Alla nuova occupazione del SOS Fornace di Rho si sono tessute «reti di prossimità e di relazione tra vari gruppi, collettivi, associazioni impegnati sul tema della precarietà, del lavoro e della vita»
> Il report da precaria.org
Se credete, come noi, alla potenza dei processi cooperativi, ebbene fidatevi: quella forza è stata con noi il 15 e il 16 di gennaio nel nuovo spazio occupato del C.S. Sos Fornace in via Moscova 5 a Rho (MI). Ecco un esempio concreto di ciò che intendiamo per costruzione del comune: in 48 ore il punto di vista precario è diventato un’intuizione collettiva, colma di promesse. Slogan scandito in ogni intervento, ha palpitato nelle stanze, ha girato e rigirato, si è trasformato in passaparola. Quando, nel freddo di gennaio, centinaia di persone si mettono a ragionare all’unisono sull’importanza di scommettere sulla costruzione di un punto di vista precario possono anche accadere miracoli. Intanto l’indomani, dopo settimane, Milano si è svegliata con il sole.
La prima edizione degli Stati Generali, a metà ottobre, ha creato il tessuto che oggi ha reso possibile questo nuovo, fondamentale, passaggio, ovvero l’opportunità di creare reti di prossimità e di relazione tra i vari gruppi, collettivi, associazioni sparsi per l’Italia ed impegnati sul tema della precarietà, del lavoro e della vita. Si è così ribadito che la condizione di precarietà è l’elemento generale e strutturale del mercato del lavoro di oggi. Qualunque sia il segmento di lavoro considerato (operaio, callcenter, migrante, lavoratore della conoscenza, studente, formatore, terziario, ecc.), la condizione attuale del lavoro è caratterizzata in modo pervasivo da incertezza, intermittenza e ricattabilità. I recenti accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori lo hanno ampiamente dimostrato.
Siamo dunque a una svolta. Ciò che è accaduto in questi anni – le nefaste conseguenze della legge Treu (1997), della Turco-Napolitano prima (1998) e della Bossi-Fini poi (2002), della legge Biagi (2003) e, infine, dell’ultima perla del Collegato Lavoro – ha trasformato interamente i riferimenti culturali e sociali, erodendo diritti e salari, frammentando in mille pezzi i corpi del sociale (e la sinistra, istituzionale e sindacale), privatizzando ogni ambito della vita, dai servizi ai territori, e ciò che noi chiamiamo beni comuni. Un processo che si è mangiato tutto, progressivamente, prima una generazione poi più generazioni e ora anche gli (ex) “intoccabili” della Fiat, simbolo della produzione made in Italy e del conflitto operaio. Tutto ciò è stato visto e raccontato nel corso dei differenti incontri di questa seconda edizione degli Stati Generali attraverso le lenti dei precari e delle precarie, nel tentativo di costruire e affermare un punto di vista precario.
Oggi parlare di precarietà è parlare alla totalità del mondo del lavoro: una condizione che va oltre la tradizionale separazione tra lavoro e vita. La precarietà è il modo con cui si crea profitto, controllo e ricchezza, ma anche la maniera con cui si tengono insieme ricatto e consenso.
Una condizione precaria che tracima nei territori, nella difficoltà di avere una casa, nel tempo di vita che ci viene rubato, nella programmazione di un futuro che sempre più ci viene negato. Una nuova consapevolezza sta nascendo. Una consapevolezza che il più delle volte viene mistificata da quelle istituzioni – sindacali e partitiche – che pretendono, senza riuscirci, all’interno della mediazione politica, di interpretare e rappresentare i bi/sogni e i desideri della generazione precaria o, più correttamente, delle generazioni precarie. E’ in questa prospettiva che si è discusso della precarietà migrante intesa come forma paradigmatica della precarietà di vita e della cittadinanza; della precarietà formativa e della conoscenza, strette tra la svalorizzazione e dequalificazione degli istituti dell’istruzione (esemplificati dal DDL Gelmini) e la continua espropriazione dei saperi nella morsa della proprietà intellettuale e della mercificazione della cultura; delle nuove condizioni di precarietà che sempre più minano il lavoro dipendente (operaio e non), anche quando formalmente si presenta come lavoro stabile.
Durante la plenaria questo punto di vista precario è diventato una narrazione collettiva trasformandosi in un’idea comune, potente e condivisa: la voglia di uno sciopero precario! Non semplicemente (come se fosse semplice) uno sciopero dei precari e delle precarie, bensì uno sciopero sulla precarietà e nella precarietà. “Sulla precarietà”, ovvero che ponga come elemento centrale la questione della precarizzazione e di come si possa uscirne. “Nella precarietà”, ovvero tramite nuove forme di conflitto che non siano appannaggio dei soli militanti: quindi uno sciopero che dovrà necessariamente essere costruito e sviluppato con una varietà di soggetti e situazioni il più possibile ampia, coinvolgendo tutti coloro che si trovano senza tutele né numi tutelari. Siamo coscienti delle difficoltà, ma pensiamo che questo sia il nodo principale che deve essere affrontato, la vera questione, centrale e imprescindibile. Sul come costruire lo sciopero precario, sui modi per coinvolgere chi è ricattato, ci affideremo ancora una volta all’intelligenza collettiva delle precarie e dei precari, degli operai e dei migranti discutendone in modo approfondito in una nuova edizione degli Stati Generali tutta incentrata su questo argomento: gli Stati generali della Precarietà 3.0: laboratori dello sciopero precario! che si terranno a Roma la prossima primavera.
Lo sciopero precario dovrà inventare nuove forme di lotta, in grado di far collaborare e rafforzare le diverse soggettività precarie, e dovrà mirare al blocco dei flussi della produzione e della circolazione delle merci e delle persone: in una parola il sabotaggio del profitto. Sarà dunque necessario immaginare nuove azioni e strumenti affinché l’astensione dal lavoro dei precari si renda praticabile, colpendo viceversa duramente quei gangli della produzione materiale e immateriale che oggi maggiormente sfruttano il lavoro dei precari, migranti e nativi. Uno sciopero che dovrà essere in grado di presentare proposte e indicare obiettivi per creare le premesse di un superamento di questa infame condizione esistenziale e strutturale. E anche su questo punto la due giorni ha espresso indicazioni precise: le proposte saranno accomunate dalla richiesta di un nuovo welfare in grado di rendere praticabili il diritto alla scelta del lavoro (garanzia di reddito incondizionato per tutti i residenti, libero accesso ai servizi sociali e ai beni comuni, introduzione di un salario minimo orario) e il diritto a una vivibilità e mobilità sostenibili, in opposizione alla nuove forme di rendita (immobiliare e finanziaria) che oggi sempre più sono alla base della crescita dei profitti delle imprese industriali, dei servizi e della finanza.
L’assemblea conclusiva, infine, si è trovata d’accordo nell’attraversare i prossimi importanti appuntamenti di lotta, dallo sciopero Fiom e del sindacalismo di base del 28 gennaio, allo sciopero dei migranti del 1 marzo, a tutte le altre date che verranno a crearsi nelle settimane da qui a primavera, generalizzando il più possibile le parole d’ordine del punto di vista precario: è questo l’impegno assunto al termine degli Stati Generali della Precarietà 2.0.
Questo documento, in ogni caso, non è un comunicato e non pretende di essere esaustivo di tutto ciò che è emerso nella due giorni del 15 e 16 gennaio. E’ piuttosto un primo tentativo di evidenziare ciò che pensiamo sia stata la potenza degli Stati Generali 2.0: la conoscenza profonda della precarietà e una condivisione vera delle pratiche che ad essa si oppongono nei territori, nel sociale e nella produzione. E’ un inizio, ma è un buon inizio!