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Dal Minghetti occupato: “Abbandonati dalle istituzioni quando più avevamo bisogno”

L’occupazione iniziata ieri vuol essere “un atto di protesta deciso”, hanno scritto le/gli studentesse/i in un documento che mette in fila le motivazioni della mobilitazione, incentrata sulle carenze del sistema a livello nazionale: dalla gestione della pandemia al modello didattico, dalle aule sovraffollate all’alternanza scuola-lavoro.

22 Febbraio 2022 - 11:08

“Noi, studentesse e studenti del liceo Minghetti e d’Italia, trascurati dalle istituzioni e privi di una rappresentanza politica sensibile alle nostre esigenze, ossia che consideri prioritaria la nostra formazione personale e scolastica, abbiamo deciso non solo di reagire in nome della nostra scuola, ben considerata a livello locale, ma anche di unirci all’urlo di disagio proveniente dalle altre scuole italiane fra le quali risultiamo immeritevoli privilegiati attraverso la nostra occupazione”. Comincia così il documento prodotto dalle/gli studentesse/i per dare il via all’occupazione della scuola iniziata ieri. Sembra che dalla presidenza fosse arrivata la controproposta di un’autogestione, ma dopo il confronto tra le/gli studentesse/i “una maggioranza schiacciante” ha deciso di occupare “visto l’impegno dimostrato nell’organizzazione e il desiderio di compiere un atto di protesta deciso”, dando vita a ad un’occupazione “completamente autorganizzata, senza l’intervento di associazioni o collettivi esterni”. Sempre dal documento: “Le conseguenze dell’emergenza sanitaria ci hanno resi coscienti dell’incapacità delle istituzioni scolastiche di mettere al primo posto il nostro benessere psico-fisico. La gestione della pandemia ha fatto emergere le debolezze di questo sistema, che già risultava arretrato e distante da chi avrebbe dovuto tutelare, ovvero noi. La gestione della scuola durante l’emergenza, con il continuo ed eccessivo ricorso alla didattica a distanza, ci ha abbandonato quando avevamo più bisogno di supporto, facendoci sentire alienati dal nostro stesso mondo”. La dad “ha acuito le disuguaglianze” e sul piano della didattica “la scuola ha mostrato staticità, proponendo la solita lezione frontale, questa volta online”, mentre “le nostre vite” erano “completamente sconvolte dalla nuova realtà”.

Al rientro in classe “ci siamo trovati testimoni di una situazione alienata ed alienante- scrivono le/gli studentesse/i- in cui la componente sociale è completamente annullata e la ‘scuola’ che stiamo frequentando si è ridotta a mero insegnamento e valutazione” in cui l’apprendimento viene dopo l’ansia da voto “creando un forte disallineamento tra le competenze e conoscenze effettive e quelle richieste. E andare a scuola senza la pretesa di imparare è la cosa più triste che potesse succedere”. In più l’ambiente scolastico “spesso non è sano” non è “uno spazio di crescita personale” ma brilla come “sistema punitivo e poco stimolante. Tutto ciò che apprendiamo tramite attività extra-scolastiche non viene riconosciuto in alcun modo”. Ci sono invece “ansia e stress” per il peso “della valutazione e della competitività che ne deriva. Attacchi di panico e malcontento sono purtroppo all’ordine del giorno a scuola dove invece dovrebbe esserci voglia di imparare in serenità”. La scuola dovrebbe essere “meno selettiva e più inclusiva”, secondo le/gli studentesse/i del Minghetti, mentre la didattica “resta ancorata ad un modello tradizionale di trasmissione di contenuti. In questo modo viene meno” al “suo scopo principale: formare le coscienze e la personalità degli adulti di domani”. La figura dell’insegnante poi “è spesso svalutata e appiattita da un sistema scolastico stagnante; questo si riflette sulla libertà di insegnamento, spesso condizionata dalla necessità di rispettare programmi ministeriali inadeguati. Tutto ciò contribuisce a rendere l’ambiente scolastico, e di conseguenza la nostra quotidianità, stressante e ansiogeno”. Il documento cita anche aule sovraffollate, “spazi non a norma, datati e talvolta non sfruttati appieno”. Poi c’è il tema dell’educazione sessuale: “La scuola deve rappresentare un modello educativo alternativo ed emancipante rispetto al retaggio culturale patriarcale in cui tutti siamo immersi” me si limita a fare “prevenzione” e a “una visione rigorosamente eteronormativa”. Infine l’alternanza scuola-lavoro ridottasi, per i licei, a “progetti didattici fini a sé stessi e non inerenti al percorso scolastico” con però la “valutazione, dunque uno stress, in più. Spesso risulta un’esperienza deludente rispetto alle sue prerogative”. Per le/gli occupanti, la scuola dovrebbe “istruire e formare studenti consapevoli e con capacità di pensiero critico, e non indirizzarli, o addirittura abbandonarli, ad un futuro con ruolo prestabilito”. E l’alternanza per com’è ora “pecca di incongruenza ed inadeguatezza” ed è “inaccettabile che un ragazzo possa morire in un’esperienza professionalizzante a carico della scuola”: non è didattica “ciò che sfrutta, ferisce e uccide”.