Culture

A Claudio Lolli, che ci lascia un grande freddo

E’ scomparso ieri il cantautore protagonista del movimento del ’77. Le sue canzoni sono la testimonianza poetica di come il cielo stesse per essere toccato con un dito.

18 Agosto 2018 - 15:59

Questo agosto 2018, coi suoi 30 e passa gradi, per tanti uomini e donne che hanno partecipato al movimento del ’77 (ma non solo per loro) sarà ricordato come un mese che ha fatto sentire a tutti un “grande freddo”. Poche settimane fa la tragica morte di Gabriele Giunchi, il compagno degli “occhi dolci”; invece è di ieri la notizia che Claudio Lolli ci ha lasciato per sempre.

Era ammalato da tempo e non riusciva più a farsi vedere in giro, ma lo scorso anno aveva avuto la forza di rimettere insieme il gruppo dei suoi vecchi musicisti e di fare uscire un album con brani inediti del suo percorso artistico, dal titolo “Il grande freddo”.

Claudio, con molte delle sue canzoni, ha accompagnato gli anni più belli dei ragazzi del movimento, alla colonna sonora del ’77 era uno dei cantautori che aveva lasciato segno tra i più rilevanti.

E a questa “responsabilità” non si era mai sottratto anche negli anni successivi. Era l’11 marzo del 1997 al grande concerto, organizzato da Zero in Condotta e dal Livello 57, con gli Stormy Six, per i vent’anni della rivolta del ’77. E poi cinque anni dopo al Tpo di Viale Lenin, sempre in quella data e sempre con Zic, insieme a Gianfranco Manfredi e a i Gang. E quante sono state le volte che si è ritrovato a Vag61 per parlare delle esperienze di quegli anni? Proprio in occasione dei dieci anni di Vag61, Lolli scrisse: “Un cerchio inconcluso e sbiadito. Un fulmine segmentato con punta di freccia che lo penetra e lo attraversa. Questo, se ben ricordo, era il logo dei primi e più attivi centri sociali. Logo che abbiamo visto anni fa riprodotto sui muri delle nostre città in mille e mille copie. Il cerchio è la città postindustriale, inconclusa perchè perdente ed incapace di gestire gli errori del suo passato: capannoni abbandonati, fabbriche dismesse, luoghi ormai privi di identità in quanto ormai incapaci di produzione. Luoghi che trovavano una loro identità sociale ed urbana solo ed esclusivamente nella produzione. Spazi perduti, spazi morti. Il fulmine segmentato con punta di freccia è l’intelligenza collettiva che, con una velocità simile alla violenza, vuole riappropriarsi di questa città morta, delle schegge impazzite di queste cinture slabbrate, e ricostruirne un’identità, un’identità ‘altra’ basata sulla produzione ma produzione di socialità, di cultura, di idee. Di politica, insomma. Come far rivivere dei luoghi insignificanti con l’infusione di una linfa nuova, carica di progettualità diversa, di attenzione alle emergenze ed ai bisogni urbani, quindi di una città, ma anche di una società, che non vuole riconoscere le proprie contraddizioni né tantomeno risolverle”.

Claudio nel movimento c’era stato fisicamente, non solo con le sue canzoni. Nella notte delle barricate del 12 marzo 1977, sul pianoforte che era stato portato in via Zamboni, oltre ad Antonio, il ragazzo furori sede molisano, passato alla storia per avere suonato “Chicago” tra i lanci dei lacrimogeni, i tasti li aveva battuti anche lui. Su quel pianoforte Lolli ci mise le mani per pochi minuti e quella sua presenza, a diversi anni di distanza, la ricordò così: “Tra i sassi che giravano in aria e i postumi dei manganelli nella schiena, quel suono spettrale e magico era come se aprisse un’altra dimensione. Forse proprio quella che avevamo sperato di aprire. Chicago o non Chicago, una questione di suono. Coi suoi cani vicini che non abbaiavano mai, come se avessero capito che quel pianoforte sotto il portico emetteva dei suoni anormali, non disturbabili”.

Parole intense, poetiche, come quelle di “Ho visto anche degli zingari felici”, una delle canzoni più belle mai scritte nella seconda metà degli anni ‘70 fu. Ancora oggi quel pezzo ci appare come un’istantanea rabbiosamente lucida, liricamente sospesa tra crudezza e grazia, racchiusa in sette brani profondamente poetici ma non retorici (“Piazza bella piazza”, “La morte della mosca”).

Scrivevamo su Zero in Condotta, nel marzo del 1997: “‘Ho visto anche degli zingari felici’ fu un lavoro di forte intensità emotiva che raccoglieva malesseri e speranze del movimento giovanile con un linguaggio e delle forme sonore molto originali e innovative.

Claudio Lolli o della cupezza cosmica, si diceva. E no, troppo facile. Per una volta, si mettano in secondo piano le musiche. Per una volta, si puntino i riflettori sulla satira esercitata da Lolli nel ritratto dei vizi, delle miserie e delle manie di una borghesia fatiscente e meschina; la capacità di fare cronaca dando dimensione poetica a fatti e alle vicende quotidiane; la partecipazione autentica alle fatiche e ai dolori di quell’universo di ubriachi e di puttane di cui le sue canzoni sono spesso popolate.

‘Borghesia’ (un brano del primo periodo) è esemplare della concezione del mondo di uno come Lolli; ci sono dentro Brassens e Salinger, ma anche il disagio dei giovani di quegli anni, alla ricerca di un faticoso processo di emancipazione da un involucro familiare pronto a ricucire ipocritamente tutte le lacerazioni che subiva; come quelle per l’appunto, dei figli che ‘tradivano’ e che passavano al nemico, ai ‘comunisti’. L’immagine di Lolli e della sua ‘poetica’, come è riscontrabile attraverso le sue canzoni è abbastanza chiara: intelligenza e sensibilità coltivate con molte letture e aperture al nuovo che conduce, poi, a una scelta che è insieme politica, culturale ed esistenziale e che si manifesta nell’adesione all’orizzonte politico della sinistra libertaria, in cui a prevalere è la sensibilità più che l’analisi.

Il primo album di Lolli, ‘Apettando Godot’ (1972), partiva dalle premesse politiche di Ivan Della Mea, utilizzando però come elemento musicale la canzone d’autore e non il canto tradizionale.

Nei successivi lavori, ‘Un uomo in crisi’ (1973) e ‘Canzoni di rabbia’ (1975), il terreno affrontato dalle canzoni si era fatto più ampio, ma il disco della svolta artistica, per Lolli, fu sicuramente ‘Ho visto anche degli zingari felici’ (1976).

Con quella canzone Lolli si avviò in un percorso rivolto al rinnovamento della canzone senza perdere di vista i problemi politici delle giovani generazioni. Il risultato di quel lavoro sfociò in ‘Disoccupate le strade dai sogni’ (1977), raro esempio di cronaca musicale di un evento politico: gli scontri del marzo del 1977 che portarono a una lacerazione fra sinistra storica e giovani del movimento”.

Le canzoni di Claudio Lolli sono la testimonianza poetica di come il cielo stesse per essere toccato con un dito in quell’assalto che coinvolse gran parte di una generazione. Per questo rimarranno immortali e senza tempo, come tutte le ribellioni del resto. Purtroppo lui non ci sarà più, il vento ce l’ha portato via… la sua assenza si farà sentire.