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La guerra vista e raccontata dalle/i migranti

Le testimonianze raccolte dal Coordinamento Migranti. Maria, da Leopoli, in Italia da anni: con il suo lavoro di badante sta sostenendo le spese dei familiari arrivati dall’Ucraina. M. aveva raggiunto Odessa dalla Nigeria, poi è dovuto fuggire: a Bologna “trattato diversamente perché non ucraino. Ma cosa vuol dire? Neri o bianchi scappiamo dalla stessa guerra”.

08 Aprile 2022 - 12:46

“Dare voce a tutte quelle migranti e quei migranti che stanno pagando il prezzo della guerra“, perchè si tratta di “un prezzo che non appare nelle cronache o se vi appare scompare immediatamente”. E’ l’intento del Coordinamento Migranti di Bologna, che ha deciso di diffondere alcune testimonianze dirette e inquadra così il contesto in cui si inserisce questa iniziativa: “La guerra ha causato la migrazione di centinaia di migliaia di donne ucraine, che hanno dovuto abbandonare tutto ciò che avevano e che ora possono contare soprattutto sul sostegno di altre donne emigrate prima di loro, per lo più occupate nel lavoro di cura. La guerra è violenza e discriminazione. I migranti africani hanno potuto abbandonare l’Ucraina con enorme difficoltà, finendo immediatamente in fondo alla fila di chi può superare le frontiere. La guerra cambia anche la vita delle donne e degli uomini che hanno richiesto l’asilo negli scorsi anni e stanno aspettando il riconoscimento del loro status e un permesso di soggiorno. Tutti loro giungono da paesi che conoscono la stessa violenza della guerra europea che si combatte in Ucraina, molti di loro hanno attraversato i lager libici. Tutti loro sono però sottoposti a norme diverse da quelle stabilite per le profughe che arrivano dall’Ucraina. E percepiscono chiaramente la discriminazione che li colpisce per non essere europei o per il colore della loro pelle”.

Ecco una delle testimonianze raccolte e pubblicate dal Coordinamento Migranti: “Mi chiamo Maria, vengo da Leopoli e sono in Italia da ormai 22 anni. Faccio la badante 24 ore su 24 a una signora di 96 anni per 1.026 euro al mese, è il miglior lavoro che ho avuto in 20 anni in Italia. L’Unione Sovietica mi aveva dato una casa a Leopoli, ma ormai ci pioveva dentro e dovevo metterla a posto. Considerato che nel mio lavoro vitto e alloggio sono inclusi, finora tutti i soldi che potevo li mettevo via per la casa o per la mia pensione. Adesso ci sto perdendo. Mia nuora Cristina e i suoi figli sono arrivati da Leopoli da tre settimane e hanno trovato ospitalità grazie ai miei contatti, ma copro io tutti i costi del vitto e di ciò che serve ai bambini. Loro fanno la scuola ucraina online adesso. Spero potranno tornare a casa presto, anche io un giorno vorrò tornare. Cristina vuole tornare, non vuole stare qui, dice che se almeno Leopoli resta sicura lei tornerà a casa, ma la sera se vede il tg o le capita di sentire il rumore di una sirena ha paura. Anche i bambini sono spaventati perché vedono la loro mamma che ha paura. In Ucraina stanno accadendo cose inimmaginabili e che non si sentono tanto nei tg qui. Non solo le donne, ma anche i bambini stanno subendo violenze sessuali. Stuprano le donne di fronte ai compagni e poi le uccidono. Stuprano i bambini. Cristina ha paura di muoversi da sola anche ora che è qui”.

Racconta ancora Maria: “Ho due figli in ucraina di 41 e 43 anni che per ora non sono stati chiamati a combattere perché hanno negozi alimentari, ma potrebbero dover partire da un momento all’altro. ‘Siamo patrioti’ mi dicono. Io non voglio perdere i miei figli. Loro non saprebbero sparare e uccidere qualcuno, sono buoni e poi sono grassi non ce la farebbero (ride). E comunque rischiano anche ora, sentono le bombe e corrono ai rifugi ma se dovesse essere troppo vicina la bomba per scappare? Ho un fratello a Mosca che mi ha chiesto di non chiamarlo e non scrivergli perché ha paura che lo controllino, non vuole che io gli scriva che Putin è un assassino. Ho tanti amici in Russia, tanti affetti. E Putin sta facendo l’inferno anche contro di loro. Il punto è Putin. Lui dice che è per via della Nato che ha fatto la guerra, ma è solo una scusa. Molti neri che stanno in Ucraina non riescono a scappare, è terribile. Putin diceva che i razzisti siamo noi ucraini, ma è lui il razzista”.

Una seconda testimonianza è quella di M. che, riferisce il Coordinamento Migranti, ha scelto di rimanere anonimo: “Sono andato in Ucraina dalla Nigeria per giocare a calcio. Sono arrivato prima a Kiev, poi sono andato a Odessa per giocare in una quadra di lì. Avevo cominciato da poco a giocare quando il 24 febbraio è cominciata la guerra e i russi hanno cominciato ad attaccare la città. La situazione è diventata subito tesa, in molti cercavano un modo per scappare quanto prima per paura degli attacchi, alla fine anche ho deciso di andare via. È stato terribile. Sono andato alla stazione di Odessa per prendere un treno fino a Uzhorod, una città al confine con la Slovacchia. Anche salire sul treno è stato difficile, soprattutto per noi neri e migranti africani. Si preoccupavano di far salire prima gli ucraini e i bianchi, noi eravamo decine e decine ma non ci lasciavano salire. All’inizio ci hanno detto che avrebbero dato la precedenza alle madri con le bambine, lo abbiamo accettato e abbiamo capito, ma credevamo che dopo ci avrebbero lasciati andare tranquillamente. Invece non è stato facile, per loro il problema era il colore della pelle. Abbiamo dovuto spingere e fare casino per salire sul treno. A Užhorod è stato ancora peggio. Ci hanno bloccato al confine e abbiamo aspettato per tre giorni fermi, in strada, al freddo, senza che nessuno ci dicesse nulla o ci desse qualche informazione. Facevano passare le donne ucraine con i loro bambini e a noi dicevano soltanto: ‘Non potete passare’. Ci hanno detto: lasciamo passare solo le donne. E noi abbiamo risposto: ‘Bene, tra di noi ci sono delle donne! Ci sono delle studentesse, ma anche donne africane con i bambini e donne incinte’. Ma le hanno tenute bloccate al confine insieme a tutti gli altri e ci è stato sempre risposto di aspettare, stare fermi e stare zitti. Al terzo giorno, alle 3 di notte, alcuni ragazzi marocchini si sono incazzati per questa discriminazione, perché non farci passare? Stavamo scappando dalla stessa guerra che stava colpendo tutte e tutti! Ma la polizia di confine ci ha respinti e sono iniziati gli scontri, hanno cominciato a spruzzarci lo spray al peperoncino negli occhi. Lì ho perso il mio portafogli con il permesso di soggiorno ucraino, ma sono riuscito a passare, avevo gli occhi che ancora mi bruciavano per lo spray al peperoncino. Dall’altra parte del confine ho preso un treno per Berlino. I tedeschi mi hanno dato un biglietto per venire in Italia. Sognavo da anni di venire in Italia, è il paese in cui avrei voluto vivere. Avevo un appuntamento per richiedere il visto nel 2020, ma poi hanno cancellato la procedura per colpa del Covid, e sei mesi fa ho avuto la possibilità di andare in Ucraina. Quando è iniziata la guerra, una volta passato il confine ho avuto la possibilità di andare ovunque in Europa quindi ho deciso di venire qui. Sono passato dalla Repubblica Ceca, dalla Germania, dall’Austria, ma la mia idea era quella di fermarmi in Italia”.

M. continua così: “In Ucraina avevo un permesso di soggiorno temporaneo di un anno. Qui in Italia non ho ancora un documento. Mi hanno dato soltanto il documento sanitario per le cure mediche. Lì c’è scritto che vengo dall’Ucraina. Mi hanno dato un consulente legale, che mi ha detto che al momento l’Ue vuole dare protezione solo ai cittadini ucraini o ai residenti permanenti in Ucraina, quindi non so ancora se potrò avere la protezione internazionale qui. C’è una differenza di trattamento abissale con i cittadini ucraini. Se sei bianco ucraino è facile ottenere i documenti. Quando sono andato al centro Emergenza Ucraina in piazza XX Settembre ho detto che venivo dall’Ucraina e mi hanno chiesto di provarglielo. Ho mostrato i miei documenti, i visti, le prove che vivevo in Ucraina. Perfino il mio passaporto che ho preso all’Ambasciata nigeriana in Ucraina, e infatti c’è scritto chiaramente che il luogo di emissione è Kiev. Gliel’ho mostrato e gli ho mostrato anche il contratto di casa in Ucraina. Ma ho la pelle nera e mi hanno detto che non sono ucraino. Dopo avermi fatto riempire dei fogli, mi hanno mandato via, per poi chiamarmi il giorno dopo per dirmi che potevo tornare a registrarmi. Mi hanno trattato in modo differente perché non sono ucraino. Ma cosa vuol dire? Neri o bianchi scappiamo dalla stessa guerra, le bombe sono le stesse”.

Infine, M. spiega di conosci altri migranti che non hanno il passaporto ucraino ma sono fuggiti dalla guerra: “Sì, ne conosco altri che sono arrivati anche qui a Bologna. Siamo tutti nei centri di accoglienza, ma non ci sono ucraini bianchi, che invece vengono messi a vivere negli appartamenti. Ovviamente i profughi ucraini non hanno nessuna colpa, è solo il solito razzismo a cui noi africani siamo abituati. Vogliono metterci l’uno contro l’altro”.