Il Nodo Sociale Antifascista di Bologna, cogliendo l’occasione dell’imminente Festival Sociale delle Culture Antifasciste, invita a discutere sulla possibilità di un corteo nazionale nel trentennale della strage della stazione
> Il comunicato:
Non è davvero difficile capire quanto, in questi ultimi anni, lo slogan bipartisan della “memoria condivisa” sia stato un eufemismo per manipolare e demolire la memoria collettiva.
Oggi si sa molto della stagione dello stragismo neofascista. Sappiamo persino di che colore era l’auto con cui fu portata la bomba in Piazza Fontana il 12 dicembre 1969. Conosciamo i nomi degli esecutori materiali della strage di Piazza della Loggia e di quella del 2 agosto 1980. Sappiamo anche che quasi tutti gli stragisti sono riusciti a farsi assolvere, o a ritornare in libertà, grazie a prescrizioni, coperture, complicità, favoritismi, polveroni mediatici. Oppure sono riparati in dorate residenze all’estero: il generale Gianadelio Maletti in Sudafrica, i neofascisti Delfo Zorzi in Giappone, Giovanni Ventura in Argentina, ecc.
Ogni 12 dicembre i giornali scrivono che quella di Piazza Fontana sarebbe «una strage senza colpevoli», quando invece i processi hanno stabilito senza ombra di dubbio precise responsabilità e assolto però gli assassini neofascisti: Zorzi, Freda, Ventura e altri militanti di «Ordine nuovo».
Ogni 2 agosto i giornali si interrogano sulla colpevolezza di Mambro e Fioravanti esibendo fantomatiche «piste alternative» imbastite sul nulla, senza che vi sia alcun elemento nuovo, con esercizi di fantasia contraddittori e offensivi.
È una tecnica manipolatoria che da anni si esercita con grande fervore anche sulla strage del 2 agosto 1980. Prima è stata la volta della famigerata, fumosissima “pista palestinese”: o un’azione di rappresaglia per l’arresto in Italia di tal Abu Saleh, oppure un incidente durante il trasporto di una grossa quantità di esplosivo. Peccato che le due ipotesi siano solo bugie con le gambe cortissime: Abu Saleh non fu rilasciato il 14 agosto 1980, ma due anni dopo; e l’esplosivo T4 – un esplosivo militare – non può esplodere senza innesco e nessuno lo trasporterebbe innescato se non per farlo esplodere.
Così, in mancanza di meglio, nel 2009 è tornato di moda Carlos “lo sciacallo”, presentato dai giornali come “il più feroce terrorista di tutti i tempi” o “il più famoso e sanguinario terrorista del mondo” a fronte dei poveri “innocenti” Mambro e Fioravanti, quando invece le vittime del primo sono qualche decina e quelle della coppia neofascista sono nell’ordine delle centinaia (la loro è una lunga carriera da assassini e stragisti già prima del 2 agosto 1980). Secondo Carlos – nemico degli Stati Uniti e di Israele nonché bugiardo incorreggibile – la strage di Bologna sarebbe stata fatta dai servizi segreti statunitensi e israeliani per addossarla ai palestinesi e rompere quei margini di tolleranza di cui godevano in Italia. Un piano così abile ed efficace che in quegli anni nessuno pensò di addossare la strage ai palestinesi! Comunque sia, si tratterebbe di una smentita della “pista palestinese”, fermamente sostenuta da Cossiga, Alemanno, Enzo Raisi & C.
Come in un romanzo di quart’ordine, pare insomma che il 2 agosto 1980 la stazione di Bologna brulicasse di spie, terroristi, trafficanti d’armi e tipacci d’ogni risma. Anzitutto c’era Thomas Kram che dormì nella notte fra l’1 e il 2 agosto all’Hotel Centrale di Bologna, si registrò con il proprio nome e cognome, ed era un personaggio conosciuto e controllato dalla polizia italiana. Pare fosse esperto nella falsificazione di documenti e non di esplosivi (come scrivono caparbiamente i giornali ogni anno). E apparteneva a certe “Cellule rivoluzionarie” e non al gruppo del sopracitato Carlos. Poi pare ci fosse un’altra terrorista, tal Christa-Margot Frohlich che “sarebbe stata vista”, forse, all’Hotel Jolly di Bologna l’1 agosto 1980. Ovviamente la preziosa testimonianza vien fuori adesso: il tempo è galantuomo. Poi c’erano palestinesi, agenti della CIA e del Mossad, “sciacalli” vari. Basta moltiplicare gli enti senza il minimo indizio e senza alcuna logica, e la storia diventa un balletto dove tutto è possibile: è il revisionismo della moltiplicazione immaginifica. Di fatto, qualsiasi cosa va bene, anche la più incredibile, pur di far dimenticare che i mandanti stavano verosimilmente ai piani alti dello Stato.
Analogamente, nel macchinoso volume Il segreto di Piazza Fontana, Paolo Cucchiarelli l’anno scorso ha sostenuto che per la strage di piazza Fontana erano necessarie due bombe: una anarchica e una fascista, poste nello stesso luogo, una sopra l’altra. Basta sovrapporre la realtà accertata (la bomba fascista collocata da Ordine Nuovo) e l’irrealtà fantasiosa (l’immaginaria bomba anarchica) per rendere pienamente manipolabile – o quantomeno sempre più evanescente – la verità storica.
Quest’anno, per il consueto depistaggio sul 2 agosto, i postfascisti al governo cercheranno di inventarsi l’ennesima “pista internazionale”. Così ora c’è un gran fervore di magistrati intorno alle presunte “rivelazioni” della Commissione Mitrokhin e alle carte provenienti da Germania Est, Ungheria, Grecia, ex Cecoslovacchia… Negli archivi ex-comunisti, dove la Stasi e altre polizie segrete fabbricavano dossier buoni per tutti gli usi, si vorrebbe trovare un qualche pezzo sbrindellato di carta, una nota spese, uno scarabocchio che supporti le fantasie autoassolutorie dello Stato.
Di recente, anche Giorgio Napolitano si è unito al coro dei revisionisti sulla strage del 2 agosto: «Le ombre e i dubbi che sono rimasti, hanno stimolato un nuovo filone di indagine, dagli sviluppi imprevedibili». Oggi lo Stato ha bisogno di «sviluppi imprevedibili» e di celebrazioni generiche di «tutte le vittime del terrorismo» per far dimenticare che lo Stato stesso ha avuto un ruolo attivo nel promuovere la «strategia delle stragi» e ha poi sempre mantenuto un atteggiamento opaco e reticente impedendo in ogni modo l’accertamento della verità.
Da ogni parte oggi si cerca di manipolare e negare quella che è un’evidenza difficilmente confutabile: la «strategia della tensione» fu di «matrice neofascista» e di regia istituzionale. Una lunga, incalzante serie di stragi indiscriminate (Piazza Fontana, il treno Freccia del Sud, Peteano, la Questura di Milano, Piazza della Loggia, il treno Italicus, la Stazione di Bologna…) fu portata avanti da uomini degli apparati più coperti dello Stato e da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Lo scopo era quello di promuovere con la violenza un clima di paura e smarrimento per scoraggiare e sconfiggere le lotte operaie e le proteste sociali.
E fin dal principio lo stragismo fu neofascista, come confermò già la condanna definitiva di Freda e Ventura per le bombe del 1969 pre-piazza Fontana: attentati per i quali alcuni anarchici erano già stati condannati e sarebbero stati incastrati se a Treviso il giudice Stiz nel 1971-1972 non avesse riportato gli accertamenti sulle prove di fatto.
A lungo preparata, anche la strage di Bologna fu uno di questi capitoli e la sua verità storica non può essere staccata dalla storia dello stragismo neofascista e dei suoi appoggi istituzionali di ieri e di oggi. Dimenticare la specificità delle stragi di Stato pare diventato ormai un obbligo istituzionale a cui nessuno più si sottrae. Dopo il revisionismo su fascismo e Resistenza, il revisionismo sul neofascismo stragista è un passo decisivo sulla via di un totalitarismo aggiornato alla contemporaneità.
Per questo crediamo che il 2 agosto non si tratti solo di ricordare come ogni anno la strage neofascista, ma anche di preparare – a trent’anni da quell’evento doloroso – un corteo nazionale contro ogni revisionismo che sappia smascherare le operazioni ideologiche di manipolazione della memoria. Se e come questo corteo debba seguire, sovrapporsi o contrapporsi a quello “ufficiale”, è decisione che spetta a chi intende costruirlo e promuoverlo.
Riteniamo altresì che il luogo più adatto di discussione, riflessione, elaborazione di materiali informativi, possa essere il Festival Sociale delle Culture Antifasciste programmato a Bologna dal 28 maggio al 6 giugno. Il Festival ci pare infatti un’occasione da non sprecare assolutamente per tessere relazioni e plasmare progettualità comuni che possano poi dare frutti, creando spazi di agibilità collettiva per tutto il resto dell’anno.
Dimenticare la storia vuol dire condannarsi a subirla di nuovo. Non c’è memoria senza la lotta per un mondo più giusto!
Nodo Sociale Antifascista – Bologna