Opinioni

Note su Carracci Casa Comune e il “sindacalismo metropolitano” da costruire

Di Plat – Piattaforma di intervento sociale un contributo in vista dei prossimi appuntamenti pubblici promossi da Laboratorio Bologna, con l’obiettivo di “rilanciare una discussione sulla necessità di praticare nuove convergenze su scala territoriale (e, speriamo, non solo!) nei prossimi mesi”.

20 Settembre 2024 - 11:45

di Plat – Piattaforma di intervento sociale

Da un paio di mesi il percorso dell’occupazione abitativa Carracci Casa Comune è entrato in una nuova fase. La lotta che ha visto protagoniste oltre 110 persone di differenti età e provenienze ha infatti ottenuto una prima vittoria. Il sequestro pendente sulle tre palazzine e lo sgombero degli stabili sono stati evitati grazie alla continua mobilitazione sul diritto all’abitare, con la presenza politica in città in questi mesi, e grazie alla pressione politica dell’occupazione che ha condotto a una trattativa proficua con l’amministrazione comunale. La legittimazione di Carracci Casa Comune è un piccolo risultato politico, che però a Bologna non accadeva dal lontano 1983. A differenza di quanto avvenuto con altre riappropriazioni abitative nella seconda metà del 2023 (come quelle in via Raimondi, in via Corticella e in via San Giacomo), terminate con uno sgombero, il progetto Carracci Casa Comune (iniziato nell’ottobre 2023) non si è alla fine misurato con uno sgombero ma con l’accoglimento dell’istanza di lotta, ossia l’inserimento delle famiglie nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi popolari e il fatto che le tre palazzine pubbliche non saranno svendute ma anzi diventeranno sede di una nuova progettualità sociale. La storia di Carracci Casa Comune entra dunque in una fase nuova e inesplorata, tra possibilità di commoning urbano e altre traiettorie (potenzialmente rischiose). L’occupazione non è un fine, ma un mezzo, per fare in modo che persone espulse dal mercato abitativo possano trovare casa, e uno strumento di protesta e pressione politica. È presto per dire come finirà questa storia, ma possiamo parlare di una prima vittoria perché questa lotta ha bloccato la svendita di patrimonio pubblico, e i 24 appartamenti di Carracci non diverranno sede per una speculazione edilizia. Inoltre, con questa operazione, 4.5 milioni di euro vengono destinati alla nostra gente, si spostano verso il basso, aprendo nuovi spazi rispetto al “chi decide” sulle risorse pubbliche.

Con questo primo risultato ottenuto possiamo considerare terminato il progetto Radical Housing Project, lanciato a fine aprile 2023. Con quella campagna ci proponevamo infatti di affermare in città la possibilità del principio “Il progetto prima della norma” e di sperimentare una produzione di nuovo ius dal basso che potesse costruire un esempio concreto e duraturo di possibilità autonoma e alternativa. Nel documento di lancio scrivevamo:

“Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una silenziosa delocalizzazione di svariate fasce di popolazione verso aree sempre più periferiche e provinciali. Ma vivere la Bologna metropolitana non può voler dire guardare cosa accade nel suo centro da un punto sempre più lontano. Diritto alla città per noi vuol dire anche rivendicare il diritto a poter vivere nelle aree centrali senza adattarsi a condizioni di miseria, ma con una nuova idea e una nuova forma di abitare. Praticando modelli abitativi alternativi fatti di cooperazione e di spazi comuni, che passano per il riuso temporaneo, ma anche permanente, di spazi abbandonati e vuoti urbani. […] La casa” negli ultimi anni è molto cambiata. Lungi dall’essere solo un tetto sopra la testa e quattro mura intorno a noi, la casa si manifesta sempre più come luogo dove si lavora (sia come lavoro spesso invisibile di riproduzione, che come lavoro salariato). La casa è un luogo di cura, ma anche un luogo di conflitto dove poter costruire nuove relazioni anti-patriarcali. La casa è uno spazio sempre più digitalizzato e al centro della possibilità di definire nuove forme di uso energetico in un’ottica ecologica”.

Nella costruzione della nostra metropoli-Bologna non vogliamo confini interni, emarginazione nelle periferie, rassegnazione ad una costante esclusione dal centro città. Per questo continueremo a lavorare affinché Carracci Casa Comune possa funzionare come avamposto per il diritto all’abitare e per il diritto alla città, aprendolo ulteriormente a tanti altri percorsi e proseguendo nella direzione per cui la dimensione dell’intervento pubblico possa diventare uno spazio di contesa sociale. La direzione in cui vanno le risorse pubbliche può non essere solo un finanziare verticale, ma anche una contesa per liberare energie sociali. Non si tratta solo di stimolare lo stanziamento di capitale pubblico per fini sociali che vadano verso la nostra gente – il che già di per sé non è poco – ma anche di contenderlo all’inefficienza, all’appropriazione privata, alla dispersione.

Per le prossime stagioni abbiamo una serie di domande per una nuova ricerca politica. Siamo infatti convinte che il terreno della lotta per l’abitare possa ulteriormente ampliarsi ed espandersi, inventando nuove pratiche e inchiestando nuovi settori sociali. I comitati anti-sfratto e le occupazioni abitative sono pratiche fondamentali e che continueremo a mettere in campo, ma al contempo vediamo alcuni limiti in queste dimensioni in quanto tendono ad essere vissute solo da componenti sociali in estrema difficoltà, mentre ci pare che oggi ci sia il potenziale per interconnettere nella lotta per l’abitare molte altre componenti sociali. In alcune città del mondo si stanno iniziando a sperimentare pratiche di mobilitazione sociale inedite, e uno dei possibili terreni di sperimentazione ci pare quello di poter mirare a una contesa sull’afflusso di denaro che arriva a Bologna con il turismo. A chi va? Per chi? Su queste domande si potranno forse immaginare nuovi spazi di lotta.

Sempre nel documento di lancio di Radical Housing Project scrivevamo:

“Il cosiddetto capitalismo delle piattaforme, incarnato da grandi multinazionali come Amazon, si afferma anche a Bologna, ridefinendo le forme del lavoro e gli spazi urbani. Le forme dell’abitare non sono più solo gioco della rendita e della speculazione immobiliare, ma si intrecciano con meccanismi di estrazione di valore globale. Cambia l’essenza stessa della ‘casa’, non più solo tetto o luogo del lavoro riproduttivo e di cura, ma anche terminale di varie altre forme di lavoro e studio. Si assiste a fenomeni di nuovo rifiuto del lavoro, le cosiddette ‘grandi dimissioni’, di fronte al proliferare di sempre più lavori pericolosi, sottopagati, alienanti. […] Abitiamo in un periodo di transizione, tra una vecchia città e una nuova metropoli che ancora non è sorta. Per questo il diritto minimo essenziale di una casa non può essere oggi slegato, per immaginare l’abitare futuro, da una complessa serie di ambiti come quelli lavorativi […]. Per questo pensiamo necessario costruire delle infrastrutture sociali che connettano i tanti luoghi dispersi dove siamo state cacciate lontano da Bologna negli ultimi anni per riportare il sociale al centro geografico e sociale della città”.

È anche su questo terreno che ci pare si possa aprire in modo ampio e collettivo una nuova sperimentazione politica. All’incrocio tra nuove forme del diritto all’abitare ed esperimenti in grado di incidere sul terreno del lavoro. Nella Bologna che si globalizza, e nel suo divenire-turistica, abitare e lavoro ci paiono due terreni per una inedita battaglia di classe sulla metropoli, che necessita di un complesso e variegato ecosistema sociale e politico per poter essere efficace. Con il progetto della Piattaforma di Intervento Sociale (PLAT) ci stiamo ponendo il tema di cosa possa significare oggi poter produrre vertenzialità autonoma nell’ottica di risultare come credibili referenti sociali per una lotta di lungo periodo. Essere in altre parole capaci di ottenere risultati e vittorie per la nostra gente e il nostro territorio, sperimentando forme di “sindacalismo metropolitano” – un termine che mettiamo sul piatto come possibile sfida collettiva di immaginario e pratiche da inventare.

Cosa può produrre mettere in connessione diversi hub che esistono sul territorio bolognese come infrastruttura di riferimento per le soggettività precarie e proletarie della metropoli? Come si può lottare e ottenere denaro e diritti per il caleidoscopio del lavoro contemporaneo? Come possiamo sviluppare una contesta di potere sulle risorse e sul design urbano di Bologna? Come possiamo rovesciare il tavolo di una politica nazionale e internazionale che parla sempre più di Warfare – portando invece peso sociale e politico sul terreno del welfare? Sono alcune delle domande che proponiamo per la discussione collettiva di Laboratorio Bologna nei prossimi mesi.

E, per chiudere, proviamo a iniziare a indicare due possibili terreni di costruzione politica collettiva, sentieri di vertenzialità autonoma per un sindacalismo metropolitano da costruire. La battaglia sul divenire-turistica di Bologna ci pare possa offrire due primi spunti in proposito. Primo: la tassa di soggiorno turistico porta nelle casse comunale sempre più denaro ogni anno, 12 milioni nel 2023 e oltre 14 quest’anno. Possiamo pensare a una lotta affinché si aumenti radicalmente una tassazione progressiva per il turismo più ricco e che le risorse della tassa di soggiorno siano destinate all’abitare popolare di Bologna (imporre un equo canone, espandere l’autorecupero, nuova edilizia pubblica, etc.) e non a finanziare il city-branding? Secondo: la trasformazione di Bologna è possibile perché decine di migliaia di persone lavorano in e per essa, spesso a condizioni intollerabili. Possiamo imporre che a Bologna non si debba lavorare per meno di 10 euro l’ora, scommettendo su un salario minimo metropolitano? Solo alcuni primi spunti per un percorso aperto e in divenire, e per rilanciare una discussione sulla necessità di praticare nuove convergenze su scala territoriale (e, speriamo, non solo!) nei prossimi mesi.