Ritagli di specchi installati, nei giorni scorsi, sulla teca che in via Mascarella a Bologna protegge le tracce lasciate dalle pallottole dei carabinieri che nel 1977 uccisero lo studente di Lotta continua. Un progetto di Paloma Harquet: “È forse grazie alla capacità di vedersi riflessi nel monumento che possiamo identificarci con esso?”.
Frammenti di specchi sulla teca che in via Mascarella protegge i fori dei proiettili dei carabinieri che nel 1977, l’11 marzo, uccisero Francesco Lorusso: “La fragilità della memoria” è il titolo dell’intervento artistico realizzato pochi giorni fa da Paloma Harquet in ricordo dello studente di Lotta continua. “La motivazione che mi ha spinto a lavorare sul monumento di Francesco Lorusso è direttamente collegata al mio interesse per i problemi che nascono dalla memoria, dalla natura effimera del ricordo e dal pericolo dell’oblio. Ciò va oltre la situazione concreta di un Paese o di un contesto politico, sociale e culturale, è infatti legato a una questione più esistenziale e universale nella storia dell’umanità. In qualsiasi momento possiamo scomparire, ed è questa fragilità dell’individuo che mi interessa approfondire con questo progetto”, spiega l’autrice dell’iniziativa, che rientra nella cornice di Corneraholic (una rassegna di interventi urbani temporanei proposta da Massimo Bartolini e dalle/gli studentesse/i del corso di scultura dell’Accademia di belle arti di Bologna).
“I ricordi o i fatti storici sono immersi nella difficoltà umana di fissarli come qualcosa di concreto- prosegue Harquet- ed è per questo che mi chiedo se l’oblio sia inevitabile così come la confusione dei dettagli. Il monumento di Francesco Lorusso è, dunque, soggetto all’oblio? È direttamente collegato a quanto ci identifichiamo con la nostra storia? O è anche legato al modo in cui facciamo dialogare il monumento con la nostra vita quotidiana, con il nostro modo di camminare, di osservare e di fermarci? Una cosa che mi ha colpito di questo monumento è quanto passi inosservato. Si capisce che lì è successo qualcosa, ma non è chiaro quale posto occupi o dovrebbe tutt’oggi occupare. È forse grazie alla capacità di vedersi riflessi nel monumento che possiamo identificarci con esso e superare così la fragilità della memoria?”.
Il progetto, spiega ancora l’autrice, “è diviso in due parti, dove l’opera è costruita in modo simbolico e fisico. La prima parte è conforme alla nozione di rituale, un rituale in cui eseguo la pulizia del monumento. La tradizione di pulire i morti o la tomba in cui si trova il defunto esiste da secoli: In Indonesia, ad esempio, i Toraja ogni tre anni eseguono la cerimonia di disseppellire i loro morti, lavarli e vestirli con abiti puliti, in segno di rispetto per i loro antenati e per ridare momentaneamente loro la vita. Questa prima parte del progetto consiste nella pulizia del monumento, che nel tempo e nella vita quotidiana della città si è ricoperto di polvere ed è stato in qualche modo dimenticato. La pulizia è conforme alla nozione di presente: con il rispettoso gesto di pulire la lastra vorrei momentaneamente bloccare l’effimero del presente e riportare, simbolicamente, in vita Francesco. Per avere una documentazione, è stato realizzato un video, con diverse inquadrature, sia di dettaglio che registrano il gesto fisico dell’esperienza, sia generali dove si osserva il contesto che circonda e accompagna il monumento”.
La seconda parte del lavoro “è conforme, invece, alla doppia nozione di ‘specchio’, utilizzando e valorizzando la nozione di riflessione che già avviene in modo sottile e naturale attraverso l’attuale lastra posta a protezione del muro. Per questo, si utilizzerà- così aveva anticipato Harquet nella presentazione dell’intervento- una lastra a specchio, che viene generalmente impiegata sulle finestre per creare un effetto specchio sulla superficie del monumento. Essendo un materiale leggero e facile da maneggiare, l’idea è quella di ritagliare frammenti di specchi che verranno collocati sulla targa attorno ai fori dei proiettili dei carabinieri, che portarono alla morte di Lorusso, questi ultimi, a mio avviso, simbolo del dialogo costante tra passato e presente. Frammenti in cui le persone che passeranno davanti all’intervenzione si vedranno automaticamente riflesse, cogliendo così il concetto stesso di riflessione storica e presente, il riflesso stesso della società, riflesso simbolicamente attraverso Francesco Lorusso. È proprio questo potere riflettente del vetro che provoca anche una nuova dimensione spaziale, in cui lo «spettatore» è non solo partecipante ma parte stessa dell’opera”.
L’autrice conclude con “un grande ringraziamento a Vag61 – Spazio Libero autogestito che mi ha dato l’ispirazione necessaria per immaginare questo intervento: per conservare, proteggere la memoria di tutti”.