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Strage, le spalle voltate allo Stato [foto]

La piazza della commemorazione della bomba del 1980 si svuota mentre parlano Merola e Grasso. Il sottosegretario De Vincenti, in Comune al riparo dalle contestazioni, avanza deboli giustificazioni per declassificazione-flop e risarcimenti che non arrivano.

02 Agosto 2015 - 13:12

_DSC6258 copiaHanno deciso in molti di lasciare piazza Medaglie d’Oro, subito dopo il minuto di silenzio che ha ricordato le 85 vittime della bomba che 35 anni fa esplose in Stazione mietendo 85 vittime e oltre 200 feriti. Via il grande striscione dei collettivi “La resistenza continua” arrivato scandendo i “sempre attuali” cori nati negli anni ottanta e novanta: “Stazione di Bologna / si sa chi è stato / strage fascista / strage di Stato”. Via le bandiere rosse di Usb e partiti della sinistra. Ma via anche diverse decine delle persone che avevano manifestato da piazza del Nettuno. Poca la voglia di sentire ancora una volta le vuote promesse dei rappresentanti delle istituzioni.

La giornata, come tutti gli anni, è iniziata con la commemorazione in Consiglio comunale. In rappresentanza del governo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, che pur al riparo dalle contestazioni si è trovato costretto a tortuose giustificazioni rispetto al flop della desecretazione degli atti delle stragi (“c’è una lentezza nella presentazione dei documenti e una forma disordinata che ne rende difficile l’effettiva fruibilità”) e alla mancata erogazione dei risarcimenti ancora dovuti ai familiari delle vittime (“Non voglio giustificare i ritardi, ma la norma è complessa”).

La manifestazione è poi partita regolarmente da piazza Nettuno pochi minuti dopo le 9, per percorrere via Indipendenza e viale Pietramellara fino a raggiungere il piazzale della Stazione. Sul palco ha parlato al solito il presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime Paolo Bolognesi, come già nel recente passato duro con l’esecutivo nel bollare come “strategia del faldone vuoto” la sbandierata declassificazione dei documenti e definendo “sconcertante” il muro di burocrazia opposto da Inps e Viminale a ostacikare la completa attuazione della legge sui risarcimenti alle vittime di stragi.

Un lungo passaggio inoltre ha riguardato i fatti di mafia Capitale: “Tra i nomi dei 37 arrestati, e dei 100 indagati, è amaro constatare – ha detto Bolognesi – come tanti sono nomi già noti, già pronunciati e già denunciati da questo palco da tempo. Tanti sono i nomi di pregiudicati, ex appartenenti ai NAR, l’organizzazione terroristica capeggiata dagli esecutori materiali della strage di Bologna, Fioravanti e Mambro, responsabili tra l’altro, di altri 33 omicidi tra il 1977 ed il 1981. Tra i nomi degli indagati, spicca quello di Gianni Alemanno: è negli anni in cui a Roma governava la sua giunta che il sodalizio criminale scoperto dall’inchiesta, diventa forte e potente. Nei guai, torna anche Gennaro Mokbel, amico intimo di Mambro e Fioravanti, già condannato in primo grado a 15 anni per il maxi riciclaggio Telecom Sparkle-Fastweb. Ma è Massimo Carminati, colui che gli inquirenti pongono a capo di questo inquietante network criminale-politico. Quel Massimo Carminati legato a Fioravanti fin dai banchi di scuola e coinvolto nelle indagini sui più loschi e sanguinosi fatti della storia d’Italia, dall’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, al depistaggio per la strage di Bologna. Carminati, del quale da anni denunciamo lo spessore e le capacità criminali, in una intercettazione telefonica, arriva a svelare il ‘manifesto programmatico’ della sua attività criminosa: ‘Tutto si mischia nel mezzo’ dice ‘perché la persona che sta nel sovramondo – politico o imprenditore – ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno’. Difficile, per noi, che questa frase non evochi un pensiero diretto agli esecutori materiali ed ai mandanti della strage del 2 agosto 1980, ai loro legami reciproci ed alle loro inconfessabili protezioni, ai tentativi di depistaggi pilotati ad arte dai Servizi Segreti e dalla P2”.

Il Sindaco Virginio Merola e il presidente del Senato Piero Grasso hanno parlato di fronte a una piazza già mezza svuotata. Critiche le parole rivolte dal primo cittadino all’esecutivo presieduto da Renzi, peraltro espressione dello stesso partito: “Noi non vogliamo, non possiamo, non dobbiamo distinguere tra governo e governo, se ogni governo ci delude. Oggi davanti ai familiari da parte del sottosegretario Claudio De Vincenti sono stati presi rinnovati impegni, fissate date, è stato delineato un percorso preciso e concreto. Bene, grazie. Noi però vogliamo, che parlino i fatti, perché le parole possono essere belle, ma i fatti rendano credibili le parole”. Grasso ha potuto fregiarsi della recentissima calendarizzazione a Palazzo Madama del reato di depistaggio, dopo lunghi mesi di palude seguiti all’approvazione alla Camera. “E’ la sfida da affrontare”, ha detto. Che la legge arrivi davvero mai all’approvazione definitiva, tuttavia, è tutt’altro che una certezza.

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