Mondo

La lotta degli specchi contro la truffa del green power

Una delegazione della “Gira zapatista”, il viaggio per il mondo intrapreso dall’Ezln, è arrivata a Bologna per raccontare come nel sud del Messico, dietro l’economia green, ci sia la corsa delle multinazionali a installare ettari di pannelli solari e costruire “parchi eolici”, distruggendo i territori delle comunità indigene: la nostra intervista a Elleser e Nisajuie.

16 Novembre 2021 - 12:44

Dopo più di un anno dall’annuncio della “gira por la vida” una delegazione di zapatisti e di rappresentanti del Congresso Nazionale Indigeno messicano (Cni) è arrivata a Bologna.

Si tratta di una piccola brigata della Gira zapatista, la carovana partita dal Chiapas per incontrare, in diverse parti del mondo, i movimenti di resistenza che “lottano per la vita”.

Abbiamo incontrato Elleser, delegato del Cni dello Stato di Morelos, e Nisajuie, delegata del Cni dello Stato di Oaxaca, poco prima che, a Làbas, iniziasse una riunione con le associazioni e i comitati che a Bologna portano avanti mobilitazioni sui temi ambientali.

Per rompere il ghiaccio abbiamo raccontato ai compagni messicani che cos’è Zero in condotta e di cosa si occupa il nostro quotidiano online.

Loro, adesso, stanno girando tra i vari Paesi d’Europa, ma vent’anni fa, dall’Italia, partì una carovana di attiviste e attivisti, tra cui anche una folta delegazione di bolognesi, per partecipare alla “Marcia del colore della terra”, che dal Chiapas raggiunse Città del Messico, per chiedere il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni, come previsto dagli Accordi di San Andres, siglati nel 1996 tra Ezln e Governo messicano. Ci arrivarono nel mese di febbraio del 2001 nella capitale messicana e, davanti al palazzo del Governo, a issare lo striscione “Todos somos pueblos indigenas del mundo” erano ragazzi e ragazze bolognesi che indossavano una tuta bianca. Il messaggio era chiaro: solo le lotte dal basso hanno il potere di cambiare i paesi e di creare un mondo in cui possano condividere molti mondi, tra cui quello indigeno.

Ancora oggi questo messaggio accomuna e unisce i movimenti del pianeta e rappresenta bene lo spirito con il quale gli attivisti della Gira zapatista sono arrivati nel nostro Paese.

Comincia Elleser, un piccolo uomo con al collo un fazzoletto dai colori forti tra cui un bel rosso che si impone. Prima di iniziare a parlare si mette in testa un cappello ad ampie falde, tipico dei lavoratori della terra messicani; davanti, a coprire la fronte, una stella rossa in bella vista.

«Vengo da Amilcingo, un villaggio indigeno dello Stato di Morelos. Sono un consigliere delegato del Congesso Nazionale Indigeno…».

A una richiesta di chiarimento sui compiti e le finalità del Cni, Elleser risponde: «Il Congresso Nazionale Indigeno è un organismo assembleare e, al tempo stesso, una rete di soggetti diversi. Si batte da sempre per la difesa delle terre, dell’acqua e della sussistenza delle popolazioni indigene messicane. Il 12 ottobre del 1996, dopo una chiamata zapatista a tutti i 32 Stati messicani, una delegazione del villaggio di Amilcingo partecipò al Congresso di San Cristòbal de Las Casas, dove si discuteva la proposta di formare una nuova organizzazione. In quell’assemblea i militanti dell’Ezl ci dissero di eleggere i consiglieri di villaggio, capaci di sostenere le istanze, gli usi e i costumi in cui le popolazioni indigene si identificavano. Con la nascita del Cni siamo riusciti a fare arrivare la nostra voce indipendente alle popolazioni. Siamo diventati l’esercito dei 32 Stati e abbiamo dato visibilità al popolo indigeno. Le nostre modalità di partecipazione e di prendere le decisioni seguono il criterio dell’orizzontalità, secondo i sette principi zapatisti: servire e non servirsi, costruire e non distruggere, rappresentare e non prevaricare, convincere e non vincere, obbedire e non comandare, scendere e non salire, proporre e non imporre».

Alla domanda su cosa si aspettassero da questo loro viaggio europeo, Elleser risponde con un’efficace metafora: «In questa Gira noi cerchiamo gli specchi della società. Siamo alla ricerca dei parallelismi con i problemi della nostra terra. Le popolazioni indigene messicane si battono contro chi vuole depredare la loro cultura e i loro saperi. Si battono contro il saccheggio dei loro territori che il capitalismo e le multinazionali portano avanti per la realizzazione di grandi opere e di maxi-progetti, con l’appoggio del Governo messicano.

Con questa Gira vorremmo specchiarci nelle lotte e nelle resistenze di questa parte del mondo. In Italia con i movimenti come i No Tav e i No Tap e con tutti coloro che si battono per la difesa del paesaggio e della loro terra. Vogliamo specchiarci con loro per riconoscerci e creare legami più forti, per cercare una linea comune per quella che deve essere una lotta universale contro il capitalismo… Abbiamo potuto specchiarci in altri specchi e ci siamo visti nel nostro agire, nella nostra opposizione al cambiamento climatico e alla sottrazione della risorsa idrica. In Europa abbiamo potuto vedere altri specchi simili ai nostri e in cui sono riflesse le nostre principali istanze. In questa forma abbiamo deciso di agire insieme agli altri specchi: quindi noi ci possiamo rispecchiare e voi vi potete rispecchiare negli stessi obiettivi che rappresentano una comune battaglia universale.

Questa Gira è intitolata “Ascolto e parola”… Noi possiamo ascoltare l’Europa, ma anche l’Europa ci ascolti sui nostri problemi… Questo è il modo di articolarci coi nostri popoli, in un continuo affratellarsi di tutte le organizzazioni in un solo cammino… Il capitalismo vuole distruggere tutto quello che ci circonda, noi con la lotta glielo dobbiamo impedire».

E’ pronta per dire la sua Nisajuie, consigliera del Cni dello Stato messicano di Oaxaca. E’ una ragazza che, fin dalle prime battute, si dimostra vivacissima e combattiva: «Il presidente messicano, Andrés Manuel Lopéz Obrador, che è stato eletto nel 2018, si è presentato come un candidato di sinistra, ma una volta che ha preso il potere ha mostrato il suo vero volto. Si è voluto mostrare come il fautore del cambiamento del Paese, ma le cose sono andate diversamente. Quella che lui chiama “quarta trasformazione”, dovrebbe lasciarsi alle spalle la violenza e la corruzione degli ultimi decenni e garantire lo sviluppo delle regioni più povere del paese. Ma nel sud del Messico questa sua “missione” viene portata avanti attraverso i “passi necessari” dei mega-progetti e delle grandi opere, con l’obiettivo dichiarato di urbanizzare le zone rurali del Paese, estrarre materie prime e produrre energie a basso costo e favorire il turismo e il commercio internazionale. Noi, però, pensiamo che tutto questo sia la continuazione di un progetto coloniale che vuole imporre un modello di sfruttamento capitalista.

Sulla cosiddetta “economia green” c’è la corsa delle multinazionali a installare distese di migliaia di ettari di pannelli solari, distruggendo tutto quello che c’è nel territorio. La stessa cosa sta avvenendo con i parchi eolici e le migliaia di pale disseminate come funghi. La Società Federale dell’Elettricità, insieme alle compagnie francesi, spagnole e italiane, ne ha costruiti ben ventinove di parchi eolici, 2.100 sono gli elettrogeneratori… E non ci sono solo i parchi eolici, ci sono le aziende che saccheggiano le nostre risorse idriche.

Con il “green” il capitalismo ci vuole vendere un’illusione, ma la loro “sostenibilità ambientale” è fatta di sangue e di morte in quelle regioni dove le comunità indigene e contadine resistono da secoli agli interessi dello Stato e delle imprese. La vendono come energia verde, ma per noi significa disastro sociale, ambientale e culturale. L’autonomia delle comunità indigene è la merce di scambio che Obrador ha deciso di sacrificare per portare a termine il suo progetto “progressista”. Insieme alle popolazioni originarie, a fare le spese di quella che per noi è la “quarta distruzione”, sono pure i migranti diretti verso gli Stati Uniti. Negli ultimi anni il Messico ha inasprito i controlli alla frontiera con il Guatemala e si è reso complice di deportazioni dei richiedenti asilo in Centro-America, trasformandosi così da paese di transito a nuovo pattugliatore delle frontiere.

E’ il sistema capitalista che ha come finalità quella di rubarci i nostri beni naturali… E’ il sistema capitalista che violenta i nostri diritti umani, la nostra storia e la nostra vita».

Nel confronto che si fa interessante e animato ricaviamo uno spazio per una nostra considerazione: quindi, nonostante la retorica della rottura con il passato, Obrador è il cameriere che apparecchia la tavola al capitale internazionale per la green economy, per le grandi imprese e per le industrie estrattive? A tal proposito, quali sono le industrie italiane che fanno affari d’oro in Messico?

E’ sempre Nisajuie che risponde: «Con la legge di riforma energetica di alcuni anni fa si è aperta la strada alle perforazioni per estrarre petrolio e gas e alla privatizzazione della produzione e distribuzione di energia elettrica e petrolio, che prima erano affidate alle imprese pubbliche Cfe e Pemex. La riforma del settore minerario fu approvata, invece, negli anni Novanta e, tra attività di esplorazione e sfruttamento dei giacimenti, ha prodotto concessioni per un 16% della superficie del territorio nazionale. Nella lista della grandi opere inutili e dei progetti energetici, tra autostrade, dighe e gasdotti, la parte del leone la fanno la Bonatti spa di Parma, che si occupa di infrastrutture energetiche, e la Enel Green Power, partecipata dallo Stato italiano attraverso Enel, che risulta impegnata in progetti eolici su terre comunali nella zona dell’Istmo di Tehuantepec, nella regione di Oaxaca. In Messico Enel Green Power ha in funzione 6 parchi eolici, per una capacità installata totale di 675 mw».

Elleser torna ad intervenire e allarga il discorso al cosiddetto “Tren Maya”: «La costruzione del corridoio trans-oceanico e del progetto di sviluppo dell’istmo di Tehuantepec è uno dei cavalli di battaglia del presidente Obrador. Vorrebbero creare una sorta di “canale di Panama secco”, una specie di autostrada che faciliterebbe il trasporto di merci e l’insediamento di siti industriali lungo tutto il percorso. A questo mega-progetto si collega quello del Tren Maya e di decine di altre infrastrutture che come Cni denunciamo come progetti dannosi per l’ambiente, il tessuto sociale e la sopravvivenza stessa delle popolazione indigene».

Nisajuie, su questo aggiunge qualcosa: «La cintura urbana che si pensa di realizzare attorno al corridoio trans-oceanico e agli altri mega-progetti, servirà anche a contenere i flussi migratori prima che possano avvicinarsi ai confini statunitensi, paradossalmente svolgerebbe le funzioni del muro voluto da Trump… E, allo stesso tempo, vedrebbe l’utilizzo di mano d’opera migrante a basso costo nella costruzione di queste grandi opere».

Avvicinandoci alla fine della nostra chiacchierata, chiediamo ai nostri interlocutori quali siano le forme di lotta che sono state messe in moto contro questi progetti.

E’ ancora Nisajuie che risponde di getto: «I popoli indigeni si stanno organizzando… Si tengono continue assemblee nelle varie comunità. Come Cni seguiamo l’insegnamento dei nostri fratelli zapatisti, coltiviamo tutti i progetti che tutelano la nostra autonomia. Abbiamo attivato laboratori sui nostri usi e costumi. Tra le donne facciamo rete, stiamo ricostruendo un tessuto di orti nei villaggi in cui privilegiamo le colture biologiche, senza veleni e pesticidi, usando biotecnologie ecologiche. Siamo contro gli Ogm. Per promuovere i risparmio idrico stiamo realizzando “bagni secchi” che non richiedono l’uso di acqua».

Elleser conferma: «Stiamo lavorando a forme rurali di organizzazione economica privilegiando attività come l’agricoltura, la pesca e la tessitura. Politicamente stiamo organizzando il nostro “no” all’istituzione della Commissione Elettrica Messicana che nella regione di Morelos, attraverso il Pim (Proyecto Integral Morelo) intende coprire l’assalto delle multinazionali ai nostri territori.

Di fronte al nostro “no” il Governo ha deciso di interfacciarsi con noi attraverso le organizzazioni paramilitari legate ai narcos. E questa non è una novità, anche in un passato più o meno recente abbiamo assistito di vere e proprie stragi nei confronti delle comunità indigene, attuate da gruppi paramilitari, con un ruolo giocato dall’esercito messicano nell’orchestrare gli attacchi armati.

Nei nostri territori hanno cominciato a circolare strani personaggi che dicono alla gente: “E’ meglio vendere le terre… vi facciamo un’offerta che non si può rifiutare… volete argento o piombo?… scegliete voi… questo progetto si farà in ogni caso”.

Noi non abbiamo ceduto e questi gruppi hanno cominciato a entrare nelle nostre terre, hanno violato gli articoli della costituzione, non hanno rispettato l’articolo della Convenzione Internazionale del Lavoro che prevede l’obbligo di consultazione del popolo indigeno.

Hanno cercato di impaurirci in modo autoritario, ma non ce l’hanno fatta. Ci siamo organizzati con le mobilitazioni e le azioni legali e abbiamo detto a tutti che il presidente Obrador ha tradito il popolo messicano… Come fece il presidente Madero con Emiliano Zapata.

Il Governo federale, dopo le nostre lotte, ha costituito una specie di consulta. Due giorni prima che la consultasi riunisse hanno assassinato il nostro compagno Samir Flores Soberanes. Samir era un contadino, un fabbro, un insegnate e uno zapatasti. Era la voce della radio di Amilcingo e il suo attivismo contro Proyecto Integral Morelos gli è costata la vita alcuni giorno dopo una sua dichiarazione pubblica in cui faceva i nomi delle imprese coinvolte nel mega-progetto.

Con l’assassinio di Samir abbiamo visto cosa si porta dietro il loro “progresso”. Noi vogliamo giustizia per la morte di Samir, impediremo i depistamenti, oltre agli assassini vogliamo conoscere i nomi dei mandanti… Continueremo a lottare».