Attualità

“The Harvest”, un film sul caporalato agricolo in Italia

Il nuovo progetto di Smk racconta la vita delle comunità Sikh che vivono e lavorano nell’Agro Pontino. Di recente, proprio in quella zona, per la prima volta 2.000 braccianti hanno scioperato: il contributo di Sconnessioni precarie.

24 Aprile 2016 - 15:22

Foto di Smk Videfactory - The HarvestThe Harvest
Il film sul caporalato agricolo in Italia

Siamo lieti di annunciare che Smk Videofactory, il nostro gruppo di produzione, ha lanciato oggi (nei giorni scorsi, ndr) la campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso per sostenere il progetto di film “The Harvest”, la cui uscita prevista è per il 2017. Puoi diventare coproduttrice e coproduttore del film al seguente link.

Il progetto

Un esercito silenzioso di uomini piegati nei campi a lavorare, senza pause. Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per 12 ore al giorno filate sotto il sole; chiamano padrone il datore di lavoro, subiscono vessazioni e violenze di ogni tipo. Quattro euro l’ora nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, e a volte mai erogati, violenze e percosse, incidenti sul lavoro mai denunciati e “allontanamenti” facili per chi tenta di reagire.

The Harvest vuole raccontare tutto questo.

The Harvest è un documentario sulla vita delle comunità Sikh stanziate stabilmente nella zona dell’Agro Pontino e il loro rapporto con il mondo del lavoro. I membri di queste comunità vengono principalmente impiegati come braccianti nell’agricoltura della zona. Gli episodi di sfruttamento (caporalato, cottimo, basso salario, violenza fisica e verbale) sono stati rilevati in numerosi casi, quasi sempre da associazioni che operano sul territorio locale. A fianco di questi fenomeni è inoltre cresciuto in maniera esponenziale l’uso di sostanze dopanti per sostenere i faticosi ritmi del lavoro nei campi. Sostanze che, nello specifico, si compongono di meta-anfetamine, oppiacei e antispastici.

Perché questo film oggi

La questione dello sfruttamento del lavoro agricolo e in particolare della manodopera migrante diventa centrale ogni qualvolta si avvicina la stagione estiva, ricevendo attenzione dai media e portando alla ribalta questioni cruciali come quella del caporalato. Ciò nonostante, questa attenzione è ciclica e il fenomeno passa in secondo piano con l’arrivo dell’autunno.

The Harvest si propone di affrontare la questione attraverso una lente innovativa che coniuga lo stile del documentario con quello del musical, utilizzato come espediente narrativo per raccontare la complessità del lavoro nei campi e l’utilizzo di sostanze dopanti. Attraverso una ricerca musicale e cinematografica il film vuole far emergere una condizione che sarebbe altrimenti difficile da portare all’attenzione del pubblico senza essere retorici o didascalici. Trovare una forma artistica innovativa per narrare una realtà brutale, ma che tende a nascondersi nelle pieghe della quotidianità, è il nodo stilistico che il documentario affronta.

Perchè diventare coproduttrici e coproduttori

Questa storia, fatta di sofferenza, inganni, usurpazioni, musica, uomini e donne che reagiscono ogni giorno a uno sfruttamento che li opprime, deve essere raccontata. Ma per riuscirci abbiamo bisogno del tuo contributo: questo è un film indipendente e coraggioso che si finanzia grazie al diretto coinvolgimento di tutti coloro che vogliono che sia realizzato.

Inoltre, attraverso il documentario supporti una realtà produttiva indipendente che si pone la questione della partecipazione e del coinvolgimento attivo del pubblico anche nella fase antecedente alla presentazione del lavoro ultimato nelle sale e ai festival. In questo caso il coproduttore ha un ruolo cruciale nell’intero processo creativo, rendendo possibile un nuovo modo di fare cinema indipendente, permettendo di mettere in primo piano dei temi attuali, che spesso faticano a ricevere l’attenzione che meritano perché restano ai margini del discorso pubblico.

The Harvest vuole essere un esempio di rinnovamento sia a livello stilistico, sia a livello di sostegno agli autori emergenti e alle produzioni indipendenti, favorendo una concezione della cultura come bene comune. Per questo scegliamo di costruire il film attraverso la coproduzione popolare e di rilasciarlo successivamente con licenza Creative Commons.

All’interno del link di PdB potrete trovare tutte le informazioni sul progetto, sulla campagna di crowdfunding e sulla storia del gruppo di produzione Smk Videofactory.

Sostieni le produzioni indipendenti, sostieni “The Harvest”!

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Latina: i migranti indicano la luna

(da ∫connessioni precarie

Lo sciopero dei braccianti agricoli di Latina è stato giustamente definito «storico». La giornata di astensione dal lavoro promossa con l’ausilio della Flai-Cgil, le cui bandiere inondavano di rosso la cittadina dell’agro pontino, ha visto un’adesione massiccia e una partecipazione molto significativa in piazza: oltre duemila operai, in gran parte indiani Sikh. Il sindacato parla di salari da fame, al di sotto «della paga stabilita dal contratto» e di un «orario di lavoro senza regole» chiedendo la rapida approvazione del ddl contro il caporalato da qualche tempo in discussione. Il sindacato si augura anche che il decreto contenga «tutte le misure» per contrastare in modo efficace ogni forma di sfruttamento e di ricatto. Come un’anomalia, il lavoro agricolo pare così essere contraddistinto da rapporti provenienti da un passato quasi archeologico, nel quale lo sfruttamento dipende esclusivamente dal caporale. Si vuole fare di un passato presunto un eterno presente, dimenticando le condizioni politiche attuali che rendono possibile questa modalità di comando sul lavoro.

È insomma troppo facile dire che il problema sono i caporali. Leggendo le cronache salta infatti agli occhi un’indicativa frase pronunciata dai lavoratori: «siamo costretti ad accettare 3.50 euro l’ora, altrimenti il padrone dice che non ci fa il contratto e quindi non abbiamo più il permesso di soggiorno». Una frase che, nella sua semplicità, sembra comunque non voler entrare nella testa dei sindacalisti, e non solo nella loro. Quella frase contiene la verità del lavoro migrante e di una legge, la Bossi-Fini, che continua a operare dimenticata, ormai considerata parte del paesaggio. Quella frase ci parla di una condizione migrante accettata e normalizzata, messa a tacere anche da chi fa la questione migrante una faccenda di confine e da chi si rifiuta di vedere come le forme di comando sul lavoro migrante vadano ben oltre un problema di «categoria». I migranti di Latina ci parlano di un’Europa che non è fortezza, ma un luogo nel quale il ricatto politico del permesso di soggiorno detta le condizioni materiali del lavoro e dei diritti, ben più di qualsiasi contratto nazionale o capacità di accoglienza.

Lo sciopero del 18 aprile conferma la normalità di una situazione ormai ben nota nelle campagne italiane, ma assai diffusa in ogni comparto, come hanno rivelato le lotte della logistica e come sa chi conosce le condizioni del lavoro di cura svolto per conto di cooperative o nel segreto delle case private. Quella frase ci parla di un mondo del lavoro tutt’altro che «senza regole», nel quale il razzismo istituzionale funziona come strumento di gerarchizzazione e compressione dei salari e dove un permesso di soggiorno stabilisce un rapporto di potere ineludibile e una precondizione della piena legalizzazione della precarietà attraverso il Jobs Act. I migranti di Latina indicano la luna, quand’è che il sindacato smetterà di guardare il dito?