Erano scattate per la lotta anti-tornelli, Cua: stop obbligo firma per Angelo ed Emiliano e divieto dimora per Morgan. E Hobo annuncia: “Abbiamo preso possesso del nuovo spazio in v.Belmeloro, lasciando Community Center di Filippo Re”.
“Sono state revocate le cautelari di obbligo di firma per Angelo ed Emiliano e il divieto di dimora a Bologna per Morgan”. Lo riferisce il Cua, ricordando che “le misure erano scattate lo scorso 3 aprile su ordine della Procura di Bologna che dopo la bocciatura da parte del gip dell’impianto accusatorio per estorsione nell’inchiesta sulla vertenza mensa, era corsa in tutta fretta ai ripari per non perdere la faccia. La Procura infatti aveva tuonato ‘decimeremo il Cua’ al margine delle giornate di scontri e tafferugli seguiti allo sgombero della celere della biblioteca di via Zamboni 36 da cui erano stati smontati i tornelli. Insieme alle dichiarazioni del procuratore si erano uniti questore, Pd, rettore, sindaco ed editorialisti di varia risma che fino all’altro ieri si sono divertiti a sputare in faccia alle centinaia di studenti e studentesse il loro disprezzo e la loro promessa di vendetta, additando il Cua come nemico pubblico numero uno, reo, a loro detta, di sobillare e fomentare la rivolta nell’Alma Mater. Ma la verità, è ben altra da quella narrata dall’esercito di opinionisti e parolai di regime sempre pronti a dileggiare e invocare tribunali contro i movimenti sociali”.
Continua il comunicato: “Per quanto ci riguarda continueremo il nostro percorso di antagonismo sociale, organizzazione autonoma, e conflitto contro l’università riformata dalla Gelmini e nella zona universitaria, al fianco di centinaia e centinaia di studenti e studentesse che con lo stesso entusiasmo con cui si costruisce una barricata mai hanno fatto mancare la solidarietà ai nostri compagni e alle nostre compagne aggrediti dalla repressione. Ora restano le cautelari a Sara, la nostra compagna che casco in testa insieme a migliaia di studenti e studentesse il giorno successivo alla prima notte di scontri in zona universitaria non ha accettato che via Zamboni, all’altezza del 36, fosse militarizzata e insieme a molti altri ha spinto in avanti per respingere quella grave provocazione! Insieme a lei gridiamo forte liberi tutti e libere tutte! Dalla Mensa ai tornelli… è tempo di una nuova stagione di lotta e conflitto sociale!”.
Intanto, Hobo rende noto che: “Ieri abbiamo preso possesso del nuovo spazio in Via Belmeloro 8/3, lasciando il Community Center di Via Filippo Re. Per più di 4 anni quest’ultimo è stato, per molti studenti e studentesse, il centro nevralgico del campus di Filippo Re, un luogo che rompeva col grigiore dell’accademia e con la monotonia delle lezioni universitarie, un’oasi nell’asfittico deserto creato dall’Unibo; è stato, e continuerà ad essere, un punto di incontro tra soggetti differenziati per età e formazione, un luogo di produzione di un sapere non finalizzato alla valorizzazione del mercato, ma di un sapere altro e contro, figlio della cooperazione tra studenti e studentesse, precarie e precari, professori e professoresse che rompono con la narrazione dei baroni universitari; è stato, e continuerà ad essere, anche uno spazio di socialità differente, di condivisione di momenti e di bisogni; una riappropriazione degli studenti e delle studentesse che han deciso di farlo vivere in maniera differente, dando vita ad un’autogestione prima e ad un’occupazione poi. Un posto come questo, anomalo nell’Università della crisi di oggi, non può che infastidire i vertici universitari perché fa esplodere contraddizioni e pianta quotidianamente un coltello nella carne della stessa istituzione”.
Scrive ancora Hobo: “Come ben sappiamo, se la controparte si ritiene attaccata non porge l’altra guancia ma prova a chiudere gli spazi di agibilità politica all’interno dell’Universitá. Lo fa in vari modi, con diverse tempistiche: alcune volte è costretta a farlo utilizzando la forza fisica con l’aiuto della polizia, come è successo qualche anno fa, nel 2014, quando il rettore Dionigi ha sgomberato una prima volta il Community Center, in una giornata che ha visto la risposta determinata di centinaia di studenti e studentesse; altre radendo al suolo – letteralmente – un fabbricato pur di non permetterne il libero utilizzo da parte di chi attraversa il campus di Filippo Re; altre utilizzando una gestione soft e capziosamente dialogante, come in questo caso. La certezza è che entrambe le modalità rappresentano due facce della stessa intenzione: pacificare il conflitto all’interno dell’Università. Il punto, allora, non è di gridare vittoria per la conquista di un nuovo spazio o di commiserarci per la perdita di un altro: la lotta sul campo è fatta di avanzamenti, di spostamenti e di rafforzamenti di posizione, di passi laterali per poter avanzare e colpire meglio il nemico. Ad oggi la volontà del Rettore Ubertini è quella di chiudere gli spazi di agibilità con un’opera di normalizzazione, cercando di catturare le istanze per trasformarle in richieste, di frenare la spinta autonoma degli studenti e delle studentesse con la burocrazia, di depoliticizzare la potenza del discorso critico per farlo diventare compatibile coi temi e le parole che circolano in Università. Il piano su cui si gioca la vera partita, allora, è più ampio: rompere la normalizzazione imposta, riempire di tuoni e fulmini il cielo pacificato, creare la tempesta dove loro vogliono calma piatta. Noi continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto: attaccare i vertici universitari distruggendo il dispositivo di punizione preventiva che si sta provando ad imporre con la comminazione di provvedimenti disciplinari verso chi lotta all’interno di essa e riappropriarci degli spazi che quotidianamente attraversiamo. Lo faremo da settembre, partendo con un festival che si svolgerà all’interno di Filippo Re. Perché ricominciare non significa tornare indietro”.