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Cile, 11 settembre 1973: il colpo di Stato di Pinochet e il laboratorio di sperimentazione neoliberista [2ª parte]

La prosecuzione dell’approfondimento realizzato dal Centro di documentazione dei movimenti “Francesco Lorusso – Carlo Giulani” di Bologna in occasione del 50esimo anniversario del colpo di Stato che rovesciò Salvador Allende e di una serata sul tema organizzata a Vag61: un viaggio tra storia e politica dalle drammatiche giornate del 1973 ai giorni nostri.

28 Ottobre 2023 - 12:06

di: Centro di documentazione dei movimenti “Francesco Lorusso – Carlo Giuliani”

Sono passati 50 anni dal colpo di stato fascista in Cile, dall’uccisione del presidente Salvador Allende, dall’insediamento di una dittatura militare voluta dagli Stati Uniti che torturò e uccise gli avversari politici, che provocò migliaia di detenuti ed esuli, dando il via a una serie di misure economiche improntate alle teorie liberiste della “scuola di Chicago”.

(leggi la prima parte)

DOPO LA FINE DELLA DITTATURA

Pinochet rimase a capo della giunta militare fino al 27 giugno 1974 poi, dal 17 dicembre di quell’anno, si autoproclamò “Capo supremo della Nazione” e presidente del Cile. Venne varata ad hoc una nuova Costituzione e Pinochet cominciò ad apparire in pubblico in abiti civili. Durante gli anni Ottanta le conseguenze della crisi economica, il crescere delle proteste contro il governo e uno sciopero generale, aumentarono le difficoltà del regime. La dittatura militare durò fino al referendum dell’1 ottobre 1988. Dopo la sua rimozione Pinochet, per i crimini che aveva commesso, non fu né processato, né destituito dalla sua carica militare (queste furono le condizioni imposte dagli Stati Uniti per avere la consultazione popolare).

La fine della dittatura in Cile e l’indizione di elezioni nel 1990 non coincise affatto con un cambiamento delle politiche economiche, il modello liberista subì solo qualche aggiustamento marginale.

Seguirono 20 anni, dal 1990 al 2010, dei cosiddetti governi della Concertacion, sostenuti da un’ampia coalizione di partiti a tendenza democristiana e socialdemocratica. In quel periodo non ci furono cambiamenti significativi alla politica economica. Nel 2010, tornò al potere la destra neoliberista “post-pinochettista”: venne eletto Sebastián Piñera che immediatamente promulgò un programma di privatizzazioni e di dismissioni del welfare statale. Si trovò così a fronteggiare un primo ciclo di forti proteste sociali nel biennio 2010/2011. A seguire, ci fu poi una nuova parentesi della “socialista” Bachelet, a cui si alternò nel marzo 2018 di nuovo Piñera.

Nei trent’anni successivi la deposizione di Pinochet i Governi che si sono succeduti, sia che fossero di centro-sinistra o di centro-destra, hanno goduto di una specie di “rendita democratica”: la gioia per la libertà riconquistata, insieme alla fine del terrore, hanno messo da parte le rivendicazioni sociali per diverso tempo. Nessun partito politico al potere, in tutto questo tempo, ha sconfessato però le politiche economiche messe in campo dopo il colpo di stato. Secondo un rapporto della Banca mondiale del 2016 il Cile era il settimo paese al mondo per il più alto livello di diseguaglianze. Il 25% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà. L’istruzione pubblica era tra le più costose del continente americano; i servizi pubblici e il welfare avevano subito tagli che ne mettevano in discussione l’efficacia; era altissimo il livello dell’indebitamento privato; era elevata la sua dipendenza economica e geopolitica dagli Stati Uniti, come pure l’esposizione all’estero.

È così che si arriva al clima dell’ottobre 2019 e alle proteste oceaniche di quei giorni. La scintilla iniziale partì dall’aumento del biglietto della metropolitana, iniziarono gli studenti a scendere in piazza in migliaia a Santiago, a cui subito dopo si aggiunsero centinaia di migliaia di persone in tutto il paese, stremate dalla condizione di disagio sociale e precarietà a cui erano costrette a vivere. “Non sono i 30 pesos, sono 30 anni“, era lo slogan riferito all’aumento di 30 pesos del biglietto della metro, ma anche ai 30 anni di politiche neoliberiste, rimaste in piedi anche nel post-dittatura.

In risposta alle proteste di massa, il governo di Sebastián Piñera attuò una serie di durissime misure repressive, con la dichiarazione dello “stato di eccezione” e le forze speciali della polizia a guardia delle stazioni. Una vera e propria dichiarazione di guerra del presidente contro il suo popolo.

In questa occasione, dando risposte politiche degne di una dittatura, dimostrò di essere una democrazia in crisi e ancora molto debole. Tuttavia, le misure repressive del governo non riuscirono a frenare le mobilitazioni, l’occupazione delle strade da parte dell’esercito, invece di intimidire i manifestanti ne moltiplicò lo sdegno.

LA CADUTA DELLE ULTIME “EREDITA’ PINOCHETTISTE”

Le ultime “eredità” del regime fascista di Pinochet caddero per merito del movimento femminista (il collettivo Las Tesis, NiUnaMenosChile) e delle lotte delle donne cilene. Sotto la dittatura della giunta militare l’aborto era stato proibito senza eccezioni. L’aborto terapeutico (in caso di stupro, rischio di morte della madre e d’impossibilità di sopravvivenza del feto) fu introdotto solo nel 2017. Questo venne ritenuto un passaggio storico, frutto dei decenni di lotta delle femministe, della donne e delle organizzazioni per i diritti umani. Ma la mobilitazione non si fermò con questo risultato, il 25 luglio 2018 venne organizzata la sesta Marcia femminista per l’aborto sicuro, libero e gratuito. Durante la manifestazione nazionale di Santiago tre donne vennero accoltellate da uomini incappucciati e lungo il percorso del corteo ci furono diverse provocazioni ad opera di neonazisti del gruppo Patriot Movimento Sociale, seguaci di Pinochet. Alla fine del 2019 furono le donne del collettivo femminista Las Tesis a riaccendere le proteste contro il Governo di Sebastian Piñera e i suoi tentativi di ritornare ai tempi di Pinochet. Quando le mobilitazioni erano ormai deboli e fiaccate dalla violenza della polizia, il 25 novembre 2019 con un’azione improvvisa (cantando “Un violador en tu camino”) un gruppo di donne interruppe il traffico in piazza Anibal Pinto a Valparaíso. Poi il collettivo cileno chiamò a raccolta tutte le donne dissidenti per riproporre iniziative in altre città e in lingue diverse. La risposta non si fece attendere: l’azione si diffuse in tutto il mondo fu riprodotta in tanti paesi dai movimenti femministi.

Poi ci fu la vittoria del movimento delle donne nel referendum sulla nuova costituzione, chiudendo in questo modo un ciclo iniziato negli anni ottanta con il movimento chiamato “Mujeres por la democracia”, in opposizione al regime di Pinochet, con le manifestazioni silenziose nelle piazze, sfidando gli idranti della polizia.

E’ bene ricordare che negli anni della dittatura, ma anche nei decenni successivi, le donne non potevano sposarsi prima che fossero passati almeno 270 giorni dal divorzio o dalla morte del marito, per evitare dubbi sulla paternità dei figli.

L’intento del movimento femminista era quello di avere una costituzione che prevedesse l’uguaglianza totale tra uomini e donne e correggesse ingiustizie storiche ancora in vigore. Il 25 ottobre 2020 è stato indetto un referendum in cui ha prevalso il sì a una nuova Costituzione che doveva essere scritta da una convenzione costituzionale mista. A maggio 2021 sono stati votati i convenzionalisti, ma a settembre 2022 la proposta di nuova costituzione è stata bocciata. Oggi la palla è in mano a una nuova convenzione, assolutamente neutralizzata, e comunque in mano all’estrema destra di Republicanos.

Alle elezioni presidenziali del 2021 vinse Gabriel Boric, un ex leader studentesco che, a 36 anni, risultò essere il più giovane presidente della storia del Cile. Quando, l’11 marzo 2022, il suo governo entrò in carica Boric rilasciò un’impegnativa dichiarazione tesa a dimostrare che uno dei suoi obiettivi principali era quello di archiviare la stagione liberista che aveva preso il via con la dittatura di Pinochet: “Affrontiamo con enorme energia la sfida di consolidare la ripresa della nostra economia senza riprodurne le disuguaglianze strutturali. Si tratta di una crescita sostenibile, accompagnata da un’equa redistribuzione della ricchezza”.

Questo annuncio, come era immaginabile, destò forti timori sui mercati che, in parte, si tranquillizzarono con la nomina a ministro del Tesoro di Mario Marcel, che era il presidente della Banca centrale e un personaggio molto considerato negli ambienti economici cileni.

Staremo a vedere se i presupposti che sostengono la coalizione di sinistra permetteranno al Governo di Boric di affrontare la profonda crisi che sta attraversando il paese con ricette diverse da quelle dei suoi predecessori (risultate, del resto, nella maggior parte dei casi fallimentari).

Noi vogliamo chiudere questa scheda con la poesia “Sopra il vostro settembre” del poeta cileno Camilo Maturana:

Prendiamo dalle ombre del tramonto
gocce di pioggia fina.
Notte lunga di sole nascosto,
sotto le proprie ombre ovunque raccogliamo feriti, morti.
Teniamo stretta la rabbia
come qualcosa che si ama.
Gustiamo l’odio
come un alimento.
Retrocediamo ma…
ritorneremo domani!
Un giorno – l’undici-
ci strapparono la libertà
e settembre.
Non sanno che di ottobre
ne abbiamo molti
nella nostra storia…
Generali,
sopra il vostro settembre
cadrà
anche il nostro ottobre!