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Occupazione donne, da Regione “solite politiche fallimentari”

“Pandemia ha accelerato e moltiplicato una condizione materiale che le vede sfruttate a casa e sfruttate a lavoro”, scrive l’Unione sindacale di base, spiegando la scelta di non siglare un protocollo definito da viale Aldo Moro.

28 Giugno 2021 - 14:00

Usb ha deciso di non firmare il nuovo protocollo su donne e lavoro promosso dalla Giunta regionale dell’Emilia Romagna: non vi sono le risposte necessarie alla drammatica situazione ma la riproposizione della solita illusione di affidare alle logiche di mercato la soluzione di discriminazioni e disuguaglianze”. Lo scrive in un comunicato il sindacato di base, che spiega: “Con questo protocollo vengono riproposte per l’ennesima volta le solite politiche di finanziamenti alle imprese, promozione dell’imprenditoria femminile e del welfare aziendale: politiche già dimostratesi fallimentari per l’obiettivo di favorire l’occupazione delle donne ma sempre ben accette dalle imprese quando si tratta di incassare denaro pubblico. Un protocollo che si inserisce senza contraddizioni nel più generale ‘patto per il clima e per il lavoro’ che a sua volta è la versione regionale del PNRR del quale abbiamo denunciato limiti e storture”.

Secondo Usb “ci sono ben altre cose da fare ed urgentemente a livello regionale, la pandemia e la conseguente crisi economica hanno falcidiato posti di lavoro occupati da donne. Sono stati persi soprattutto i lavori precari, in particolar modo nei settori dei servizi e del turismo; inoltre, la chiusura delle scuole ha costretto molte lavoratrici madri a rinunciare al lavoro per potere seguire i figli a casa in DAD. In Emilia Romagna, regione con un’occupazione femminile maggiore che in altre, ma dove pure il gap occupazionale va da 13 a 16 punti, nel secondo trimestre del 2020 il bilancio è stato pesantemente negativo per le occupate: sui 68 mila occupati in meno ben 52 mila sono donne (-5,6%) e di queste oltre 42 mila erano occupate nel settore dei servizi. Nel terzo trimestre sulle 41mila posizioni lavorative perse oltre 25 mila unità riguardano donne. Con la fine del blocco dei licenziamenti le imprese si preparano a sostituire la forza lavoro più stabile con forza lavoro ulteriormente precaria. L’impresa è all’attacco dei pochi diritti rimasti e le lavoratrici come i lavoratori sono lasciate sole da sindacati complici. In primis occorre ricostruire un vero welfare pubblico e reinternalizzare tutto il lavoro esternalizzato da tempo: il welfare privatizzato ed esternalizzato significa per le lavoratrici sfruttamento e lavoro povero. Già prima della pandemia da covid 19 la condizione lavorativa delle lavoratrici del sociale era connotata da lavoro povero, part time obbligatori, flessibilità che impediva di conciliare i tempi di vita e di lavoro: la pandemia ha accelerato e moltiplicato una condizione materiale che le vede sfruttate a casa e sfruttate a lavoro. Precario è il salario, precario è il contratto, precari sono gli appalti per cui lavorano e precari sono anche i diritti delle cittadine e dei cittadini a causa della logica del mercato e degli appalti”.