I Cobas prendono posizione contro la sperimentazione di una classe per soli stranieri avviata alle scuole Besta: “La pratica della separazione emerge come modalità di gestione delle difficoltà di integrazione”.
Classi ponte, o classi ghetto?
Contro l’attivazione di una classe di soli alunni stranieri a Bologna
La sperimentazione di una classe composta da soli alunni stranieri alle scuole Besta di Bologna ha giustamente aperto un dibattito pubblico che ha oltrepassato i confini provinciali.
Di questo dobbiamo innanzitutto dare atto ai genitori del Consiglio di istituto che hanno denunciato pubblicamente il fatto, di cui erano stati tenuti all’oscuro dal dirigente scolastico, e agli insegnanti dell’istituto che non condividono questo progetto.
Si tratta dunque di una scelta effettuata al di fuori del quadro di regole condivise, di cui si assumono la responsabilità il Dirigente scolastico delle scuole Besta e l’Ufficio scolastico regionale che l’ha autorizzata. La decisione di formare una classe di transizione composta di soli alunni stranieri è infatti in palese contrasto con il quadro normativo vigente. Il DPR n.294 del 31 Agosto 1999 prevede esplicitamente l’impossibilità di costituire classi in cui sia predominante la presenza di alunni stranieri e anche la discutibile Circolare Ministeriale del 10 gennaio 2010 indica che di norma la presenza di alunni stranieri non deve superare il 30%. La sperimentazione in atto riprende in modo evidente la proposta di istituire classi-ponte della cosiddetta mozione-Cota del 2008, allora sostenuta dalla maggioranza di governo, e rappresenta il tentativo di attuare nella forma della sperimentazione un percorso che non ha alcuna giustificazione sul piano degli apprendimenti ma che si configura piuttosto come una scelta gestionale della popolazione scolastica giustificata sulla base dell’emergenza. Oggi sappiamo che tra i sostenitori del progetto, oltre agli esponenti di Lega e PDL che possono a buon diritto rivendicarne la primogenitura, si sono aggiunti anche la responsabile scuola del PD, Puglisi, e la segretaria provinciale della FLC-CGIL, Ruocco. Un’alleanza che dopo il referendum comunale sul finanziamento delle scuole private – e la decisione di ignorarne l’esito – conferma una maggioranza trasversale su temi riguardanti la scuola cui si è aggiunta una importante voce sindacale.
I fatti sono noti, anche se rimangono non del tutto chiari i contorni della “sperimentazione”. E’ emerso che nella classe sarebbero confluiti non solo studenti stranieri appena arrivati dai loro paesi di origine ma anche alunni già presenti nella scuola e che altri potrebbero entrarvi anche ad anno iniziato. La classe ponte/liquida si configura come un contenitore per stranieri pronto ad accogliere in modo flessibile studenti con bisogni “speciali” cui viene fornita una didattica “speciale”, a prescindere dall’età ma anche dalla situazione (se ad esempio sono appena arrivati in Italia o se frequentano già la scuola con risultati non positivi).
Rimane del tutto poco chiara la modalità attraverso cui verrebbero invece “inseriti” nelle classi “normali” una volta superato il periodo di transizione.
Non è davvero difficile riconoscere in questo quadro gli elementi tipici delle classi differenziali e la pratica della separazione come modalità di gestione delle difficoltà di integrazione. Non bastano ad allontanarne lo spettro le rassicurazioni in merito al fatto che non si tratti di una classe ghetto perché costituita come luogo di transito e non definitivo (aspetto tra l’altro previsto anche nella mozione Cota), o che non si tratti di un modello ma solo di una sperimentazione. Nessuno oggi potrebbe proporre apertamente la ghettizzazione. Il problema è piuttosto quello di riconoscere quando la complessità del processo di integrazione viene affrontata attraverso semplificazioni basate sul criterio della divisione e differenziazione di gruppo, esattamente il contrario di quello che si propone una didattica personalizzata (cioè in grado di riconoscere la diversità individuale all’interno di un contesto – la classe – eterogeneo).
Chi propone o sostiene scelte didattico-organizzative come le classi-ponte dovrebbe assumersene pienamente la responsabilità culturale e politica piuttosto che trincerarsi dietro giustificazioni legate alle difficoltà contingenti o all’opportunità di provare nuove soluzioni prima di giudicare. L’eccezionalità dell’iniziativa accresce piuttosto che diminuire le responsabilità di chi l’ha resa operativa e di chi le ha prontamente fornito un appoggio politico esterno.
Le cosiddette soluzioni pragmatiche all’emergenza rappresentano infatti l’apertura di una nuova strada, il cuneo per superare il quadro normativo esistente e per abbattere i vecchi tabù dell’integrazione che in realtà costituiscono il nucleo portante della nostra Costituzione.
Per questo oggi è necessario ribadire alcuni punti fermi su questa vicenda:
– non esiste alcuna giustificazione didattica nella formazione di classi di stranieri di età e culture diverse al fine dell’acquisizione della lingua (come al tempo della mozione Cota sostennero molte importanti società di linguistica e come quotidianamente ribadiscono i ricercatori dal mondo dell’Università).
– è una grave responsabilità dell’USR avere effettuato o comunque approvato la scelta di convogliare verso la scuola Besta – frequentata da un numero di alunni stranieri superiore alla media – le richieste tardive di inserimento scolastico legate ai ricongiungimenti familiari di tutto il territorio comunale.
– la classe costituisce il luogo fondamentale della vita scolastica di un alunno, l’inserimento e la formazione delle classi è uno dei passaggi organizzativi più decisivi per assicurarne la pluralità.
Essere inserito in un gruppo-classe significa assumere identità e diritto di cittadinanza, una classe stabile e uguale alle altre costituisce un criterio imprescindibile di accoglienza di un ragazzo straniero al pari di qualsiasi altro alunno.
– la scuola ha svolto, svolge e deve continuare a svolgere una funzione cruciale nella società in merito all’integrazione degli stranieri nella società italiana. Essa costituisce il luogo in cui si ritrova unito ciò che nella società spesso è diviso, questa è una ricchezza a cui non possiamo rinunciare.
– l’inserimento scolastico e un valido percorso di apprendimento linguistico non sono momenti alternativi ma si sviluppano contemporaneamente, con risorse, metodi e finalità complementari.
– la continua riduzione delle risorse – sia delle scuole che degli enti locali – destinate ai corsi di alfabetizzazione da affiancare all’inserimento scolastico sta oggettivamente mettendo in discussione la praticabilità di percorsi di integrazione efficaci e dignitosi per gli alunni appena arrivati in Italia.
– la separazione e la didattica speciale come precondizioni per l’inserimento fanno parte di quel bagaglio pedagogico differenziante e ghettizzante che è stato abbandonato nella scuola italiana attraverso l’integrazione degli alunni disabili e la costruzione di una scuola pubblica senza recinti e steccati, di tutti e di ciascuno.
– la sperimentazione della classe-ponte è un fatto grave e va risolutamente contrastata anche se è impossibile non vedere il continuo peggioramento della vita nelle scuole di insegnanti e studenti.
La direzione in cui affrontare la lotta deve ripartire da alcuni obiettivi minimi che permetterebbero di superare in avanti la discussione odierna:
– classi con un numero massimo di venti alunni
– risorse certe dello Stato e degli enti locali per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda
– ripristinare e potenziare l’assegnazione di insegnanti distaccati per l’insegnamento dell’italiano L2, con adeguata formazione, nelle scuole con un’alta percentuale di alunni neo-immigrati
Cobas Scuola Bologna