Questa mattina contestata la presentazione del libro abolizionista “Stupro a pagamento”. Ombre Rosse: “Narrazione unica del lavoro sessuale, vittimista e stigmatizzante”. E Facebook censura il comunicato per “incitamento all’odio”.
Presidio questa mattina in piazza Maggiore prima e nel cortile di Palazzo d’Accursio poi, indetto dal collettivo recentemente fondato Ombre Rosse Bologna – “collettivo transfemminista di sex workers and allies”, per contestare la presentazione del libro “Stupro a pagamento – la verità sulla prostituzione”, che si stava tenendo in quel momento proprio nelle sale del Comune. La presentazione del libro contro la prostituzione – che aveva già dato vita a varie contestazioni nei giorni scorsi a causa dell’apposizione dei simboli del Comune (poi ritirato) e dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna sulla réclame dell’evento – per il collettivo di attiviste che difende e promuove i diritti delle e dei lavoratori sessuali aveva infatti la pretesa di “sostituire alla molteplicità delle esperienze di vita delle/dei/* sex worker* un’unica narrazione”, questo quanto si leggeva nel comunicato diffuso già nei giorni scorsi e volantinato questa mattina durante il presidio, dal titolo “Sex work is work, non è stupro a pagamento”.
Il comunicato, che è stato censurato a più riprese dal social network Facebook con la surreale spiegazione di “incitazione all’odio”, recita: “Nell’attuale contingenza storica, con un governo che attacca frontalmente, attraverso il ddl Pillon e il decreto Salvini, la vita e la libertà delle donne, delle/dei/* migranti, delle persone lgbtiaq e di tutte le soggettività non normate, e a pochissimi giorni dalla manifestazione nazionale di Non Una di Meno il 24 novembre a Roma, ci sorprende che abbia luogo nelle sale di Palazzo d’Accursio la presentazione del libro. Non possiamo permettere che vengano portati avanti, addirittura con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, eventi che ci invisibilizzano in quanto lavoratrici e lavoratori del sesso e che sostengono discorsi per noi estremamente pericolosi: criminalizzare la nostra attività rafforza le leggi che controllano e reprimono il lavoro sessuale, con multe o ordinanze, senza interpellarci e senza darci alternative concrete, non fa che renderci più soggett* alla precarietà, all’impossibilità di trovare una casa, alla paura che ci tolgano i figli, ai maltrattamenti da parte di poliziotti, giudici e medici, a maggior violenza, da quella verbale a quella fisica, a quella istituzionale, a medicalizzazioni varie, se non a vere e proprie psichiatrizzazioni forzate. Aumentare la pena per il cliente significa spingere le lavoratrici a nascondersi sempre di più esponendosi maggiormente a pericoli, legittima il cliente a compiere violenza”.
Per questo, continuano le attiviste “la presentazione del libro esprime una narrazione unica del lavoro sessuale, vittimista e stigmatizzante che non ci rappresenta e che rifiutiamo. Sebbene infatti nessun* di noi neghi all’autrice la sua esperienza di sopravvissuta, la nostra richiesta è che nemmeno le nostre esperienze siano negate. Riteniamo infatti che questo tipo di narrazioni siano linfa vitale per rafforzare lo stigma, che ogni giorno viviamo sulla nostra pelle; lo stigma condona, giustifica e motiva gli abusi, gli attacchi e le violenze contro di noi, ci rende ricattabili, produce isolamento e ci induce a una doppia vita per la paura di diventare visibili, di perdere amici e famiglia o di mettere in pericolo di derisione e isolamento i nostri stessi cari, figli/e e familiari. Tutto questo, in un sistema completamente privo di progetti o servizi di supporto e troppo spesso punitivo e repressivo. Questo tipo di retorica paternalistica genera più violenza e repressione contro le/i/* sex worker*, ancor di più se sono migranti che, con la stessa retorica paternalistica, vengono multat*, arrestat* e, non per ultimo, deportat*”. Siamo transfemministe, sex worker e alleate , crediamo nell’autodeterminazione di ogni soggettività e siamo contro la tratta e ogni forma di sfruttamento. Siamo contro la violenza, la stigmatizzazione e la criminalizzazione di chiunque si ritrovi a vendere sesso – che sia per scelta, per costrizione, o più semplicemente per circostanze di vita. In quanto sex workers transfemministe, non possiamo accettare e, anzi, rifiutiamo con forza l’accostamento tra lavoro sessuale e stupro. Lo stupro è un atto di violenza patriarcale non consensuale: non solo non ha senso logico affermare che si tratti di ‘stupro a pagamento’, ma soprattutto non permetteremo che la violenza maschile venga così sminuita e che venga strumentalizzata per stigmatizzare il sex work e le/i/* sex worker* che invece agiscono attraverso una trattativa su base consensuale, per quanto ogni situazione sia legata a svantaggi o privilegi legate alla classe, alla razza e al genere”.
Pertanto, concludono, “il lavoro sessuale è lavoro e ci battiamo per la decriminalizzazione di ogni sua forma, per far sì che il sex work avvenga nelle condizioni di maggior autotutela e sicurezza sul lavoro per le/i/* lavoratrici e lavoratori. Vogliamo ricordare che molte volte il sex work è una delle poche strade percorribili nelle nostre esistenze precarie di donne, trans*, frocie, migranti. Il 20 novembre è il TDoR, il Trans Day of Remembrance di tutte le persone trans* uccis*, e la maggior parte di queste erano sex worker. Saremo presenti anche insieme a Non Una di meno e al MIT e anche per questo non possiamo accettare che a ridosso di questa importantissima iniziativa vengano portate avanti iniziative che crediamo possano essere estremamente divisive del movimento (trans)femminista: non vogliamo che si riproduca la dicotomica differenza che vede le (trans)femministe sex worker ‘inconsapevoli vittime del patriarcato’ da un lato, e le femministe ‘pure’ dall’altro. Siamo sex worker transfemministe, prendiamo parola, chiediamo che nessun* si arroghi il diritto di sostituirsi alle nostre voci, rubandoci il diritto ad esistere, resistere e lottare”.