Oggi blitz di Hobo in rettorato, ieri pranzo del Cua in piazza Puntoni. E l’Associazione Bianca Guidetti Serra: “Oggi a Bologna rischia di più chi protesta che chi provoca con l’amianto la morte di chi lavora”.
Due iniziative dei collettivi universitari per contestare Università e Rettore, la prima ha avuto luogo nel pomeriggio di ieri di fronte alla mensa di piazza Puntoni a firma del Cua, la seconda è stata organizzata questa mattina da Hobo al piano terra dell’edificio che ospita il Rettorato, in via Zamboni 33. Gli attivisti di Hobo hanno incollato sulle porte di accesso agli uffici del rettore alcuni manifesti che ritraggono metà volto di Ubertini e metà del presidente turco Erdogan, spiegando così le ragioni della protesta: “Nessun codice contro la nostra libertà! Conosciamo bene il doppio volto del rettore Ubertini: da un lato la faccia di chi promette dialogo con gli studenti, dall’altro quella di chi, invece, stringe la mano di Salvini, di chi ha il filo diretto con Questura e Procura, mandando la polizia nelle facoltà ed emettendo provvedimenti disciplinari contro chiunque esca dalle norme dei loro codici feudali. È un rettore che vuole diventare un sultano-tecnico, un rettore evidentemente molto ispirato da Erdogan. Ma per un rettore sultano non tutti sono sudditi: stamattina siamo andati davanti al suo palazzo a far sentire la nostra voce, la voce di chi non accetta passivamente i suoi editti, di chi rivendica la necessità di criticare i baroni con l’elmetto che pontificano sulla guerra che noi stessi subiamo, di chi sa che solo attaccando questi dispositivi si può parlare di vittoria. Abbiamo così impresso sui vetri del rettorato i segni della nostra libertà di critica. Sia chiaro ad Ubertini e a tutti i suoi soldatini: questo è solo l’inizio! Nessuna sospensione per Loris, nessuna sospensione per nessun@! 36 libero, liber@ tutt@!”. L’iniziativa si inserisce all’interno della campagna #Libertàdistudiare, lanciata alcuni giorni fa contro i provvedimenti disciplinari presi nei confronti di uno studente e militante del collettivo, per una contestazione risalente al 2014.
Il Cua è tornato invece a manifestare, con un nuovo pranzo sociale, davanti alla mensa universitaria di piazza Puntoni, a due giorni dal processo che si terrà per uno degli studenti che manifestarono contro il caro-mensa nel novembre dell’anno scorso e in concomitanza con la fine del divieto di dimora per un altro studente colpito dalla misura cautelare, sempre in relazione alle proteste di piazza Puntoni. Alla fine di aprile, inoltre, due studenti erano stati assolti dall’accusa di resistenza a pubblico ufficiale per gli stessi fatti. Così il collettivo: “Quest’oggi (ieri, ndr), a due giorni dal processo che Lomaz dovrà subire per aver combattuto, assieme a tanti altri, per un pranzo accessibile, siamo tornati davanti alla mensa di piazza Puntoni con un pranzo sociale, per chiedere l’abbassamento dei costi della mensa ed esprimere solidarietà a quanti, a seguito delle mobilitazioni degli scorsi mesi, sono stati colpiti prima da misure detentive cautelari e successivamente da provvedimenti disciplinari comminati dall’Unibo. Segnaliamo, ancora una volta, come lo scenario che ci siamo trovati di fronte sia stato grottesco: tre camionette della celere parcheggiate ai lati della piazza e plotoni di celerini a presidiare gli ingressi della mensa sono la risposta che l’Unibo ha voluto dare alle decine di studenti e studentesse giunti in piazza per il presidio solidale”.
Perciò, afferma il Cua: “Abbiamo bisogno di soluzioni, non di manganelli, per questo le lotte continuano e continueranno! Riteniamo opportuno segnalare a tal proposito quanto questo atteggiamento delle istituzioni sia in perfetta continuità con la politica che il rettore Ubertini e la questura di Bologna stanno perseguendo in queste settimane nei confronti di quanti per mesi si sono mobilitati contro il caro mensa: divieti di dimora, denunce e sospensioni sono quello che oggi devono subire decine di studenti e studentesse colpevoli di aver alzato la testa sollevando istanze legittime. Riteniamo tutto questo inaccettabile e per questa ragione non siamo disposti a fermarci. Torneremo di nuovo davanti alle porte della mensa per chiedere dei prezzi accessibili per studenti e studentesse e ci scaglieremo all’attacco di tutti i dispositivi punitivi, di tutte le misure disciplinari e di tutti i codici etici utilizzati come rappresaglia contro chi lotta. Per concludere, non possiamo che accogliere con grande soddisfazione l’avvenuta liberazione di Alessio (studente universitario) dal giogo del divieto di dimora, che da oggi finalmente potrà tornare a Bologna dopo esser stato costretto ad andarsene da una misura cautelare comminata a seguito delle giornate di lotte contro il caro-mensa dei mesi scorsi. Ad attenderlo troverà l’abbraccio dei tanti studenti e studentesse che gli sono stati vicino in questi mesi. Perché, come abbiamo sempre dimostrato, crediamo che il modo migliore per rispondere alla repressione e ai soprusi del potere sia questo: stringersi assieme in cordone, con il sorriso sulle labbra e la sicurezza di chi lotta. Lomaz libero! Liberi tutti. Stop caro mensa!”
Sulle misure che negli ultimi tempi hanno colpito gli studenti prende parola anche l’Associazione Bianca Guidetti Serra: “Accade a Bologna. Alla fine del 1943 la biblioteca di Lettere diventò punto di riferimento per gli antifascisti bolognesi che ne fecero il centro per la fabbricazione dei documenti falsi che salvarono la vita a perseguitati politici ed ebrei fuggiaschi. Tutto questo fu possibile perchè, anche sotto l’occupazione nazista, la biblioteca di Lettere era uno spazio libero, dove tutti potevano accedere. Oggi di questo glorioso passato non resta nemmeno il ricordo. Resta la celere che irrompe in biblitoca, come non era mai successo in più di 900 anni di storia. Nessuno, nemmeno nel Medioevo o nel ventennio, si era mai permesso di violare in armi quelle mura. Oggi succede e nessuno ne prova vergogna. Nessuno prova vergogna nemmeno del fatto che, davanti ad una vertenza universitaria contro il caro mensa – nella città che la le mense fra più costose d’Italia – la risposta non sia il calmieramento pubblico dei prezzi ma l’intervento della celere ed i provvedimenti giudiziari e disciplinari contro i manifestanti: tre obblighi di firma, un divieto di dimora, cinque sospensioni dall’Università e una condanna in primo grado a due anni e due mesi (mentre altri attivisti sono ancora in attesa di giudizio). Due anni e due mesi è una condanna superiore a quella comminata a due dirigenti della Casaralta, accusati della morte per amianto di decine di operai. Oggi, a Bologna, si rischia di più a protestare che a provocare la morte di chi lavora”.