Editoriale

Editoriale / Quant’è veloce un proiettile?

Su Francesco Lorusso e piazza Verdi libera. Su una memoria che non può essere neutra e imbalsamata. Su chi cerca i flash dei fotografi e fatti che non sono nient’altro che questo: fatti.

12 Marzo 2014 - 17:55

“Veloce come un proiettile”, si dice. Già, ma quant’è veloce un proiettile? Quello che uccise Francesco Lorusso fu veloce, velocissimo, nel percorrere lo spazio che separava la pistola di un carabiniere dal corpo vivo e giovane di uno studente di medicina. Ma quello stesso proiettile è lento, lentissimo, nell’attraversare gli anni che separano quella giornata da noi e dall’oggi. Da 37 anni continua a viaggiare, sospeso a mezz’aria, ma non resta confinato in quel breve tratto di via Mascarella: raggiunge tanti compagni di Francesco e molti altri che Francesco non l’hanno mai conosciuto, ma si sentono suoi compagni lo stesso perchè non percorrono la via più breve, perchè non chinano la testa, perchè quello che fanno le cosiddette forze dell’ordine non se lo fanno raccontare dall’informazione mainstream, perchè hanno negli occhi il sorriso di un altro ragazzo che si chiamava Carlo e sanno bene quanto è labile il confine tra passato e presente.

E’ questo che sindaci, assessori e “classe dirigente” varia non possono, non voglio capire. E’ per questo che pensano, vogliono pensare, che il ricordo dell’uccisione di Francesco possa essere infiocchettato e serenamente aggiunto all’elenco delle commemorazioni scandite a colpi di retorica, discorsi fangosi, occhi sulle punte delle scarpe e forti dosi di politicamente corretto. Sbagliano.

No, non ha senso parlare di memoria condivisa. Non per ideologia, nè per reducismo. Non c’è perchè cosa vorrebbe dire, “condividere”, se non “smussare” qualche angolo, “tralasciare” qualche dettaglio, “ritoccare” qua e là? In altre parole, dimenticare. Come uno scambio di figurine: “Dai, se tu lasci perdere che a sparare fu lo Stato e che chi amministrava Bologna approvò, io chiudo un occhio sulle vetrine spaccate e i sanpietrini”. Manca solo una nuova lapide: “A Francesco Lorusso, morto mentre andava a lezione inciampando in via Mascarella”. E no. Non funziona così.

Non funziona così perchè la memoria non è neutra, non è bella nè brutta. La memoria è ingrediente vivo del presente ed il presente è parte attiva della memoria. Chi la vuole imbalsamata, la vuole morta, inutile. Vorrebbe, ad esempio, che il ricordo di Francesco non c’entrasse nulla con le lotte di oggi. Comodo, vero? Ma non è così. Non sta a noi dire se chi ieri ha contestato la presenza delle istutuzioni in via Mascarella, tracciando un filo rosso tra la repressione di quegli anni e la repressione di oggi, abbia fatto bene o no. Quello che pensiamo di poter dire, però, è che se Francesco fosse vivo e avesse i 25 anni di allora, oggi sarebbe tra ribelli che in piazza Verdi, un anno fa, hanno risposto agli attacchi sferrati dalle cosiddette forze dell’ordine per impedire un’assemblea. Potrebbe essere, così, tra le/i 12 compagne/i che per quelle giornate hanno ricevuto il divieto di dimora a Bologna. “Francesco vive in piazza Verdi libera”, sintetizzava uno degli striscioni apparsi nel bel corteo di ieri sera. Far finta di non saperlo equivale a notificare anche a Francesco un foglio di via: dalla storia di questa città, dall’affetto degli amici, dal ricordo di chi oggi si riconosce nei suoi stessi sogni.

I fatti sono fatti. La presidente del quartiere San Vitale, Milena Naldi (Sel), già nota per aver caldeggiato l’idea di risolvere l’affollamento della zona universitaria con gli idranti, giustificò l’intervento della Polizia in piazza Verdi. L’assessore Alberto Ronchi fa parte della Giunta che ha voluto il giro di vite su piazza Verdi che provocò le tensioni di quei giorni ed ha invocato il pugno duro della Questura. Non era d’accordo? Poteva dimettersi: non è obbligatorio fare l’assessore. Ieri Naldi e Ronchi, insieme al prorettore Roberto Nicoletti e ad un rappresentante del Pd, erano in via Mascarella. Non tra le persone “comuni”, ovvio, ma dal lato verso cui si concentrano i flash dei fotografi. Chi li ha contestati ha ricordato loro i fatti. Punto. Con buona pace di chi, come il (non) giovane consigliere comunale di Sel prontamente intervenuto sulla stampa per difendere la “sua” presidente, definisce uno “schifo” quanto successo ieri ed accusa i collettivi di “farsi pubblicità” approfittando del ricordo di Francesco. E invece Naldi cosa cercava, presentandosi in via Mascarella?

Vale la pena, a questo punto, ricordare una manciata di parole che arrivano da quello stesso 1977 ma sembrano scritte stamattina. Non è il comunicato di un collettivo brutto, sporto e cattivo. Sono alcuni versi tratti da una poesia scritta da Roberto Roversi: poeta celebrato (a loro modo, ça va sans dire) anche da quegli stessi amministratori e politicanti che non perdono occasione per straparlare di legalità ed invocare manganelli. Una poesia che parla di quelle giornate di marzo e di un “ragazzo venuto dal niente”, di nome Francesco Lorusso: “A che punto é la città? / La città si scuote come un cane. / Il ragazzo ucciso è seppellito / con il rito formale. / Segue la pace ufficiale / con i poliziotti ai cantoni / In galera centottanta capelloni. / Grida la gente : lazzaroni, / studiate. / Invece di fare barricate / per mandare in malora una città. / Non si trascina alla gogna / la città di Bologna. / Chi è studente va con la ragazza / non in piazza a farsi ammazzare”.