Opinioni

Opinioni / “Soul Food”

Finger food, vegan food, traditional food, ethnic food, bio food, festival del food, star del food. Ma di cosa abbiamo bisogno per stare davvero bene? Un contributo da una nostra collaboratrice.

28 Ottobre 2016 - 14:11

di Simona De Nicola

Negli ultimi anni Bologna sembra essersi sempre più votata alla sua natura di “grassa”, con l’esplosione della moda del cibo in tutte le sue salse, è proprio il caso di dirlo. Tutti parlano di cibo, tutti esperti di ricette, prodotti a chilometro zero, superalimenti. Più la pietanza suona esotica e apparentemente immangiabile, più “carne al fuoco” per la conversazione. E perdonate le continue metafore alimentari, cercherò di trattenermi. Finger food, vegan food, traditional food, ethnic food, bio food, festival del food, star del food che dalla tele irrompono nelle nostre realtà dicendoci cosa mangiare, cosa ci nutre davvero, cosa ci farà star bene. Parlano di innovazione, come se mangiare per strada bastasse a marcare una novità: lo chiamano street food ed è subito innovazione, come se non fossero mai esistite le bancarelle che vendono cibo in strada, prima che arrivasse la ghigliottina delle leggi imposte dall’UE ai Paesi membri. Come se invitare qualcuno a mangiare a casa propria – ops volevo dire praticare il social eating e l’home restaurant – potesse davvero dare una svolta alla nostra economia capitalista. Ci mettono uno “sharing” davanti ed è fatta, è già moda: food sharing, social food, e via con una serie innumerevole di invenzioni linguistiche che non accompagnano un cambiamento sociale reale. I poveri del mondo muoiono ancora di fame, quelli nostrani mangiano alle mense, il biologico non griffato fatica a sopravvivere e con l’eroica eccezione di Campi Aperti e di poche altre realtà, a Bologna il biologico costa un occhio della testa e resta un lusso per pochi.

Ho vissuto in AFoto Vie Festivalmerica Latina e viaggiato a lungo in piccoli villaggi abitati solo da pastori, agricoltori, pescatori, artigiani. Lì il cibo si consuma abitualmente nelle strade e nei mercati chiassosi, consumato con le mani e condiviso tra la gente. Lì al passante si apre la porta della propria dimora, come segnale di benvenuto e come espediente per arrivare a fine mese con qualche soldo in più. Laggiù il cibo è biologico per natura, sociale per necessità e di strada per indole. Nessuna novità, nessuna innovazione, nessuna rivoluzione in atto io riesco a leggere in questa attuale moda del cibo. E dunque cosa può nutrirci veramente in questo magro scenario? Dove possiamo trarre il nutrimento necessario per sopravvivere al gelo – dell’inverno in arrivo e delle nostre menti allineate dai discorsi poveri e dalle mode ridicole? Mettetevi tranquilli, Bologna conserva ancora forte la sua anima di “dotta” signora (di quella “rossa”, ahimè, al momento non abbiamo notizie…). Erano anni che non vedevo una Bologna così inquieta. Inquieta nel senso letterale della parola, che non è tranquilla, che è agitata, come un bambino che non sa star fermo.

Ho assistito recentemente a una serie di spettacoli nella nostra città che mi hanno lasciata di stucco: per l’assoluta creatività, per l’innovazione dei linguaggi, per la qualità altissima degli artisti coinvolti, per le location spesso non convenzionali. Proprio in questi giorni la città è attraversata da questo festival poco chiacchierato dai grandi media, il Vie: nato a Modena, porta in scena le novità più interessanti e i lavori più “trasgressivi” del panorama nazionale e internazionale, puntando tutto sulla qualità. Tra gli spettacoli più belli in assoluto “Più giù – in cui le mani nervose di Stefano Ricci, il contrabbasso vivo di Giacomo Piermatti e gli spazi digitali disegnati da Vincenzo Core ti trascinano in quel “quel punto meraviglioso nel tuffo che somiglia al volo.” – e “Sylphidarium”, del collettivo Cinetico di Ferrara, un corpo danzante composto da moltissimi attori e ballerini, di una potenza visiva sconvolgente. Poi le continue sorprese: dello Spazio Sì, partito come piccolo teatro e oggi uno dei centri di sperimentazione più importanti in città, e del Gender Bender, coming soon, quest’anno con una sezione dedicata al femminismo.
E ancora la musica: quella altisonante e raffinata del Bologna Jazz Festival, in arrivo tra qualche giorno, e quella che accende le migliaia di anime pulsanti nei “ghetti” della Bologna che amo, quella dei centri sociali, dei piccoli club, delle cantine e delle sale di quartiere. Tenete d’occhio le proposte in cartellone di un teatro periferico al cuore di Bologna, il Laura Betti di Casalecchio. Ancora – e non sento di tirare acqua al mulino, ma di marcare una certezza del panorama culturale bolognese che si ripete da anni: gli incontri letterari, le serate musicali, i dibattiti e gli approfondimenti socio-politici del Vag61. E anche se è impossibile nominare tutto, il vero obiettivo di queste modeste righe era invitarvi a mettere amore e attenzione nelle cose di cui vi nutrite. Nutritevi di questo, lasciate da parte il vostro odio per la palma e per il suo olio. Nutritevi di letteratura, di arte, di parole, di danza e di musica. Nutritevi delle irrequietudini delle coscienze altrui, condividetele, espiatele.