A seguito della nostra pubblicazione dell’appello di Osservatorio Repressione, riceviamo via social network una nota da Valerio Guizzardi dell’associazione Papillon, che volentieri riproponiamo sul giornale.
Dopo un tentativo, se non sbaglio nel 2005 o giù di lì, è riemerso ultimamente, in alcuni settori di movimento e in altri della sinistra non parlamentare, il tema dell’amnistia per le lotte sociali. Come componente dell’Associazione Culturale Papillon-Rebibbia di Bologna e militante politico, oggi esattamente come allora dichiaro il mio personale disaccordo e nostro come Papillon, ricollegandomi alle dichiarazioni di Vittorio Antonini, portavoce nazionale della nostra associazione di detenuti, già ampiamente rilasciate sul web e non solo.
Invito le compagne e i compagni, le amiche e gli amici che hanno aderito a quell’iniziativa a una seria riflessione: nelle disumane galere del nostro Paese i corpi di 67.000 detenuti/e ammucchiati in un sovraffollamento intollerabile, sottoposti alla regressione psicofisica, alla tortura e a ogni altro genere di illegalità, dal 2000 a oggi sono deceduti 2180 prigionieri, di cui 781 per suicidio. In altre parole siamo di fronte a una Strage di Stato. La nostra Associazione, da sempre, si batte senza risparmio per un provvedimento di amnistia e indulto generalizzati che faccia uscire non meno di 30.000 detenuti/e. Questo non solo per salvare vite umane, ma anche perché ci sia lo spazio e il tempo per una profonda e radicale riforma del Codice penale, di Procedura penale, del Regolamento carcerario e l’abrogazione delle leggi carcerogene come la Giovanardi sulle droghe, la Bossi-Fini sull’immigrazione e l’ex Cirielli sulla recidiva. Certo, per noi l’obiettivo strategico è l’abolizione del carcere tout court pensando a un futuro il più breve possibile. Ma ora, insieme, ragioniamo su ciò che è possibile qui e subito.
Proporre un’amnistia per i soli “reati” derivati dalle lotte sociali, settorializzarla quindi a una sola componente della classe, certamente quella più consapevole e combattiva, a mio/nostro parere, significa cadere nel corporativismo e desolidarizzare con i “dannati della terra”, quella parte di proletariato sempre più ampia espulsa dal mercato del lavoro e dal reddito, per questo criminalizzata poiché percepita come classe pericolosa, perciò ammassata nel nostro orribile circuito carcerario. Non come recitano le clamorose balle di Stato e dei partiti per “rieducarli” ma al solo scopo di incapacitazione e annichilimento.
Qualcuno della mia età ricorderà certamente quando nei rivoluzionari Settanta si andava sotto le mura di cinta a scontrarci con gli sbirri del regime Pci-Dc per non farli entrare a massacrare i prigionieri in rivolta sui tetti. Da allora sono passati molti anni, e ciò che era organico nel “Programma comunista” di ogni gruppo e organizzazione di classe, la liberazione delle masse diseredate appunto, oggi, purtroppo non ne è rimasto che uno sbiadito ricordo. Infatti, non a caso, la questione carceraria è stata espunta dall’agenda politica dei movimenti e si propone un provvedimento di amnistia per le sole lotte sociali. Lo dico senza agitazione contro nessuno e in amicizia; però, compagne e compagni, un’amnistia non può essere una “questione privata”, riservata solo a noi militanti politici e di classe. Al contrario dobbiamo lottare, perchè solo la lotta paga, per un provvedimento generalizzato il più ampio possibile che comprenda tutti i reati, tutta la popolazione carceraria. Compresi i “reati” sociali. Non possiamo lasciare 67.000 prigionieri al loro destino, perché è un destino di morte.
Invito tutti e tutte a riflettere sull’errore che state facendo. I movimenti e la sinistra che si è associata a questa iniziativa devono, a mio/nostro parere, entrare in massa in una lotta unitaria, trasversale a tutti i settori di classe, per un provvedimento di amnistia-indulto generalizzati che comprenda tutti i prigionieri che ora stanno crepando come cani in un circuito carcerario disumano e stragista.
Valerio Guizzardi