Dai nostri inviati a Trezzano sul Naviglio, un lungo reportage dalla fabbrica recuperata sulla mobilitazione che ha impedito lo sgombero che era stato annunciato per il 28 novembre.
In questi anni tante volte abbiamo sentito uscire da molte labbra la parola “solidarietà”. Per chi ha frequentato con assiduità i movimenti sociali c’è stata più di un’occasione per capire come la solidarietà di classe sia sempre stata fondamentale in ogni processo di lotta e di cambiamento. E come oggi, dopo anni di crisi, di disoccupazione, di precarizzazione del lavoro e di distruzione dei diritti, lo sia ancora di più.
Certo ci è capitato anche di incrociare qualcuno che, usando questo vocabolo a sproposito, se lo è fatto scappare dalla bocca in una maniera non troppo sincera. Ma, al contrario, quando solidarietà è stata declinata con altri termini come “mutuo soccorso” e “resistenza” è diventava un’arma efficace per sostenere in modo concreto le tante forme dispiegate del conflitto sociale e per sperimentare nuovi modelli di relazione non gerarchici e produttivistici, non fondati sull’esclusione, ma ispirati a principi orizzontali e reticolari.
Tutte queste cose le abbiamo trovate la mattina presto del 28 novembre, concentrate davanti ai cancelli e sul piazzale della RiMaflow di Trezzano sul Naviglio. C’erano il sostegno e l’appoggio portati da altri lavoratori della zona, da ragazzi dei centri sociali, da rappresentanti di sindacati grandi e piccoli, da contadini biologici e da attivisti delle reti di produzione e distribuzione “fuori mercato”; da artisti conosciuti come Moni Ovadia o da vecchi volti noti di tante battaglie di movimento, da preti di strada e da rappresentanti della Caritas… fino a tanti semplici cittadini. Era una mobilitazione chiamata con un tam tam dal basso che aveva portato, in quel paese della cintura milanese di antica tradizione operaia, diverse centinaia di persone, venute da tutta Italia per impedire lo sfratto di una esperienza di resistenza e di mutualismo che, nel corso degli anni, aveva ricevuto attestati di vicinanza, di simpatia e di “complicità” nei luoghi più disparati della penisola.
La storia di RiMaflow
La storia dei cinque anni di recupero della Maflow e del progetto di autogestione attraverso l’esperienza di RiMaflow, l’ha raccontata un Gigi Malabarba, tonico e appassionato come non mai, dall’impianto di amplificazione montato per l’occasione. La fabbrica, prima della chiusura e del trasferimento della produzione in Polonia, produceva tubi per condizionatori ed era leader nella realizzazione di componenti per auto. Oltre 300 lavoratori furono licenziati e mandati a casa. Una parte di loro, invece di deprimersi e disperarsi decise di intraprendere, a partire da 2009, una dura lotta che portò all’occupazione dello stabilimento. Per impedire che i cancelli chiudessero per sempre si decise di sperimentare soluzioni di lavoro alternative. Tra gli occupanti c’era un rappresentante sindacale della Cub particolarmente ostinato, Massimo Lettieri. Fu mandato ad incontrare il liquidatore, per capire quale fosse la situazione reale dell’azienda, per vedere se c’erano le condizioni per trovare un nuovo investitore. Quando arrivarono i nuovi compratori polacchi esternarono la loro intenzione di tenere solo dipendenti non iscritti al sindacato. Inoltre dimostrarono un’assenza totale di progettualità. Con quelle condizioni, la fine della Maflow era segnata. Per impedire lo smantellamento della fabbrica si tennero scioperi, picchetti, manifestazioni e diversi incontri in Prefettura a Milano. Tutta questa mobilitazione non riuscì ad impedirne la chiusura definitiva nel mese di dicembre del 2012.
Di fronte a tanti nulla di fatto, un gruppo di operai decise di fare come in Argentina e di dar vita a “Occupy Maflow” che, in poco tempo, si trasformò in “RiMaflow: fabbrica recuperata”. Dalla produzione di tubi di condizionamento si passò allo smontaggio, al riciclo e al riuso di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Nacque la “Cittadella dell’altra economia” e una cooperativa che elesse come presidente Massimo Lettieri, quel sindacalista cocciuto che non si era mai arreso ai padroni che avevano dichiarato il fallimento, portando i macchinari dell’azienda altrove. Nel corso degli anni, alla cooperativa si affiancarono decine di altri soggetti come falegnami, tappezzieri e artigiani che diedero vita alla “Casa del Mutuo Soccorso”. Tra le mura di RiMaflow prese corpo anche la rete nazionale “Fuorimercato”, nel frattempo si consolidò il rapporto con lo spazio sociale RiMake di Milano. In un territorio pesantemente infiltrato dalla ’ndrangheta, cominciarono ad occuparsi anche di antimafia sociale, collaborando con la Masseria di Cisliano, uno dei beni confiscati alle mafie nell’hinterland sud di Milano. Con il supporto degli Archivi della Resistenza di Fosdinovo iniziò pure la produzione dell’Amaro Partigiano, divenuto negli anni un liquore classico degli antifascisti.
Dopo diversi giri societari, lo stabilimento, collocato in un’area di trentamila metri quadri, passò a UniCredit Leasing.
Per i lavoratori di RiMaflow una delle sfide più complicate è sempre stata quella di arrivare a una regolarizzazione delle loro attività, superando l’occupazione della fabbrica. Avendo però sempre chiaro un principio: tutto andava fatto per il bene comune, mai per il profitto privato.
Tutti gli sforzi per la regolarizzazione rischiarono di risultare vani la mattina del 26 luglio del 2018 quando nove persone vennero arrestate per traffico illecito di rifiuti. Tra loro c’era pure Massimo Lettieri, il presidente della cooperativa. Uno dei capannoni della cittadella della RiMaflow venne sequestrato e sul capo di Massimo si abbattè l’accusa infamante di “associazione per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti”.
Per lui ci fu l’arresto e la custodia cautelare. Quattro mesi di carcere, poi , da alcune settimane, gli arresti domiciliari. Il progetto sulla lavorazione degli scarti di produzione di carta da parati venne perciò interrotto.
Gigi Malabarba nel suo racconto ha affermato con convinzione: “Se di Massimo si volesse sintetizzare la figura è proprio l’emblema vivente della lotta contro ciò per cui è stato arrestato. Siamo certi di poter dimostrare la sua e la nostra estraneità a questa vicenda e di poterne uscire appena inizierà il processo… e tra un po’ di tempo faremo uscire delle prove sulla provocazione architettata contro Massimo… Non è pensabile che un’esperienza nata per sottrarre alla ‘ndrangheta il traffico di rifiuti, venga accusata di cose così infamanti”.
Una forte intensità emotiva si è raggiunta, quando Lettieri è stato contattato per telefono e la sua voce è stata amplificata dagli altoparlanti, per farla sentire a tutti coloro che erano lì per salvare RiMaflow.
Lo sgombero annunciato per il 28 novembre
Poi Malabarba è arrivato a raccontare dello sfratto per cui in tanti erano arrivati a Trezzano per impedirlo: “Un anno fa, UniCredit Leasing ha abbandonato il tavolo di trattativa e ha chiesto lo sfratto per RiMaflow. O per meglio dire: ha dato lo sfratto all’immobiliare Virum, che aveva in leasing l’edificio. Leasing che, da quando è fallita la fabbrica, non ha più potuto pagare. La banca ha perciò avviato la procedura per arrivare a sgomberare lo stabilimento. Quello che siamo qui a fronteggiare è il secondo sfratto esecutivo con forza pubblica, dopo aver ottenuto un rinvio lo scorso 19 settembre. Questa mattina è il giorno in cui è atteso l’arrivo dell’ufficiale giudiziario con le forze dell’ordine pronte ad eseguire lo sgombero. Noi siamo qui ad aspettarli e vi abbiamo chiamato a raccolta per difendere quella che si è trasformata nella principale esperienza di azienda recuperata del nostro paese, un villaggio solidale dove, attraverso la lotta dei lavoratori, la crisi ha cambiato rotta diventando una nuova opportunità di lavoro per 120 uomini e donne”.
Alla fine dell’intervento del “comandante Gigi” (così ormai molti lo chiamano), il microfono è passato di mano in mano, in tante e tanti hanno voluto esprimere vicinanza attiva nei confronti di un’esperienza solidale che ha tentato di perseguire il benessere delle persone anche in termini di relazioni sociali e occasioni di partecipazione, costruendo iniziative concrete e materiali, sviluppando varie forme di mutuo soccorso e di aiuto ai soggetti sociali più colpiti, costruendo forme di sostegno pratico, “non di mercato”, per soddisfare quelle esigenze collettive che sono state marginalizzate dalla crisi.
Alle 9 tutti i presenti sono stati informati che la situazione si stava sbloccando. In Prefettura era iniziato un incontro con il prefetto, i rappresentanti della cooperativa RiMaflow e di Unicredit (che per la prima volta aveva accettato di sedersi attorno a un tavolo con gli occupanti), con l’imprenditore Marco Cabassi (quello che trovò la nuova sede del Leoncavallo al momento dello sgombero del centro sociale) e il direttore della Caritas ambrosiana Luciano Gualzetti a fare da garanti nella trattativa.
In attesa dell’esito del confronto è continuato il “microfono aperto”, la banda degli ottoni del movimento milanese ha cominciato a sfornare canzoni di lotta, mirabilmente riarrangiate.
Arriva la buona notizia
Verso le 10 e mezza arriva la notizia. Luca, uno della delegazione di RiMaflow, racconta al telefono il punto d’arrivo dell’incontro: “E’ stato sottoscritto un accordo, controfirmato anche dal Prefetto. La data dello sfratto viene posticipata al 30 aprile 2019, per traferire entro quella data le attività di RiMaflow in un altro sito. Abbiamo tempo tempo cinque mesi per nuovi progetti che vedranno lo spostamento della fabbrica e di tutte le attività in un’altra sede, sempre a Trezzano, con l’obiettivo di salvaguardare i 120 posti di lavoro e di crearne altri. È stato lo stesso Prefetto a riconoscere la bontà del progetto e la sua utilità sociale.
Oggi non si conclude il contenzionso, ma inizia un percorso molto impegnativo finalizzato al rilancio delle attività economiche e produttive che consentirà di consolidare il lavoro e quindi il reddito. Avremo il tempo per programmare la RiMaflow 2.0.
C’era stata fatta una proposta da UniCredit Leasing per acquistare noi lo stabilimento. Si trattava di una proposta superiore ai prezzi di mercato per i capannoni di via Boccaccio 1, interamente da bonificare (con i tetti in amianto e il sottosuolo inquinato) e con seri problemi strutturali, che in questi anni ne hanno reso impraticabile la vendita.
RiMaflow e i garanti hanno comunicato che una possibile acquisizione di immobile si indirizzerà, invece, verso una struttura più consona e più efficiente presente nel nostro territorio. Che verrà acquistata da parte di un gruppo di soggetti finanziatori che condividono il percorso di autogestione intrapreso: ciò significherà la definitiva uscita di scena di UniCredit Leasing dopo il 30 aprile”.
La notizia viene accolta da un lunghissimo applauso: partono cori, in tanti si abbracciano, scendono le lacrime su tanti volti felici. Di bocca in bocca passa la parola “vittoria!” che tiene insieme un sentimento di liberazione diffuso.
Un’operaia che lavorava in Maflow negli anni Novanta e che aveva perso il lavoro dopo la decisione di spostare la produzione, e che ora è una delle cuoche nelle cucine di RiMaflow, ride commossa dopo l’annuncio. Aspira con ampi tiri una sigaretta, appoggiata al muro. Gli occhi le luccicano, tiene a freno le lacrime, emozionata dalla gioia, si fa uscire solo pochissime parole: “RiMaflow è la mia vita”.
Malabarba riprende in mano il microfono e annuncia che dal 12 al 14 aprile 2019, prima di andarsene dalla vecchia sede, è stato convocato il “3° Incontro europeo delle imprese recuperate”, realizzato con la collaborazione della Libera Masseria di Cisliano: “Oggi siamo sicuri di poter ospitare l’evento nella nostra fabbrica… Poi, con ogni probabilità, ci sposteremo in uno stabilimento a poche centinaia di metri da qui, sempre a Trezzano. Un luogo più piccolo, maggiormente gestibile e senza i seri problemi strutturali della sede di via Boccaccio… Adesso vi propongo di fare un corteo nella zona industriale e per le strade del paese per dare un’occhiata a dei siti che sarebbero adatti per le attività di RiMaflow 2,0 o 3.0 o 4.0”.
Parte un corteo pieno di allegria, c’è quasi uno stupore diffuso: non si era più abituati alla vittoria… una vittoria così bella poi. La sfilata si ferma davanti all’IperDì, un ipermercato fallito, con tutti i suoi dipendenti lasciati a casa. Qui il “Gigi del Naviglio” si arrampica sul cancello e promette che anche per questi lavoratori RiMaflow farà qualcosa, non li lascerà soli. Poi ci si muove verso un’altra fabbrica ormai abbandonata, l’AutoSystem. E davanti a questo stabilimento si comprende che questa è il sito più accreditato per diventare fra cinque mesi la nuova casa di RiMaflow.
La manifestazione rientra nella vecchia sede: “autogestione e dignità” continuerà ad essere l’orizzonte dei lavoratori di RiMaflow. Davanti ai cancelli una ragazza li attende facendo uscire dalla sua fisarmonica le note di “Vecchia piccola borghesia” di Claudio Lolli. A un vecchio militante degli anni settanta viene da cantare il ritornello: “Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia / Non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”.
Un altro suo coetaneo che gli sta di fianco viene da dire: “Dai che da oggi riusciremo a ridere anche con una canzone del vecchio indimenticabile Claudio…”.