Usb e Coordinamento precari/ie intervengono criticamente sul nuovo percorso di reclutamento dei docenti voluto dal Miur, denominato Fit. Sgb prepara anche nella scuola lo sciopero generale proclamato (con altri sindacati) per il 27 ottobre.
“Il decreto attuativo 59/17 della legge 107 ha stravolto le modalità di assunzione dei docenti nella scuola statale. Il Fit (Formazione iniziale docenti, ndr) è un vero e proprio percorso a ostacoli che si configura come lo sdoganamento di una modalità di apprendistato sottopagato”. Così comincia un articolato comunicato diffuso due giorni fa dall’Usb Scuola di Bologna in merito al nuovo percorso abilitante per accedere all’insegnamento previsto dal Ministero dell’istruzione. Nella ricostruzine del sindacato di base, i futuri docenti dovranno: 1) conseguire 24 crediti per accedere al concorso; 2) sostenere tre prove (quattro nel caso del sostegno); 3) svolgere un anno di tirocinio universitario e un secondo anno di tirocinio misto a supplenze brevi (tappabuchi) con una retribuzione che si preannuncia più che dimezzata e solo per 10 mesi all’anno (con diritto alla disoccupazione?); 4) superare gli esami di abilitazione e di valutazione; 5) affrontare un terzo anno di prova che non potrà essere ripetuto in caso di valutazione negativa. Tutto ciò renderà i docenti ancora più ricattabili e, soprattutto, fino al termine del terzo anno del Fit non avranno alcuna garanzia di entrare di ruolo nonostante un concorso pubblico superato. Per anni i docenti che hanno conseguito l’abilitazione all’insegnamento pagando tasse universitarie costosissime con le Ssis o i Tfa hanno chiesto a gran voce una formazione retribuita in servizio e hanno reclamato, anche facendo ricorso ai tribunali, l’assunzione dopo i tre anni di lavoro a tempo determinato”.
Al contrario, il governo Renzi con il Fit: “Finanzia una formazione dimezzata che chiede, però, il pagamento preventivo per i 24 Cfu; legittima il lavoro sottopagato e la discriminazione salariale tra docenti; sdogana nel pubblico impiego la facile licenziabilità (dopo tre anni i presidi potranno respingere i candidati già ampiamente formati, valutati e abilitati nel corso del Fit); aumenta il livello di ricattabilità e discrezionalità dei dirigenti scolastici. Lo scorso 17 marzo con uno sciopero nazionale abbiamo provato a scongiurare l’approvazione delle deleghe della ‘Buona scuola’. Adesso non possiamo rimanere indifferenti o inermi di fronte alla imminente approvazione dei regolamenti e dei decreti che disciplineranno il bando e le modalità concorsuali. La retribuzione dei docenti in formazione sarà affidata alla contrattazione sindacale pertanto qualunque firma da parte dei sindacati che si siederanno al tavolo con il Miur non potrà avallare discriminazioni salariali e di diritti. Come farà il Miur a contingentare i posti in organico messi a bando sulla base delle previsioni degli organici del terzo anno del Fit se ogni anno gli organici sono sempre più strettamente definiti dal Mef e ridotti dalla legge di stabilità? Nell’ultimo concorso in Emilia Romagna, per esempio, la strana coincidenza di assistere prima a un numero elevato di bocciature per la scuola primaria per poi scoprire che c’era stato un errore nello stanziamento dei posti messi a bando ci appare come predittiva della futura gestione del percorso di valutazione e superamento dell’anno di prova…”.
Pertanto dal sindacato invita “tutti i coordinamenti precari, i docenti di ruolo, le organizzazioni sindacali a una assemblea per discutere e costruire una mobilitazione unitaria che consenta di denunciare, informare, contrastare il percorso Fit come è definito dal decreto 59/17, ma soprattutto per sostenere le rivendicazioni e le richieste dei docenti precari: i 24 Cfu rientrino nel percorso di formazione iniziale con l’eliminazione della seconda prova scritta concorsuale correlata; il salario dei docenti vincitori di concorso e in formazione venga in tutto e per tutto equiparato a quello degli altri docenti di ruolo così come pure per tutti i diritti contrattuali; il percorso Fit venga ridotto da tre a due anni per tutti i docenti vincitori di concorso; certezza dell’assunzione in ruolo al termine degli anni di Fit”.
In particolare sulla questione inerente l’acquisizione o il riconoscimento dei crediti formativi utili ad accedere all’abilitazione si concentra la prima parte del comunicato pubblicato ieri dal Coordinamento precari/ie della scuola sulla propria pagina Facebook, il cui titolo è significativamente: “I 24 Cfu: perché no”. Per il Coordinamento: “La gestione della fase transitoria del reclutamento docenti progettata dal Miur si è presentata, fin dalle prime fasi, particolarmente confusa e talvolta arbitraria. Le difficoltà erano prevedibili fin dal primo momento dato che l’inaspettato requisito d’accesso dei 24 Cfu ha messo quasi tutti gli aspiranti docenti nella stessa situazione di deficit da colmare per essere in regola. I 24 Cfu, infatti, sono necessari per ogni candidato, a prescindere dal titolo di laurea conseguito o dalla classe di concorso di interesse (fatti salvi, perlomeno, gli abilitati già ampiamente testati del Tfa e i non abilitati che da già almeno tre anni lavorano per la scuola); tuttavia, nessun percorso di laurea prevedeva nel piano di studi esami di pedagogia, di antropologia e di psicologia e, in generale, non poneva nella condizione di affrontare le diverse discipline già con un approccio didattico. Quindi, salvo situazioni particolari, motivate più da scelte specifiche che da indirizzi generali, l’acquisizione di tali crediti, o almeno di una parte di essi, riguarda tutti gli aspiranti docenti”. Ritengono pertanto “ingiusto il valore retroattivo di tale direttiva”.
Infatti “il decreto attuativo 59 dell’aprile 2017, che disciplina il nuovo sistema di reclutamento e quindi il nuovo percorso ‘Fit’, contiene l’indicazione dei requisiti d’accesso mancanti, ma senza i chiarimenti su come conseguirli, tanto che le stesse Università hanno lamentato la carenza di informazioni e espresso la necessità di dover aspettare ancora prima di far partire i corsi di formazione. Tale lentezza, oltre ad influire significativamente sulle vite e sulle decisioni degli aspiranti insegnanti, ha fatto e fa il gioco di Università private che da mesi, prima ancora che uscissero i settori specifici dei crediti da conseguire, hanno iniziato a promettere il facile conseguimento dei 24 Cfu, esponendo di fatto gli acquirenti ad un possibile inganno che poi si è rivelato tale: soltanto 12, e non 24, sono i crediti colmabili per via telematica, secondo quanto si legge nel D.M. 616 del 10 agosto scorso. Si tratta comunque di un regalo a quegli enti che pubblicizzano i loro corsi online a pagamento e che in tutta fretta hanno modificato il loro status di università telematiche per vendere i crediti a cifre che vanno bel oltre il tetto dei 500 euro posto dal Miur: nel decreto, infatti, il tetto fissato è esplicitamente valido soltanto per le università pubbliche”.
D’altro canto “il D.M. n.616 offre le prime direttive per quanto riguarda i settori scientifico-disciplinari utili per acquisire i crediti necessari. Le domande che pone, tuttavia, sono maggiori di quelle alle quali dà una risposta. Mentre per i primi tre ambiti sembra che si proponga un grande condono che permetterebbe di riconoscere (almeno per la fase transitoria) tutti i Cfu dei settori, l’ultimo ambito, quello relativo alla didattica, è invece particolarmente controverso: sembrerebbe infatti che possano essere riconosciuti esami specifici per ogni classe di concorso, sempre che in tali esami siano stati affrontati gli obbiettivi formativi sopra elencati. Se a livello teorico questa scelta può essere ragionevole, a livello concreto tale direttiva si apre a margini di discrezionalità fortissimi. Dato che il riconoscimento dei Cfu spetterà alle Università, ci si domanda: secondo quali criteri verrà valutata la corrispondenza tra esami svolti da riconoscere e i requisiti didattici posti dal Miur? Quali strumenti verranno adottati per verificare che gli obbiettivi siano stati realmente conseguiti? Già si prevede che alcune università riconosceranno esami e altre no. Come verrà gestita tale eterogeneità? Come garantire equità?”.
Non è tutto: un “ulteriore fattore di riflessione della nuova politica di reclutamento docenti è quello relativo alle tempistiche. Gli aspiranti docenti dedicheranno ben 3 anni al percorso Fit (mentre erano 2 per la Siss e 1 per il Tfa), durante i quali non avranno tempo per lavorare e percepiranno un magro rimborso. Inoltre si deve considerare anche il tempo trascorso dall’ultima possibilità di accesso all’insegnamento, quella del Tfa II ciclo, avvenuta nel 2014. Sono quindi ad oggi già 3 anni che i laureati non hanno nessuna possibilità di accedere realmente all’insegnamento. Difficile, inoltre, la situazione in cui si stanno trovando i laureandi. Nonostante il decreto preveda di allungare di un semestre il periodo di studi per colmare la lacuna dei suddetti Cfu, in questo momento la situazione all’interno dei vari atenei italiani è così confusa e in evoluzione che si rischia di non riuscire a sfruttare adeguatamente quel tempo in più previsto dal decreto”.
Quindi “in generale, fondamentalmente ingiusto e incomprensibile è il provvedimento in sé: perché chiedere di formarsi ulteriormente per accedere ad una formazione? Sembra un gioco di parole, ma nei fatti questa situazione è diventata motivo d’ansia per masse di potenziali e attuali docenti. Il Miur progetta un percorso lungo per sostenere l’idea tanto sbandierata di una formazione adeguata della classe docente ma non è chiaro perché chiedere agli aspiranti di formarsi prima e per giunta a pagamento su ciò che sarà oggetto della loro futura formazione. Mentre precedentemente le discipline comprese all’interno dei 24 Cfu erano oggetto di studio durante i corsi abilitanti, ora all’allungamento del percorso si aggiunge la richiesta che lo studente vi acceda già formato. Questa situazione non può che apparire paradossale e volta a generare caos; inoltre non si tiene conto dei sacrifici economici richiesti ai docenti della cosiddetta fase transitoria. Non da ultimo, impoverisce i percorsi universitari degli studenti dei corsi di laurea, poiché questi dovranno adeguarsi alla riforma in vista dell’insegnamento. Pensiamo, in particolare, a quei corsi scientifico-tecnologici in cui l’inserimento dei 24 Cfu snatura in modo significativo i percorsi tradizionali, senza dare peraltro la certezza di ottenere un giorno l’agognata cattedra”.
Si conclude quindi con questo appello il comunicato: “Date queste promesse, sorge una domanda che è anche una rivendicazione: perché non chiedere l’eliminazione dei 24 Cfu tra i requisiti d’accesso, e con essi della seconda prova scritta del concorso, così da lasciare che sia il Fit a formare coloro che realmente avranno la possibilità di accedere all’insegnamento? Anche perché, stando ai numeri che circolano, la crisi in cui si trova oggi la società ha sospinto masse di persone, neolaureati ma anche lavoratori con anni di esperienza in altri settori, a puntare sul mondo della scuola in cerca di una speranza di vita; tuttavia la direzione presa da tempo è quella di un taglio e un ridimensionamento del contingente di docenti (e le ‘sperimentazioni’ messe in campo come il Liceo in 4 anni confermano ciò). In prospettiva, quindi, per molte di queste persone non è immaginabile un futuro nel mondo della scuola”.
Anch sul fronte scolastico, infine, si svolgerà lo sciopero generale che l’Sgb insieme a Cub, Si Cobas, Slai Cobas e Usi-Ait sta preparando per il prossimo 27 ottobre in opposizione all’approvazione della legge di stabilità, che conterrà “l’annunciato ‘bidone’ del rinnovo contrattuale”: questo quanto scritto da Sgb Scuola in un post sulla propria pagina Facebook, dove si invitano i lavoratori della scuola a partecipare a un’assemblea preparatoria delle iniziative per lo sciopero il 20 ottobre dalle ore 17 alle ore 19 presso la sala Hub di via Serra 2/H.
A proposito dello sciopero generale del 27, per i lavoratori dell’Emilia-Romagna l’Sgb organizza la partecipazione alla manifestazione nazionale di Milano: ci si può prenotare all’indirizzo segreteria@sindacatosgb.it o al numro 051385932. A Bologna, di ritorno da Milano, alle ore 16,30 si terrà un’assemblea pubblica in via Marco Polo 52 “animata in particolare dai lavoratori della logistica e degli appalti”.