Mentre stamattina il Senato accademico discute di sanzioni disciplinari, “Studenti e studentesse indisciplinati” (in un comunicato diffuso da Hobo): “Segnale concreto e determinato”. Il Cua in rettorato: “Codice etico è bavaglio al dissenso”.
Riapre il Community Center di via Filippo Re. Lo annuncia un comunicato a firma “Studenti e studentesse indisciplinati”, pubblicato su Facebook dal collettivo Hobo: “Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere! Oggi, 19 settembre 2017, ancora una volta il Senato accademico veste i panni della santa inquisizione e si riunisce per sospendere diversi studenti e studentesse. La loro colpa? Essersi indignati e opposti all’irruzione della polizia nella biblioteca di via Zamboni 36, ai tornelli, a un modello di università fondato sull’aziendalizzazione, sulla perdita di senso dei saperi, sulla dequalificazione delle nostre vite. Come già più volte successo in passato, le misure disciplinari sono decretate dall’organo baronale in un perverso intreccio con la procura, sotto l’arroganza dell’ermellino la casta esibisce la ferocia arbitraria della toga. Sulla base del ‘codice etico’, del resto, qualsiasi studente o lavoratore che sia ritenuto colpevole di parlar male dell’Alma Mater è sanzionabile con misure disciplinari e sospensioni. Così, sotto l’ebbra guida tecnica del rettore Ubertini, l’Unibo si rituffa nell’oscurità del medioevo: a quando le torture per gli eretici e i roghi delle streghe? Ma oggi come ieri, c’è chi dice no. Mentre il Sant’Uffizio accademico è raccolto per celebrare i suoi lugubri riti, alcune studentesse e studenti – in continuità con chi sotto al rettorato rivendica libertà di studiare – hanno dato un segnale concreto, chiaro, determinato: l’ex Community Center di Filippo Re è stato riaperto. Quello spazio, dapprima occupato e violentemente sgomberato dalla polizia, poi autogestito per un lungo periodo, era stato temporaneamente riconsegnato in attesa che l’amministrazione universitaria facesse – come da tempo promesso – una struttura attrezzata per l’accesso dei disabili. Dopo oltre due mesi, la situazione è sotto gli occhi di tutti: lo spazio vegeta nell’abbandono e nella polvere, altroché il ‘laboratorio inclusività’ che doveva essere immediatamente costruito! Riteniamo molto grave che l’amministrazione universitaria si permetta di strumentalizzare una questione estremamente importante come la disabilità per chiudere degli spazi agli studenti, per farne dei laboratori di esclusione. L’inclusione è infatti garantita dalla voglia di partecipazione e di condivisione delle esperienze, quella che ieri si è opposta all’ingresso della polizia al 36, quella che oggi ha riaperto lo spazio a Filippo Re per renderlo realmente inclusivo per tutte e tutti, e che pretendiamo inoltre venga attrezzato per i disabili. Contro il loro medioevo aziendalista e le sanzioni inquisitoriali, siamo e sempre saremo indisciplinate e indisciplinati, perché il nostro desiderio di libertà è smisurato!”.
Contemporaneamente, sempre alla luce della discussione sulle sanzioni, il Cua sta protestando in rettorato: “Oggi siamo in presidio in rettorato in concomitanza al Senato Accademico che potrebbe tornare a punire gli studenti e le studentesse, impedendo loro di sostenere gli esami o addirittura di laurearsi. Mentre quasi 300 professori dell’università di Bologna sono in sciopero degli esami, la dignità degli studenti viene calpestata dai giudici dell’Alma Mater. Questo il benvenuto dell’Unibo agli studenti e studentesse che hanno partecipato alla mobilitazione del 36 insieme a migliaia di altri universitari e cittadini di Bologna, volta a impedire che una biblioteca e sala studio molto utilizzate da tutta la cittadinanza fossero chiuse e rese accessibili ai soli paganti le tasse universitarie. Gli studenti e studentesse si opposero ai tornelli e come ben si sa dopo mesi di lotte, iniziative e manifestazioni, ora il 36 è libero dai tornelli e di nuovo accessibile a tutti e tutte. È evidente che i pretesti che venivano usati per giustificarne l’installazione sono saltati, perché privi di fondamento. Dunque l’Alma Mater si presenta ai nuovi inscritti come l’istituzione che punisce e offre servizi insufficienti e insoddisfacenti, che preferisce punire, grazie al cosiddetto ‘Codice Etico’, piuttosto che confrontarsi e chiama la polizia ogni qual volta gli studenti e le studentesse decidono di opporsi ai meccanismi di privatizzazione e speculazione che l’Università porta avanti insieme ai poteri forti della città. Basta sospensioni arbitrarie! Vogliamo soluzioni ai problemi che affliggono la nostra università!”.