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Virus, arrivano “bici della solidarietà” per distribuire beni essenziali ai senza fissa dimora

Ya Basta, Làbas e Tpo lanciano le “Staffette alimentari partigiane”. Venturi su obbligo mascherine in Emilia-Romagna: “Lo stiamo valutando”. Saperi Naviganti chiede “risarcimento danni da Alitalia” per studenti Unibo rimpatriati dall’Argentina. Noi restiamo su medici specializzandi: “Guadagni mensili spariti nel pagamento tasse universitarie”. Il Padrone di Merda: “Mascherine inutili” date a lavoratori di un supermercato.

06 Aprile 2020 - 20:28

Nel territorio metropolitano ancora 11 morti e 93 nuovi casi di positività  da Covid-19 accertati, il cui conteggio nelle ultime 24 ore rilevate hanno raggiunto i 2300, di cui 317 nell’imolese. I contagi in Emilia-Romagna sono complessivamente 17.556, 467 in più rispetto a ieri, a fronte di 72.163 test effettuati (+2.177). I decessi sono in tutto 2.108 (+57), i ricoverati in terapia intesiva 372 (due meno di ieri), quelli in altri reparti 3804 (-35), le persone in isolamento a casa 7795, quelle guarite 2397 (+196) di cui 965 risultate negative in due tamponi consecutivi (+135). I posti letto aggiuntivi allestiti in Regione sono 5196 (+97). I casi nelle altre province: 2.936 Piacenza (44 in più), 2.317 Parma (42 in più), 3.167 Reggio Emilia (101 in più), 2.691 Modena (82 in più),510 Ferrara (22 in più), 728 Ravenna (20 in più), 1.015 Forlì-Cesena (38), 1.575 Rimini (22 in più).

Oggi intanto il commissario regionale per l’emergenza coronavirus Venturi, parlando della possibilità di introdurre l’obbligo di utilizzare la mascherina anche in Emilia-Romagna, come stabilito ieri per la Lombardia, ha dichiarato: “Lo stiamo valutando”. La Regione ha inoltre annunciato che inizierà nei prossimi giorni la distribuzione di tre milioni di mascherine ai residenti.

E’ partita oggi invece, promossa da associazione YaBasta Bologna, Làbas e Tpo, una “campagna di crowdfunding per raccogliere fondi da destinare all’acquisto di cibo e generi di prima necessità igienico-sanitaria che distribuiremo alle persone senza fissa dimora della città di Bologna”.

Staffette alimentari partigiane, è questo il nome dato all’iniziativa da attiviste e attivisti, che intanto hanno già attivato un crowdfunding su Produzioni dal Basso e che hanno iniziato la distribuzione dei beni utilizzando come mezzo di trasporto la bicicletta, e che spiegano: “Viviamo un momento storico molto particolare, che vede la quotidianità di tutti e tutte noi segnata dal distanziamento fisico dall’altro: per responsabilità, non per obbedienza, accettiamo l’isolamento nelle nostre case e ci sforziamo di restare conness* con l’ausilio della tecnologia. Ma sappiamo che la crisi sanitaria e le misure adottate per contenere il contagio non hanno le stesse ripercussioni per tutt*. Per molte persone infatti, distanziamento significa anche mancanza di certezze e riferimenti, solitudine, difficoltà di accesso a quelle forme di sostegno che l’essere comunità sa dare. Non solo ad esempio, non tutt* hanno la possibilità di essere costantemente conness* alla rete, mantenendo così i contatti coi propri cari e col mondo, ma molt* non hanno neppure una casa in cui passare questo periodo di quarantena. Chi già prima viveva in condizioni di vulnerabilità e marginalità sociale, subendo le conseguenze di una società profondamente diseguale, si trova oggi a essere più espost* tanto al rischio di contagio quanto al dramma della solitudine e dell’assenza di rapporti umani. Pensiamo che continuare a costruire ponti di solidarietà in queste settimane così delicate per tutt*, sia non solo un atto di altruismo ma anche e soprattutto una pratica di resistenza dal basso a quelle dinamiche di esclusione sociale che rischiano oggi di acuirsi, e un modo per ricordare a noi stess* e alla città che nessun*, neanche durante la più grave delle emergenze sanitarie, deve restare sol*”.

“Calcoliamo -continuano Ya Basta, Làbas e Tpo- di distribuire circa 25 sacchetti del valore di 15,00 euro ciascuno, per i 9 sabati dei mesi di aprile e maggio, per un budget totale di 3375,00 euro. Con ogni sacchetto, per chi lo vorrà, regaleremo un libro dalla biblioteca di Quaderni Urbani. I 15,00 euro calcolati per ogni sacchetto comprendono, approssimativamente: € 11,50 : acquisto generi alimentari e prodotti igienico-sanitari (es. gel disinfettante). € 0,80 : acquisto dispositivi di sicurezza per operatori/operatrici. € 1,40 : spese di trasporto. € 1,30 : costi di utilizzo della piattaforma + costi di transazione. Non vogliamo che la crisi la paghino i più deboli. Non vogliamo che quest’isolamento forzato ci porti a dimenticarci dell’altro. Così come dobbiamo prenderci cura di noi, dobbiamo e vogliamo continuare a prenderci cura ‘del noi'”.

Intanto, diamo conto di nuove testimonianze legate all’emergenza. Il collettivo universitario Saperi Naviganti mette per iscritto il racconto di alcune studentesse e studenti dell’Università di Bologna che hanno dovuto rientrare in Italia dall’Argentina, dove si trovavano per ragioni di studio in accordo con l’Università, pagando di tasca propria il volo per il rimpatrio: “‘Stanno chiudendo il paese, vi consigliamo vivamente di tornare in Italia per la vostra sicurezza, sappiate che se rimanete qua nessuno vi verrà a prendere, ma se ve ne andate pagate voi’. Queste sono le parole con le quali il Direttore amministrativo dell’Università di Bologna a Buenos Aires ci ha invitato caldamente a ritornare in Europa pagando 2200 euro di biglietto aereo Buenos Aires Roma con compagnia nazionale Alitalia. Siamo studentesse e studenti internazionali dell’Università di Bologna, a Buenos Aires nella sede dell’Università di Bologna. Ogni anno infatti 30 studentesse e studenti del primo e del terzo anno dei corsi di Economia e Scienze Politiche hanno l’opportunità di vivere una esperienza internazionale e di lavorare a contatto con studentesse e studenti argentine e argentini. Venerdi 13 marzo 2020 riceviamo una chiamata dall’Università di Bologna, la quale ci comunica che il nuovo decreto ministeriale prevede il blocco dei voli per un mese, sia in entrata sia in uscita; che il Ministero aveva dichiarato emergenza sanitaria nazionale della durata di un anno a causa del covid19; e che se avessimo voluto tornare dovevamo farlo ora altrimenti sarebbe stato problematico (e a nostro carico) affrontare il covid19 in Argentina, alla luce del fatto eravamo peraltro sprovvisti di una copertura sanitaria. L’Università ci consiglia di andarcene, Alitalia ha confermato solo un volo durante la settimana ed è quello di domenica 15 marzo alle 14.00”.

Continua il racconto: “La signorina del call center di Alitalia ci comunica che se non fossero riusciti a riempire il volo, l’avrebbero cancellato. Le nostre famiglie sono prese dal panico, se rimaniamo qui non sappiamo quando potremmo tornare in Italia, l’Argentina ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria nazionale per un anno, per cui tutto è lecito in questo arco temporale. L’ambasciata italiana e il consolato italiano continuano a ribadire che l’unica soluzione sicura è acquistare un volo diretto il prima possibile e che optare per l’alternativa più economica di un volo con scalo in un paese europeo sarebbe stato troppo rischioso. L’Europa, infatti, avrebbe potuto chiudere tutte le frontiere da un giorno all’altro, come poi è accaduto. Abbiamo poche ore di tempo per prenotare l’ultimo biglietto per tornare in Italia e facendoci coraggio a vicenda chiamiamo le nostre famiglie comunicando loro il costo esorbitante. Non abbiamo una copertura sanitaria e le temperature in Argentina si stanno gradualmente abbassando, decidiamo dunque di tornare. L’unica compagnia che vola è Alitalia e l’unico biglietto che c’è costa 2200 euro. 2200 euro è il prezzo che devi pagare se ti trovi lì se o stai studiando all’estero dall’altra parte del mondo e improvvisamente una pandemia mondiale minaccia la tua salute, in un luogo in cui nessuno te la garantisce. 2200 è il prezzo che devi pagare se vuoi tornare a casa, e se hai una unica possibilità per farlo. Ma non è tutto. Il giorno della partenza eravamo tutti abbastanza confusi. Sentimenti a parte, Alitalia ci manda una mail nella quale invitava tutti noi a viaggiare con la mascherina, chi non la possiede non può salire sull’aereo. Una volta a bordo, ci rendiamo conto di essere tutti vicini come sardine, il volo era pieno, nessun controllo della temperatura effettuato, non tutti avevano le mascherine, ma quando ci alzavamo per andare in bagno gli/le hostess ci ammonivano di rispettare il metro di distanza di sicurezza. Non solo Alitalia ci ha fatto spendere l’esorbitante cifra di 2200 euro per tornare ma ha anche messo in pericolo le nostre vite e quelle di una nazione intera non rispettando le norme ministeriali che per legge anche la compagnia di stato è costretta a rispettare. 14 ore di viaggio senza nessun tipo di distanza tra i passeggeri. Sui social ci ammoniscono di dover restare in casa, ma le aziende di stato violano i decreti nazionali per racimolare qualche soldo in più. E se Alitalia ha volato con noi in questo stato, non c’è motivo di credere che non lo abbia fatto negli altri viaggi. Alitalia ha speculato sulle nostre vite, sulle nostre famiglie, sul nostro paese”.

La richiesta di Saperi Naviganti è dunque di un “risarcimento danni” da Alitalia, “per aver speculato sulla nostra salute e sul diritto di un/a cittadino/a italiano/a di rientrare nel proprio paese se minacciato di non poterlo più fare e chiediamo che l’Università di Bologna di assisterci e sostenerci nella causa che porteremo avanti ai danni della compagnia. Chiediamo che lo Stato non ci renda invisibili. I danni del Coronavirus non li devono pagare gli studenti! Risarcimento a tutt* subito!”.

Sul versante del lavoro invece, due segnalazioni di collettivi. Noi Restiamo, commentando un articolo di stampa sulla condizione dei medici specializzandi durante l’emergenza scrive: “Sono molti gli specializzandi oggi in prima linea nell’emergenza del Covid19, come esprime il racconto di una giovane specializzanda del Sant’Orsola, che non vuole altri elogi vuoti e insignificanti e chiede di non essere presa in giro, lei come i suoi colleghi. Questi specializzandi, infatti, che svolgono turni da 12 ore al giorno in condizioni estreme, vedono i loro guadagni mensili completamente spariti nel pagamento delle tasse universitarie. Non ci stupisce che l’università cerchi di lucrare anche in questa situazione emergenziale. Le tasse universitarie sono estremamente alte e spesso le borse di studio non risultano sufficienti a vivere a Bologna, ma nella condizione attuale questa forma di lucro è ancora più evidente in quanto le attività didattiche in forma teorica e pratica, sia di questi specializzandi che in generale di tutti gli studenti UniBo, sono chiaramente sospese in vista dell’emergenza. Non è stato preso dall’Università di Bologna nessun provvedimento di sospensione delle tasse per tutti gli studenti e nessuna forma di aiuto economico per chi deve sostenere le spese di una stanza in affitto in una delle città con i canoni di locazione più alti d’Italia. Questo anche a fronte dei grossi risparmi che si prospettano in termini di mantenimento delle strutture e utenze, in quanto la quasi totalità delle aule e degli spazi universitari in questo momento non è aperta al pubblico”.

Prosegue il collettivo: “La situazione di crisi ha messo in evidenza tutte le contraddizioni del sistema neoliberista in cui siamo immersi, anche nell’ambito universitario: i medici in Italia sono pochi ma l’università rende sempre più difficile studiare per questa professione. Il test di medicina è a numero chiuso e accoglie principalmente chi prova al secondo tentativo, ma anche riuscendo a entrare dopo 5 anni di studio bisogna sperare di rientrare in uno dei pochissimi posti di specializzazione. Questa situazione appare ancora più ridicola se si pensa all’enorme carenza di medici in cui versa l’Italia e a un sistema sanitario sempre più colpito da tagli e privatizzazioni imposte dalla classe dirigente sotto la spinta dell’UE, le cui politiche hanno portato alla disastrosa situazione in cui ci troviamo oggi. Nella situazione di emergenza sanitaria vengono chiamati neolaureati, specializzandi, medici in pensione: tutti vengono messi in prima linea. Vogliamo ricordare che questa situazione non è casuale ma responsabilità di una classe politica vergognosa, che ha pensato per anni a favorire gli interessi dei grandi industriali e mai della classe lavoratrice, ma responsabile è anche un mondo universatario che invece di garantire un reale diritto allo studio si è asservito agli interessi politici e privati. Questa crisi la deve pagare la classe padronale, non la subiremo ancora una volta noi”.

La pagina Facebook de Il Padrone di Merda segnala invece quali siano i dispositivi di protezione individuali forniti da una catena di supermercati che “prima mettono un bel volantino motivante e poi come unico sistema di protezione per i propri dipendenti danno questa mascherina inutile. Ci costringono a lavorare in condizioni di insicurezza totale, mentre manager e capi sono al sicuro a casa loro, convinti che andrà tutto bene perchè tanto sono con il culo parato! Ecco perché, sopratutto nell’emergenza virus, non siamo tutti sulla stessa barca! Continuate a segnalarci i Padroni di Merda che si approfittano della situazione, licenziano, non pagano, non vi fanno lavorare in sicurezza, ci vendicheremo insieme!”.