Culture

Culture / ”The Passenger”, l’autobus
come specchio del migrare

Una ricerca fotografica di Simona de Nicola raccolta in un anno passato sui mezzi pubblici di Bologna. Il racconto di “una storia” attraverso molteplici volti, e una domanda alla città e all’umanità: “Di cosa, esattamente, siamo passeggeri?”

29 Marzo 2019 - 17:05

“Un anno fa ho iniziato a lavorare in un posto nuovo: una specie di gabbia di cemento, però di lusso. Per raggiungerla ci mettevo molto tempo, in bus. Molto tempo per fare domande alla città e, mentre mi perdevo in questi dibattiti furiosi con me stessa, ho fatto delle foto, nascondendo il mio ‘occhio’ nelle più improbabili posizioni”. Si chiama The Passenger il nuovo progetto di Simona de Nicola, pubblicato sotto forma di sito web e visitabile a questo indirizzo. Si tratta di “una ricerca”, ma anche di “una storia”, che si può leggere, guardare, e perchè no, anche ballare. Ma soprattutto, per l’autrice questo lavoro vuole essere appunto “una domanda alla città”: è lei stessa a fornirci gli strumenti per leggere le meravigliose fotografie che ha raccolto, lungo un intero anno di andate e ritorni sui bus di Bologna: “Mi chiedevo. Chi si muove e vive sospeso lungo la sottile tela? Come funziona il bus nelle città di oggi? È uno spazio di libertà, uno specchio della condizione socioeconomica degli agglomerati urbani? È un enorme dispositivo di controllo, che nasconde simboli e segni sottili del potere? E se il bus è un microcosmo – una faccia miniaturizzata di Bologna – chi sono i bolognesi di oggi? Mi chiedevo – mentre attraversavo la città, circondata soprattutto da stranieri, immigrati di prima o seconda generazione”.

Scorrendo la pagina che raccoglie il reportage fotografico, è non a caso una musica del Mali, dalle note delicate e carica di una fierezza africana, ad accompagnare il visitatore nel viaggio dell’autrice percorrendo “un anno in bus, tutti i giorni, lungo il tragitto che dalla via Emilia porta nel cuore del Pilastro, una delle aree più multietniche della nostra città. Un anno per documentare i volti e i percorsi dei bolognesi di oggi, quelli che i salvini di turno vorrebbero sotto controllo, sanzionati, a casa loro. Un anno per provare a mostrare il volto di una Bologna che è già vera, esiste, sorride, lotta, è piena di energia, è esausta. Sogna a occhi aperti e a occhi chiusi”.

Je pense à toi mon amour, ma bien aimée
Ne m’abandonne pas mon amour, ma chérie

L’idea, proposta dall’autrice attraverso la suggestione delle immagini e della musica, è quella di “provare a distruggere le vecchie mappe e disegnarne una nuova, più vera. Una mappa a misura d’essere umano. In bus siamo tutti passeggeri, siamo tutti questa parola piena di nostalgia – migranti – che non smettiamo mai di andare, cercare la meta”.Perché “essere passeggero del bus ti trasforma in un essere umano che osserva: hai d’improvviso a disposizione quella lunga, enorme finestra/finestrino sul mondo – là fuori – e tutto quel brulicare di vite, una attaccata all’altra – lì dentro. Sei in un teatro di commedie e tragedie quotidiane: sorrisi che s’aprono, mani strofinate, sguardi incrociati, occhi assorti, volti stanchi, felici, disperati”.

Et quand je me réveille je ne pense qu’à
Quand je suis dans mon lit je ne rêve qu’à toi

E’ proprio a partire da quei volti, profondi e allo stesso tempo portatori di una leggerezza che potrebbe spezzare catene, volti di pelli scure e di occhi chiari che tengono il visitatore là dove sta l’occhio dell’autrice, ogni volta su un seggiolino diverso che però sembra sempre lo stesso, di un bus: molteplici volti immortalati dalla macchina fotografica, molteplici bus attraversati nel corso di un anno, ma che nella molteplicità sembrano raccontare sempre di “una vita”, prendendo a prestito le parole di Gilles Deleuze: “‘Una’ vita è ovunque in tutti i momenti attraversati da questo o quel soggetto vivente e misurati da tali oggetti vissuti: la vita immanente porta in sé gli eventi o le singolarità, e questi non fanno che attualizzarsi nei soggetti e negli oggetti”. In questo senso ogni “uno” di quei volti sembra indicare la molteplicità di quell'”una” – unica ma molteplice – vita che si muove: “un evento, una singolarità, una vita”, un bus, un migrare, un movimento.

Così, nel viaggio di Simona che diviene anche un viaggio dell’osservatore, “il bus è un piccolo mondo che si muove, la vita che viaggia, mentre la città quasi perde di importanza. La città perde d’importanza e ciò che diventa essenziale sono le domande di chi la attraversa. Dice Calvino – anzi no, non lo dice lui, lo fa dire a Marco Polo, che di terre e di stranieri ne sa molto di più: ‘Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda’. Mentre ero in bus ho pensato che la mia domanda era sbagliata. Non dovevo chiedermi dove stavamo andando. Forse, la vera domanda da rivolgere alla città era questa. Di cosa, esattamente, siamo passeggeri?”

Certains t’ont promis la terre
D’autres promettent le ciel
Certains t’ont promis la lune
Et moi je n’ai rien que ma pauvre guitare

Je pense à toi mon amour, ma bien aimée