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Opinioni / Turchia, Siria e la guerra di ferragosto

Nei confronti della Siria di Assad prima o poi scatterà una azione armata esterna. Resta da decidere chi (Nato o solo Turchia) e quando. Libano bis del 2006? Un commento di Ennio Remondino da Globalist

27 Giugno 2012 - 17:42

di Ennio Remondino da Globalist

L’eterna Idealpolitik. La condizioni per un nuova guerra di “ingerenza umanitaria” ci sono tutte. Con tanti protagonisti ad aggiungere combustibile sul fuoco della rivolta interna siriana. Primo fra tutti il regime di Bashar el Assad che è caduto nella trappola di militarizzare la repressione innescando quella che è ormai una vera e propria bomba umanitaria. Stupidamente arrogante il regime di Damasco, sapientemente indirizzati e armati i suoi oppositori interni che sanno di poter vincere soltanto attraverso la internazionalizzazione dello scontro. Due ingredienti chiave per l’incendio che si prepara, cui aggiungere ora il coinvolgimento diretto della Turchia e, attraverso di lei, della stessa Alleanza atlantica. Quel Jet turco abbattuto non è certo un episodio accaduto per caso. Lo sanno ad Ankara lo sapevano a Damasco. La diplomazia turca chiama ora in causa la Nato e, indirettamente, l’Unione europea.

La pezza postuma dell’Onu. Per la prima volta del 1949 un Paese dell’Alleanza si è appellato all’articolo 4 del trattato atlantico. La Turchia «si sente minacciata nella sicurezza e nella sua integrità territoriale». Sono scoppiate guerre per molto meno. Ora il vertice Nato a Bruxelles deve trovare una soluzione che, sperano alcuni di loro, eviti una Libia bis. Costi elevatissimi e risultati finali incerti. Chi è che si fida veramente dell’eterogeneo movimento di resistenza siriano? Quale fazione tra le molte? Quali amici e quali nemici ognuno di questi gruppi si porta dietro? Non è più aria di primavera nel mondo arabo e oltre questa torrida estate si prospetta un torbido autunno delle molte speranze deluse. In più c’è ancora, e pesa, il «Niet» russo cinese ad una risoluzione Onu che avalli qualsiasi operazione di interferenza umanitaria. Anche se è già accaduto prima nei Balcani per il Kosovo e poi in Libia.

La Turchia è davvero sola? La violazione accettata di fatto di risoluzioni Onu assunte o mancate è ormai un classico della ipocrisia diplomatica internazionale. “Tu fallo, io protesto, e poi concordiamo la risoluzione tappabuchi a fine guerra”. Come la 1244 per il Kosovo. Più elastica di certe parti maschili. E di analoghi contenuti. E il problema torna quindi ai nostri dubbi originali. Quanto è sicura la Siria del sostegno reale di Russia e Cina per permettersi abbattere un F-4 turco probabilmente sconfinato oltre il suo spazio aereo ma senza armamenti? La risposta all’azzardo di Damasco la avremo a breve. Perché dietro la Turchia c’è la Nato, di fronte alle Nato c’è il ringhio di Russia e Cina, ma dietro la rabbia Turca c’è un forte sentimento nazionale, sapientemente alimentato, ed un potenza militare autonoma di tutto rispetto. Come se altri avessero già deciso di delegare alla Turchia il primo passo verso una forma di intervento esterno.

Guerra non dichiarata. Di fatto, a ben guardare, la Turchia è in guerra con la Siria già da 16 mesi. Dall’inizio della sua rivolta interna. La Turchia per privilegio di territorio, altri con presenze ed interferenze più defilate. La Turchia si è assunta da tempo l’onere di appoggiare una parte di ribelli siriani anche militarmente. Basta guardare una carte geografica per capire. La parte estrema del sud est dell’Anatolia, terra di eterni scontri con l’opposizione armata kurda per Ankara. Basi militari su tutto il territorio, a partire dalla super base aerea di Incirlik. In zona vengono segnalati numerosi uomini Cia a suggerire a quale gruppo di opposizione siriana indirizzare i rifornimenti militari ormai costanti e quali di loro addestrare sul territorio turco di confine, lungo la fascia costiera vero il Libano. Più ad ovest, gli “aiuti” di Arabia Saudita e Qatar. Del resto Mosca non lesina sul fronte opposto anche se si fa bloccare un cargo carico di elicotteri da combattimento Mi-25.

Turchia modello e potenza di area. Se non è guerra dunque, ben poco ci manca. Anzi, a parere di molti, tra cui fonti di Globalist, la strategia di avvio dell’intervento esterno in Siria delega proprio alla Turchia la prima mossa. Un intervento limitato in territorio siriano a creare una fascia di territorio “liberato” – ovviamente a scopi umanitari – e l’imposizione di una “No Fly zone” di fatto ad Assad. Mossa formalmente unilaterale a tutela dei proprio confini di Sud est pressati dalla minaccia di profughi disperati e dalla repressione indiscriminata di Damasco. Con la speranza, contemplano i piani, che ciò basti per far cadere Assad per rivoluzione interna. Per il dopo, il modello, la speranza o forse l’illusione di un futuro sistema politico siriano simil turco, dove l’identità islamica si vada e declinare con forme di democrazia di modello occidentale. Altri Paesi dell’area, su questo ruolo della Turchia potenza d’area, storcono il naso. Due nomi tra tutti. Israele e Iran, per una volta uniti nel dissenso.