bis a Parma, 28 quelli in AS1 (sempre a Parma) e 281 in AS3 tra Bologna, Ferrara, Piacenza, Parma.

Meno di un terzo dei detenuti lavora: 1.097 a fine 2018, di cui 36 per datori di lavoro esterno. L’11,1% dei detenuti è coinvolto in corsi professionali. Il regime a celle aperte è applicato in modo parziale, mentre carenze significative significative si registrano in riferimento agli impianti di riscaldamento degli ambienti e dell’acqua: “unitamente ai ricorrenti problemi di infiltrazioni, questi malfunzionamenti assorbono risorse sul piano della manutenzione e penalizzano i detenuti”